INCONTRO CON I BAMBINI
DISABILI E AMMALATI OSPITI
DELL'ISTITUTO SERAFICO
DISCORSO DEL
SANTO PADRE FRANCESCO
Assisi
Venerdì, 4 ottobre 2013
Venerdì, 4 ottobre 2013
Noi siamo fra le piaghe
di Gesù, ha detto lei,
signora. Ha anche detto che
queste piaghe hanno bisogno
di essere ascoltate, di
essere riconosciute. E mi
viene in mente quando il
Signore Gesù andava in
cammino con quei due
discepoli tristi. Il Signore
Gesù, alla fine, ha fatto
vedere le sue piaghe e loro
hanno riconosciuto Lui. Poi
il pane, dove Lui era lì. Il
mio fratello Domenico mi
diceva che qui si fa
l’Adorazione. Anche quel
pane ha bisogno di essere
ascoltato, perché Gesù è
presente e nascosto dietro
la semplicità e la mitezza
di un pane. E qui è Gesù
nascosto in questi ragazzi,
in questi bambini, in queste
persone. Sull’altare
adoriamo la Carne di Gesù;
in loro troviamo le piaghe
di Gesù. Gesù nascosto
nell’Eucaristia e Gesù
nascosto in queste piaghe.
Hanno bisogno di essere
ascoltate! Forse non tanto
sui giornali, come notizie;
quello è un ascolto che dura
uno, due, tre giorni, poi
viene un altro, un altro…
Devono essere ascoltate da
quelli che si dicono
cristiani. Il cristiano
adora Gesù, il cristiano
cerca Gesù, il cristiano sa
riconoscere le piaghe di
Gesù. E oggi, tutti noi,
qui, abbiamo la necessità di
dire: “Queste piaghe devono
essere ascoltate!”. Ma c’è
un’altra cosa che ci dà
speranza. Gesù è presente
nell’Eucaristia, qui è la
Carne di Gesù; Gesù è
presente fra voi, è la Carne
di Gesù: sono le piaghe di
Gesù in queste persone.
Ma è interessante: Gesù,
quando è Risorto era
bellissimo. Non aveva nel
suo corpo dei lividi, le
ferite… niente! Era più
bello! Soltanto ha voluto
conservare le piaghe e se le
è portate in Cielo. Le
piaghe di Gesù sono qui e
sono in Cielo davanti al
Padre. Noi curiamo le piaghe
di Gesù qui e Lui, dal
Cielo, ci mostra le sue
piaghe e dice a tutti noi, a
tutti noi: “Ti sto
aspettando!”. Così sia
Il Signore vi benedica
tutti. Che il suo amore
scenda su di noi, cammini
con noi; che Gesù ci dica
che queste piaghe sono di
Lui e ci aiuti a dare voce,
perché noi cristiani le
ascoltiamo.
*
* *
A seguire le altre
parole che Papa Francesco
aveva preparato per questa
occasione e che ha
consegnato dandole per
lette:
Cari fratelli e sorelle,
voglio iniziare la mia
visita ad Assisi con voi, vi
saluto tutti! Oggi è la
festa di San Francesco, e io
ho scelto, come Vescovo di
Roma, di portare il suo
nome. Ecco perché oggi sono
qui: la mia visita è
soprattutto un
pellegrinaggio di amore, per
pregare sulla tomba di un
uomo che si è spogliato di
se stesso e si è rivestito
di Cristo e, sull’esempio di
Cristo, ha amato tutti,
specialmente i più poveri e
abbandonati, ha amato con
stupore e semplicità la
creazione di Dio. Arrivando
qui ad Assisi, alle porte
della città, si trova questo
Istituto, che si chiama
proprio “Serafico”, un
soprannome di san Francesco.
Lo fondò un grande
francescano, il Beato
Ludovico da Casoria.
Ed è giusto partire da
qui. San Francesco, nel suo
Testamento, dice: «Il
Signore dette a me, frate
Francesco, di incominciare a
fare penitenza così: quando
ero nei peccati mi sembrava
cosa troppo amara vedere i
lebbrosi: e il Signore
stesso mi condusse tra loro
e usai misericordia. E
allontanandomi da essi, ciò
che mi sembrava amaro mi fu
cambiato in dolcezza d’animo
e di corpo» (FF,
110).
La società purtroppo è
inquinata dalla cultura
dello “scarto”, che è
opposta alla cultura
dell’accoglienza. E le
vittime della cultura dello
scarto sono proprio le
persone più deboli, più
fragili. In questa Casa
invece vedo in azione la
cultura dell’accoglienza.
Certo, anche qui non sarà
tutto perfetto, ma si
collabora insieme per la
vita dignitosa di persone
con gravi difficoltà. Grazie
per questo segno di amore
che ci offrite: questo è il
segno della vera civiltà,
umana e cristiana! Mettere
al centro dell’attenzione
sociale e politica le
persone più svantaggiate! A
volte invece le famiglie si
trovano sole nel farsi
carico di loro. Che cosa
fare? Da questo luogo in cui
si vede l’amore concreto,
dico a tutti: moltiplichiamo
le opere della cultura
dell’accoglienza, opere
anzitutto animate da un
profondo amore cristiano,
amore a Cristo Crocifisso,
alla carne di Cristo, opere
in cui si uniscano la
professionalità, il lavoro
qualificato e giustamente
retribuito, con il
volontariato, un tesoro
prezioso.
Servire con amore e con
tenerezza le persone che
hanno bisogno di tanto aiuto
ci fa crescere in umanità,
perché esse sono vere
risorse di umanità. San
Francesco era un giovane
ricco, aveva ideali di
gloria, ma Gesù, nella
persona di quel lebbroso,
gli ha parlato in silenzio,
e lo ha cambiato, gli ha
fatto capire ciò che vale
veramente nella vita: non le
ricchezze, la forza delle
armi, la gloria terrena, ma
l’umiltà, la misericordia,
il perdono.
Qui, cari fratelli e
sorelle, voglio leggervi
qualcosa di personale, una
delle più belle lettere che
ho ricevuto, un dono di
amore di Gesù. Me l’ha
scritta Nicolás, un ragazzo
di 16 anni, disabile fin
dalla nascita, che abita a
Buenos Aires. Ve la leggo:
«Caro Francesco: sono
Nicolás ed ho 16 anni;
siccome non posso scriverti
io (perché ancora non parlo,
né cammino), ho chiesto ai
miei genitori di farlo al
posto mio, perché loro sono
le persone che mi conoscono
di più. Ti voglio raccontare
che quando avevo 6 anni, nel
mio Collegio che si chiama
Aedin, Padre Pablo mi ha
dato la prima Comunione e
quest’anno, in novembre,
riceverò la Cresima, una
cosa che mi dà molta gioia.
Tutte le notti, da quando tu
me l’hai chiesto, io domando
al mio Angelo Custode, che
si chiama Eusebio e che ha
molta pazienza, di
custodirti e di aiutarti.
Stai sicuro che lo fa molto
bene perché ha cura di me e
mi accompagna tutti i
giorni!! Ah! E quando non ho
sonno… viene a giocare con
me!! Mi piacerebbe molto
venire a vederti e ricevere
la tua benedizione e un
bacio: solo questo!! Ti
mando tanti saluti e
continuo a chiedere ad
Eusebio che abbia cura di te
e ti dia forza. Baci. NICO».
In questa lettera, nel
cuore di questo ragazzo c’è
la bellezza, l’amore, la
poesia di Dio. Dio che si
rivela a chi ha il cuore
semplice, ai piccoli, agli
umili, a chi noi spesso
consideriamo ultimi, anche a
voi, cari amici: quel
ragazzo quando non riesce ad
addormentarsi gioca con il
suo Angelo Custode; è Dio
che scende a giocare con
lui.
Nella Cappella di questo
Istituto, il Vescovo ha
voluto che ci sia
l’adorazione eucaristica
permanente: lo stesso Gesù
che adoriamo nel Sacramento,
lo incontriamo nel fratello
più fragile, dal quale
impariamo, senza barriere e
complicazioni, che Dio ci
ama con la semplicità del
cuore.
Grazie a tutti di questo
incontro. Vi porto con me,
nell’affetto e nella
preghiera. Ma anche voi
pregate per me! Il Signore
vi benedica e la Madonna e
san Francesco vi
proteggano.
* * *
Dopo avere lasciato la
cappella il Santo Padre,
affacciandosi ad una
finestra, ha rivolto le
seguenti parole alle persone
presenti all’esterno
dell’edificio:
Buongiorno! Vi saluto.
Grazie tante per tutto
questo. E pregate per tutti
i bambini, i ragazzi, le
persone che sono qui, per
tutti quelli che lavorano
qui. Per loro! Tanto bello!
Che il Signore vi benedica!
Pregate anche per me! Ma
sempre! Pregate a favore,
non contro! Il Signore vi
benedica.
INCONTRO CON I
POVERI ASSISTITI DALLA
CARITAS
DISCORSO DEL
SANTO PADRE FRANCESCO
Sala della Spoliazione del
Vescovado,
Assisi
Venerdì, 4 ottobre 2013
Venerdì, 4 ottobre 2013
Ha detto il mio fratello
Vescovo che è la prima
volta, in 800 anni, che un
Papa viene qui. In questi
giorni, sui giornali, sui
mezzi di comunicazione, si
facevano fantasie. “Il Papa
andrà a spogliare la Chiesa,
lì!”. “Di che cosa spoglierà
la Chiesa?”. “Spoglierà gli
abiti dei Vescovi, dei
Cardinali; spoglierà se
stesso”. Questa è una buona
occasione per fare un invito
alla Chiesa a spogliarsi. Ma
la Chiesa siamo tutti!
Tutti! Dal primo battezzato,
tutti siamo Chiesa, e tutti
dobbiamo andare per la
strada di Gesù, che ha
percorso una strada di
spogliazione, Lui stesso. E’
diventato servo, servitore;
ha voluto essere umiliato
fino alla Croce. E se noi
vogliamo essere cristiani,
non c’è un’altra strada. Ma
non possiamo fare un
cristianesimo un po’ più
umano – dicono – senza
croce, senza Gesù, senza
spogliazione? In questo modo
diventeremo cristiani di
pasticceria, come belle
torte, come belle cose
dolci! Bellissimo, ma non
cristiani davvero! Qualcuno
dirà: “Ma di che cosa deve
spogliarsi la Chiesa?”. Deve
spogliarsi oggi di un
pericolo gravissimo, che
minaccia ogni persona nella
Chiesa, tutti: il pericolo
della mondanità. Il
cristiano non può convivere
con lo spirito del mondo. La
mondanità che ci porta alla
vanità, alla prepotenza,
all’orgoglio. E questo è un
idolo, non è Dio. E’ un
idolo! E l’idolatria è il
peccato più forte!
Quando nei media
si parla della Chiesa,
credono che la Chiesa siano
i preti, le suore, i
Vescovi, i Cardinali e il
Papa. Ma la Chiesa siamo
tutti noi, come ho detto. E
tutti noi dobbiamo
spogliarci di questa
mondanità: lo spirito
contrario allo spirito delle
beatitudini, lo spirito
contrario allo spirito di
Gesù. La mondanità ci fa
male. È tanto triste trovare
un cristiano mondano, sicuro
– secondo lui – di quella
sicurezza che gli dà la fede
e sicuro della sicurezza che
gli dà il mondo. Non si può
lavorare nelle due parti. La
Chiesa - tutti noi - deve
spogliarsi della mondanità,
che la porta alla vanità,
all’orgoglio, che è
l’idolatria.
Gesù stesso ci diceva:
“Non si può servire a due
padroni: o servi Dio o servi
il denaro” (cfr Mt
6,24). Nel denaro c’era
tutto questo spirito
mondano; denaro, vanità,
orgoglio, quella strada… noi
non possiamo… è triste
cancellare con una mano
quello che scriviamo con
l’altra. Il Vangelo è il
Vangelo! Dio è unico! E Gesù
si è fatto servitore per noi
e lo spirito del mondo non
c’entra qui. Oggi sono qui
con voi. Tanti di voi sono
stati spogliati da questo
mondo selvaggio, che non dà
lavoro, che non aiuta; a cui
non importa se ci sono
bambini che muoiono di fame
nel mondo; non importa se
tante famiglie non hanno da
mangiare, non hanno la
dignità di portare pane a
casa; non importa che tanta
gente debba fuggire dalla
schiavitù, dalla fame e
fuggire cercando la libertà.
Con quanto dolore, tante
volte, vediamo che trovano
la morte, come è successo
ieri a Lampedusa: oggi è un
giorno di pianto! Queste
cose le fa lo spirito del
mondo. È proprio ridicolo
che un cristiano - un
cristiano vero - che un
prete, che una suora, che un
Vescovo, che un Cardinale,
che un Papa vogliano andare
sulla strada di questa
mondanità, che è un
atteggiamento omicida. La
mondanità spirituale uccide!
Uccide l’anima! Uccide le
persone! Uccide la Chiesa!
Quando Francesco, qui, ha
fatto quel gesto di
spogliarsi era un ragazzo
giovane, non aveva forza per
questo. E’ stata la forza di
Dio che lo ha spinto a fare
questo, la forza di Dio che
voleva ricordarci quello che
Gesù ci diceva sullo spirito
del mondo, quello che Gesù
ha pregato al Padre, perché
il Padre ci salvasse dallo
spirito del mondo.
Oggi, qui, chiediamo la
grazia per tutti i
cristiani. Che il Signore
dia a tutti noi il coraggio
di spogliarci, ma non di 20
lire, spogliarci dello
spirito del mondo, che è la
lebbra, è il cancro della
società! È il cancro della
rivelazione di Dio! Lo
spirito del mondo è il
nemico di Gesù! Chiedo al
Signore che, a tutti noi,
dia questa grazia di
spogliarci. Grazie!
*
* *
Al termine
dell’incontro, ha
pronunciato le seguenti
parole:
Grazie tante
dell’accoglienza. Pregate
per me, che ne ho bisogno….
Tutti! Grazie!
*
* *
A seguire le altre
parole che Papa Francesco
aveva preparato per questa
occasione e che ha
consegnato dandole per
lette:
Cari fratelli e sorelle,
grazie per la vostra
accoglienza! Questo luogo è
un luogo speciale, e per
questo ho voluto fare una
tappa qui, anche se la
giornata è molto piena. Qui
Francesco si spogliò di
tutto, davanti a suo padre,
al Vescovo, e alla gente di
Assisi. Fu un gesto
profetico, e fu anche un
atto di preghiera, un atto
di amore e di affidamento al
Padre che è nei
cieli.
Con quel gesto Francesco
fece la sua scelta: la
scelta di essere povero. Non
è una scelta sociologica,
ideologica, è la scelta di
essere come Gesù, di imitare
Lui, di seguirlo fino in
fondo. Gesù è Dio che si
spoglia della sua gloria. Lo
leggiamo in san Paolo:
Cristo Gesù, che era Dio,
spogliò se stesso, svuotò se
stesso, e si fece come noi,
e in questo abbassamento
arrivò fino alla morte di
croce (cfr Fil
2,6-8). Gesù è Dio, ma è
nato nudo, è stato posto in
una mangiatoia, ed è morto
nudo e crocifisso.
Francesco si è spogliato
di ogni cosa, della sua vita
mondana, di se stesso, per
seguire il suo Signore,
Gesù, per essere come Lui.
Il Vescovo Guido comprese
quel gesto e subito si alzò,
abbracciò Francesco e lo
coprì col suo mantello, e fu
sempre suo aiuto e
protettore (cfr Vita
Prima, FF, 344).
La spogliazione di san
Francesco ci dice
semplicemente quello che
insegna il Vangelo: seguire
Gesù vuol dire metterlo al
primo posto, spogliarci
delle tante cose che abbiamo
e che soffocano il nostro
cuore, rinunciare a noi
stessi, prendere la croce e
portarla con Gesù.
Spogliarsi dell’io
orgoglioso e distaccarsi
dalla brama di avere, dal
denaro, che è un idolo che
possiede.
Tutti siamo chiamati ad
essere poveri, spogliarci di
noi stessi; e per questo
dobbiamo imparare a stare
con i poveri, condividere
con chi è privo del
necessario, toccare la carne
di Cristo! Il cristiano non
è uno che si riempie la
bocca coi poveri, no! E’ uno
che li incontra, che li
guarda negli occhi, che li
tocca. Sono qui non per
“fare notizia”, ma per
indicare che questa è la via
cristiana, quella che ha
percorso san Francesco. San
Bonaventura, parlando della
spogliazione di san
Francesco, scrive: «Così,
dunque, il servitore del Re
altissimo fu lasciato nudo,
perché seguisse il nudo
Signore crocifisso, oggetto
del suo amore». E aggiunge
che così Francesco si salvò
dal «naufragio del mondo» (FF
1043).
Ma vorrei, come Pastore,
anche chiedermi: di che cosa
deve spogliarsi la Chiesa?
Spogliarsi di ogni
mondanità spirituale, che è
una tentazione per tutti;
spogliarsi di ogni azione
che non è per Dio, non è di
Dio; dalla paura di aprire
le porte e di uscire
incontro a tutti,
specialmente dei più poveri,
bisognosi, lontani, senza
aspettare; certo non per
perdersi nel naufragio del
mondo, ma per portare con
coraggio la luce di Cristo,
la luce del Vangelo, anche
nel buio, dove non si vede,
dove può succedere di
inciampare; spogliarsi della
tranquillità apparente che
danno le strutture,
certamente necessarie e
importanti, ma che non
devono oscurare mai l’unica
vera forza che porta in sé:
quella di Dio. Lui è la
nostra forza! Spogliarsi di
ciò che non è essenziale,
perché il riferimento è
Cristo; la Chiesa è di
Cristo! Tanti passi,
soprattutto in questi
decenni, sono stati fatti.
Continuiamo su questa strada
che è quella di Cristo,
quella dei Santi.
Per tutti, anche per la
nostra società che dà segni
di stanchezza, se vogliamo
salvarci dal naufragio, è
necessario seguire la via
della povertà, che non è la
miseria – questa è da
combattere -, ma è il saper
condividere, l’essere più
solidali con chi è
bisognoso, il fidarci più di
Dio e meno delle nostre
forze umane. Mons.
Sorrentino ha ricordato
l’opera di solidarietà del
vescovo Nicolini, che ha
aiutato centinaia di ebrei
nascondendoli nei conventi,
e il centro di smistamento
segreto era proprio qui, nel
vescovado. Anche questa è
spogliazione, che parte
sempre dall’amore, dalla
misericordia di Dio!
In questo luogo che ci
interpella, vorrei pregare
perché ogni cristiano, la
Chiesa, ogni uomo e donna di
buona volontà, sappia
spogliarsi di ciò che non è
essenziale per andare
incontro a chi è povero e
chiede di essere amato.
Grazie a tutti!
INCONTRO CON IL CLERO,
PERSONE DI VITA CONSACRATA
E MEMBRI DI CONSIGLI PASTORALI
E MEMBRI DI CONSIGLI PASTORALI
DISCORSO DEL
SANTO PADRE FRANCESCO
Cattedrale di San Rufino,
Assisi
Venerdì, 4 ottobre 2013
Venerdì, 4 ottobre 2013
Cari fratelli e sorelle della Comunità Diocesana, buon pomeriggio!
Vi ringrazio per la vostra accoglienza, sacerdoti, religiosi e
religiose, laici impegnati nei consigli pastorali! Quanto sono necessari, i
consigli pastorali! Un Vescovo non può guidare una diocesi senza i consigli
pastorali. Un parroco non può guidare la parrocchia senza i consigli pastorali.
Questo è fondamentale! Siamo nella Cattedrale! Qui si conserva il fonte
battesimale dove san Francesco e santa Chiara furono battezzati, che in quel
tempo si trovava nella Chiesa di Santa Maria. La memoria del Battesimo è
importante! Il Battesimo è la nostra nascita come figli della Madre Chiesa. Io
vorrei farvi una domanda: chi di voi sa il giorno del suo Battesimo? Pochi!
Pochi… Adesso, compiti a casa! Mamma, papà, dimmi: quando sono stato battezzato?
Ma, è importante, perché è il giorno della nascita come figlio di Dio. Un solo
Spirito, un solo Battesimo, nella varietà dei carismi e dei ministeri. Che
grande dono essere Chiesa, far parte del Popolo di Dio! Tutti siamo il Popolo di
Dio. Nell’armonia, nella comunione delle diversità, che è opera dello Spirito
Santo, perché lo Spirito Santo è l’armonia e fa l’armonia: è un dono di Lui, e
dobbiamo essere aperti a riceverlo!
Il Vescovo è custode di questa armonia. Il Vescovo è custode di
questo dono dell’armonia nella diversità. Per questo il Papa Benedetto ha voluto
che l’attività pastorale nelle Basiliche papali francescane sia integrata in
quella diocesana. Perché lui deve fare l’armonia: è il suo compito, è il suo
dovere e la sua vocazione. E lui ha un dono speciale per farla. Sono contento
che stiate camminando bene su questa strada, con beneficio di tutti,
collaborando insieme con serenità, e vi incoraggio a continuare. La Visita
pastorale che si è da poco conclusa e il Sinodo diocesano che state per
celebrare sono momenti forti di crescita per questa Chiesa, che Dio ha benedetto
in modo particolare. La Chiesa cresce, ma non è per fare proselitismo: no, no!
La Chiesa non cresce per proselitismo. La Chiesa cresce per attrazione,
l’attrazione della testimonianza che ognuno di noi da al Popolo di Dio.
Ora, brevemente, vorrei sottolineare alcuni aspetti della vostra
vita di Comunità. Non voglio dirvi cose nuove, ma confermarvi in quelle più
importanti, che caratterizzano il vostro cammino diocesano.
1. La prima cosa è ascoltare la Parola di Dio. La Chiesa è questo: la
comunità – lo ha detto il Vescovo – la comunità che ascolta con fede e con amore
il Signore che parla. Il piano pastorale che state vivendo insieme insiste
proprio su questa dimensione fondamentale. E’ la Parola di Dio che suscita la fede, la nutre, la rigenera. E’ la Parola di
Dio che tocca i cuori, li converte a Dio e alla sua logica che è così diversa
dalla nostra; è la Parola di Dio che rinnova continuamente le nostre comunità…
Penso che tutti possiamo migliorare un po’ su questo aspetto:
diventare tutti più ascoltatori della Parola di Dio, per essere meno ricchi di
nostre parole e più ricchi delle sue Parole. Penso al sacerdote, che ha il compito di predicare. Come può predicare se prima
non ha aperto il suo cuore, non ha ascoltato, nel silenzio, la Parola di Dio?
Via queste omelie interminabili, noiose, delle quali non si capisce niente.
Questo è per voi! Penso al papà e alla mamma, che sono i primi educatori: come
possono educare se la loro coscienza non è illuminata dalla Parola di Dio, se il
loro modo di pensare e di agire non è guidato dalla Parola; quale esempio
possono dare ai figli? Questo è importante, perché poi papà e mamma si
lamentano: “questo figlio …” Ma tu, che testimonianza gli hai dato? Come gli hai
parlato? Della Parola di Dio o della parola del telegiornale? Papà e mamma
devono parlare già della Parola di Dio! E penso ai catechisti, a tutti gli
educatori: se il loro cuore non è riscaldato dalla Parola, come possono
riscaldare i cuori degli altri, dei bambini, dei giovani, degli adulti?
Non basta leggere le Sacre Scritture, bisogna ascoltare Gesù che parla in esse:
è proprio Gesù che parla nelle Scritture, è Gesù che parla in esse. Bisogna
essere antenne che ricevono, sintonizzate sulla Parola di Dio, per essere
antenne che trasmettono! Si riceve e si trasmette. E’ lo Spirito di Dio che
rende vive le Scritture, le fa comprendere in profondità, nel loro senso vero e
pieno! Chiediamoci, come una delle domande verso il Sinodo: che posto ha la
Parola di Dio nella mia vita, la vita di ogni giorno? Sono sintonizzato su Dio o
sulle tante parole di moda o su me stesso? Una domanda che ognuno di noi deve
farsi.
2. Il secondo aspetto è quello del camminare. E’ una delle
parole che preferisco quando penso al cristiano e alla Chiesa. Ma per voi ha un
senso particolare: state entrando nel Sinodo diocesano, e fare “sinodo”
vuol dire camminare insieme. Penso che questa sia veramente l’esperienza più
bella che viviamo: far parte di un popolo in cammino, in cammino nella storia,
insieme con il suo Signore, che cammina in mezzo a noi! Non siamo isolati, non
camminiamo da soli, ma siamo parte dell’unico gregge di Cristo che cammina
insieme.
Qui penso ancora a voi preti, e lasciate che mi metta anch’io con
voi. Che cosa c’è di più bello per noi se non camminare con il nostro popolo? E’
bello! Quando io penso a questi parroci che conoscevano il nome delle persone
della parrocchia, che andavano a trovarli; anche come uno mi diceva: “Io conosco
il nome del cane di ogni famiglia”, anche il nome del cane, conoscevano! Che
bello che era! Che cosa c’è di più bello? Lo ripeto spesso: camminare con il
nostro popolo, a volte davanti, a volte in mezzo e a volte dietro: davanti, per
guidare la comunità; in mezzo, per incoraggiarla e sostenerla; dietro, per
tenerla unita perché nessuno rimanga troppo, troppo indietro, per tenerla unita,
e anche per un’altra ragione: perché il popolo ha “fiuto”! Ha fiuto nel trovare
nuove vie per il cammino, ha il “sensus fidei”, che dicono i teologi. Che
cosa c’è di più bello? E nel Sinodo ci deve essere anche che cosa lo Spirito
Santo dice ai laici, al Popolo di Dio, a tutti.
Ma la cosa più importante è camminare insieme, collaborando, aiutandosi a
vicenda; chiedersi scusa, riconoscere i propri sbagli e chiedere perdono, ma
anche accettare le scuse degli altri perdonando – quanto è importante questo!
Alle volte penso ai matrimoni che dopo tanti anni si separano. “Eh… no, non ci
intendiamo, ci siamo allontanati ”. Forse non hanno saputo chiedere scusa a
tempo. Forse non hanno saputo perdonare a tempo. E sempre, ai novelli sposi, io
do questo consiglio: “Litigate quanto volete. Se volano i piatti, lasciateli. Ma
mai finire la giornata senza fare la pace! Mai!”. E se i matrimoni imparano a
dire: “Ma, scusa, ero stanco”, o soltanto un gestino: è questa la pace; e
riprendere la vita il giorno dopo. Questo è un bel segreto, e questo evita
queste separazioni dolorose. Quanto è importante camminare uniti, senza fughe in
avanti, senza nostalgie del passato. E mentre si cammina si parla, ci si
conosce, ci si racconta gli uni agli altri, si cresce nell’essere famiglia. Qui
chiediamoci: come camminiamo? Come cammina la nostra realtà diocesana? Cammina
insieme? E che cosa faccio io perché essa cammini veramente insieme? Io non
vorrei entrare qui nell’argomento delle chiacchiere, però voi sapete che le
chiacchiere dividono sempre!
3. Dunque: ascoltare, camminare, e il terzo aspetto è quello
missionario: annunciare fino alle periferie. Anche questo l’ho preso da
voi, dai vostri progetti pastorali. Il Vescovo ne ha parlato, recentemente. Ma
voglio sottolinearlo, anche perché è un elemento che ho vissuto molto quando ero
a Buenos Aires: l’importanza di uscire per andare incontro all’altro, nelle
periferie, che sono luoghi, ma sono soprattutto persone in situazioni di vita
speciale. E’ il caso della diocesi che avevo prima, quella di Buenos Aires. Una
periferia che mi faceva tanto male, era trovare nelle famiglie di classe media,
bambini che non sapevano farsi il Segno della Croce. Ma, questa è una periferia!
E io vi domando: qui, in questa diocesi, ci sono bambini che non sanno farsi il
Segno della Croce? Pensateci. Queste sono vere periferie esistenziali, dove Dio
non c’è.
In un primo senso, le periferie di questa diocesi, per esempio, sono
le zone della Diocesi che rischiano di essere ai margini, fuori dai fasci di
luce dei riflettori. Ma sono anche persone, realtà umane di fatto emarginate,
disprezzate. Sono persone che magari si trovano fisicamente vicine al “centro”,
ma spiritualmente sono lontane.
Non abbiate paura di uscire e andare incontro a queste persone, a queste
situazioni. Non lasciatevi bloccare da pregiudizi, da abitudini, rigidità
mentali o pastorali, dal famoso “si è sempre fatto così!”. Ma si può andare alle
periferie solo se si porta la Parola di Dio nel cuore e si cammina con la
Chiesa, come san Francesco. Altrimenti portiamo noi stessi, non la Parola di
Dio, e questo non è buono, non serve a nessuno! Non siamo noi che salviamo il
mondo: è proprio il Signore che lo salva!
Ecco, cari amici, non vi ho dato ricette nuove. Non le ho, e non
credete a chi dice di averle: non ci sono. Ma ho trovato nel cammino della
vostra Chiesa aspetti belli e importanti che vanno fatti crescere e voglio
confermarvi in essi. Ascoltate la Parola, camminate insieme in fraternità,
annunciate il Vangelo nelle periferie! Il Signore vi benedica, la Madonna vi
protegga, e san Francesco vi aiuti tutti a vivere la gioia di essere discepoli
del Signore! Grazie.
PAROLE DEL
SANTO PADRE FRANCESCO
ALLE MONACHE DI CLAUSURA
ALLE MONACHE DI CLAUSURA
Cappella del Coro della
Basilica di Santa Chiara,
Assisi
Venerdì, 4 ottobre 2013
Venerdì, 4 ottobre 2013
Io pensavo che questa
riunione fosse come avevamo
fatto due volte a Castel
Gandolfo, nella sala
capitolare, da solo con le
suore ma, vi confesso, non
ho il coraggio di mandare
via i Cardinali. Facciamola
così.
Bene. Vi ringrazio tanto
dell’accoglienza e per la
preghiera per la Chiesa.
Quando una suora nella
clausura consacra tutta la
sua vita al Signore, accade
una trasformazione che non
si finisce di capire. La
normalità del nostro
pensiero penserebbe che
questa suora diventa
isolata, sola con
l’Assoluto, sola con Dio; è
una vita ascetica,
penitente. Ma questa non è
la strada di una suora di
clausura cattolica, neppure
cristiana. La strada passa
per Gesù Cristo, sempre!
Gesù Cristo è al centro
della vostra vita, della
vostra penitenza, della
vostra vita comunitaria,
della vostra preghiera e
anche della universalità
della preghiera. E per
questa strada succede il
contrario di quello che
pensa che questa sarà
un’ascetica suora di
clausura. Quando va per la
strada della contemplazione
di Gesù Cristo, della
preghiera e della penitenza
con Gesù Cristo, diventa
grandemente umana. Le suore
di clausura sono chiamate ad
avere grande umanità,
un’umanità come quella della
Madre Chiesa; umane, capire
tutte le cose della vita,
essere persone che sanno
capire i problemi umani, che
sanno perdonare, che sanno
chiedere al Signore per le
persone. La vostra umanità.
E la vostra umanità viene
per questa strada,
l’Incarnazione del Verbo, la
strada di Gesù Cristo. E
qual è il segno di una suora
così umana? La gioia, la
gioia, quando c’è gioia! A
me da tristezza quando trovo
suore che non sono gioiose.
Forse sorridono, mah, con il
sorriso di un’assistente di
volo. Ma non con il sorriso
della gioia, di quella che
viene da dentro. Sempre con
Gesù Cristo. Oggi nella
Messa, parlando del
Crocifisso, dicevo che
Francesco lo aveva
contemplato con gli occhi
aperti, con le ferite
aperte, con il sangue che
veniva giù. E questa è la
vostra contemplazione: la
realtà. La realtà di Gesù
Cristo. Non idee astratte,
non idee astratte, perché
seccano la testa. La
contemplazione delle piaghe
di Gesù Cristo! E le ha
portate in Cielo, e le ha!
E’ la strada dell’umanità di
Gesù Cristo: sempre con
Gesù, Dio-uomo. E per questo
è tanto bello quando la
gente va al parlatorio dei
monasteri e chiedono
preghiere e dicono i loro
problemi. Forse la suora non
dice nulla di straordinario,
ma una parola che li viene
proprio dalla contemplazione
di Gesù Cristo, perché la
suora, come la Chiesa, è
sulla strada di essere
esperta in umanità. E questa
è la vostra strada: non
troppo spirituale! Quando
sono troppo spirituali, io
penso alla fondatrice dei
monasteri della concorrenza
vostra, Santa Teresa, per
esempio. Quando a lei veniva
una suora, oh, con queste
cose… diceva alla cuoca:
“dalle una bistecca!”.
Sempre con Gesù Cristo,
sempre. L’umanità di Gesù
Cristo! Perché il Verbo è
venuto nella carne, Dio si è
fatto carne per noi, e
questo darà a voi una
santità umana, grande,
bella, matura, una santità
di madre. E la Chiesa vi
vuole così: madri, madre,
madre. Dare vita. Quando voi
pregate, per esempio, per i
sacerdoti, per i
seminaristi, voi avete con
loro un rapporto di
maternità; con la preghiera
li aiutate a diventare buoni
Pastori del Popolo di Dio.
Ma ricordatevi della
bistecca di Santa Teresa! E’
importante. E questo è il
primo: sempre con Gesù
Cristo, le piaghe di Gesù
Cristo, le piaghe del
Signore. Perché è una realtà
che, dopo la Resurrezione,
Lui le aveva e le ha
portate.
E la seconda cosa che
volevo dirvi, brevemente, è
la vita di comunità.
Perdonate, sopportatevi,
perché la vita di comunità
non è facile. Il diavolo
approfitta di tutto per
dividere! Dice: “Io non
voglio parlare male, ma…”, e
si incomincia la divisione.
No, questo non va, perché
non porta a niente: alla
divisione. Curare l’amicizia
tra voi, la vita di
famiglia, l’amore tra voi. E
che il monastero non sia un
Purgatorio, che sia una
famiglia. I problemi ci
sono, ci saranno, ma, come
si fa in una famiglia, con
amore, cercare la soluzione
con amore; non distruggere
questa per risolvere questo;
non avere competizione.
Curare la vita di comunità,
perché quando nella vita di
comunità è così, di
famiglia, è proprio lo
Spirito Santo che è nel
mezzo della comunità. Queste
due cose volevo dirvi: la
contemplazione sempre,
sempre con Gesù; Gesù, Dio e
Uomo. E la vita di comunità,
sempre con un cuore grande.
Lasciando passare, non
vantarsi, sopportare tutto,
sorridere dal cuore. E il
segno ne è la gioia. E io
chiedo per voi questa gioia
che nasce proprio dalla vera
contemplazione e da una
bella vita comunitaria.
Grazie! Grazie
dell’accoglienza. Vi prego
di pregare per me, per
piacere, non lo dimenticate!
Prima della Benedizione,
preghiamo la Madonna: Ave
Maria …
INCONTRO CON I
GIOVANI DELL'UMBRIA
PAROLE
DEL
SANTO PADRE FRANCESCO
Piazzale della Basilica di
Santa Maria degli Angeli,
Assisi
Venerdì, 4 ottobre 2013
Venerdì, 4 ottobre 2013
DOMANDE DEI GIOVANI AL SANTO PADRE
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1. FAMIGLIA: Nicola e Chiara Volpi (Perugia-Città della Pieve)
Noi giovani viviamo in una società dove al centro c'è lo star bene, il
divertirsi, il pensare a se stessi. Vivere un matrimonio da giovani cristiani è
complesso, aprirsi alla vita è una sfida e un timore frequente. Come coppia
giovane sentiamo la gioia di vivere il nostro matrimonio, ma ne sperimentiamo la
fatica e le sfide quotidiane. Come la Chiesa ci può aiutare, come i nostri
pastori possono sostenerci, quali passi anche noi siamo chiamati a compiere?
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2. LAVORO: Danilo Zampolini (Spoleto-Norcia) e David Girolami (Foligno)
Anche in Umbria la crisi economica generale di questi ultimi anni ha provocato
situazioni di disagio e povertà. Il futuro si presenta incerto e minaccioso. Il
rischio è di perdere, insieme con la sicurezza economica, anche la speranza.
Come deve guardare al futuro un giovane cristiano? Su quali strade impegnarsi
per l'edificazione di una società degna di Dio e degna dell'uomo?
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3. VOCAZIONE: Benedetto Fattorini (Orvieto-Todi) e Chiaroli Maria
(Terni-Narni-Amelia)
Che cosa fare nella vita? Come e dove spendere i talenti che il Signore mi ha
dato?
A volte ci affascina l'idea del sacerdozio o della vita consacrata. Ma subito
nasce la paura. E poi, un impegno così: “per sempre”? Come riconoscere la
chiamata di Dio? Che cosa consiglia a chi vorrebbe dedicare la vita al servizio
di Dio e dei fratelli?
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4. MISSIONE: Luca Nassuato (Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino), Mirko Pierli
(Città di Castello) e Petra Sannipoli (Gubbio)
È bello per noi stare qui insieme con Lei e sentire le Sue parole che ci
incoraggiano e ci riscaldano il cuore. L'anno della fede che si conclude fra
qualche settimana ha riproposto a tutti i credenti l'urgenza dell'annuncio della
buona novella. Anche noi vorremmo partecipare a questa avventura entusiasmante.
Ma come? Quale può essere il nostro contributo? Che cosa dobbiamo fare?
RISPOSTE DEL SANTO PADRE
Cari giovani dell’Umbria,
buona sera!
Grazie di essere venuti,
grazie di questa festa!
Davvero, questa è una festa!
E grazie per le vostre
domande.
Sono contento che la
prima domanda sia stata
da una giovane coppia.
Una bella testimonianza! Due
giovani che hanno scelto,
hanno deciso, con gioia e
con coraggio di formare una
famiglia. Sì, perché è
proprio vero, ci vuole
coraggio per formare una
famiglia! Ci vuole coraggio!
E la domanda di voi, giovani
sposi, si collega a
quella sulla vocazione.
Che cos’è il matrimonio? E’
una vera e propria
vocazione, come lo sono
il sacerdozio e la vita
religiosa. Due cristiani che
si sposano hanno
riconosciuto nella loro
storia di amore la chiamata
del Signore, la vocazione a
formare di due, maschio e
femmina, una sola carne, una
sola vita. E il Sacramento
del matrimonio avvolge
questo amore con la grazia
di Dio, lo radica in Dio
stesso. Con questo dono, con
la certezza di questa
chiamata, si può partire
sicuri, non si ha paura di
nulla, si può affrontare
tutto, insieme!
Pensiamo ai nostri
genitori, ai nostri nonni o
bisnonni: si sono sposati in
condizioni molto più povere
delle nostre, alcuni in
tempo di guerra, o di
dopoguerra; alcuni sono
emigrati, come i miei
genitori. Dove trovavano la
forza? La trovavano nella
certezza che il Signore era
con loro, che la famiglia è
benedetta da Dio col
Sacramento del matrimonio, e
che benedetta è la missione
di mettere al mondo i figli
e di educarli. Con queste
certezze hanno superato
anche le prove più dure.
Erano certezze semplici, ma
vere, formavano delle
colonne che sostenevano il
loro amore. Non è stata
facile, la vita loro;
c’erano problemi, tanti
problemi. Ma queste certezze
semplici li aiutavano ad
andare avanti. E sono
riusciti a fare una bella
famiglia, a dare vita, a
fare crescere i figli.
Cari amici, ci vuole
questa base morale e
spirituale per costruire
bene, in modo solido! Oggi,
questa base non è più
garantita dalle famiglie e
dalla tradizione sociale.
Anzi, la società in cui voi
siete nati privilegia i
diritti individuali
piuttosto che la famiglia -
questi diritti individuali
-, privilegia le relazioni
che durano finché non
sorgono difficoltà, e per
questo a volte parla di
rapporto di coppia, di
famiglia e di matrimonio in
modo superficiale ed
equivoco. Basterebbe
guardare certi programmi
televisivi e si vedono
questi valori! Quante volte
i parroci – anch’io, alcune
volte l’ho sentito – sentono
una coppia che viene a
sposarsi: “Ma voi sapete che
il matrimonio è per tutta la
vita?”. “Ah, noi ci amiamo
tanto, ma… rimarremo insieme
finché dura l’amore. Quando
finisce, uno da una parte e
l’altro dall’altra”. E’
l’egoismo: quando io non
sento, taglio il matrimonio
e mi dimentico di quell’“una
sola carne”, che non può
dividersi. E’ rischioso
sposarsi: è rischioso! E’
quell’egoismo che ci
minaccia, perché dentro di
noi tutti abbiamo la
possibilità di una doppia
personalità: quella che
dice: “Io, libero, io voglio
questo…”, e l’altra che
dice: “Io, me, mi, con me,
per me …”. L’egoismo sempre,
che torna e non sa aprirsi
agli altri. L’altra
difficoltà è questa cultura
del provvisorio: sembra che
niente sia definitivo. Tutto
è provvisorio. Come ho detto
prima: mah, l’amore, finché
dura. Una volta ho sentito
un seminarista – bravo – che
diceva: “Io voglio diventare
prete, ma per dieci anni.
Dopo ci ripenso”. E’ la
cultura del provvisorio, e
Gesù non ci ha salvato
provvisoriamente: ci ha
salvati definitivamente!
Ma lo Spirito Santo
suscita sempre risposte
nuove alle nuove esigenze! E
così si sono moltiplicati
nella Chiesa i cammini per
fidanzati, i corsi di
preparazione al Matrimonio,
i gruppi di giovani coppie
nelle parrocchie, i
movimenti familiari… Sono
una ricchezza immensa! Sono
punti di riferimento per
tutti: giovani in ricerca,
coppie in crisi, genitori in
difficoltà con i figli e
viceversa. Ci aiutano tutti!
E poi ci sono le diverse
forme di accoglienza:
l’affido, l’adozione, le
case-famiglia di vari tipi…
La fantasia – mi permetto la
parola – la fantasia dello
Spirito Santo è infinita, ma
è anche molto concreta!
Allora vorrei dirvi di non
avere paura di fare passi
definitivi: non avere
paura di farli. Quante volte
ho sentito mamme che mi
dicono: “Ma, Padre, io ho un
figlio di 30 anni e non si
sposa: non so cosa fare! Ha
una bella fidanzata, ma non
si decide”. Ma, signora, non
gli stiri più le camicie! E’
così! Non avere paura di
fare passi definitivi, come
quello del matrimonio:
approfondite il vostro
amore, rispettandone i tempi
e le espressioni, pregate,
preparatevi bene, ma poi
abbiate fiducia che il
Signore non vi lascia soli!
Fatelo entrare nella vostra
casa come uno di famiglia,
Lui vi sosterrà sempre.
La famiglia è la
vocazione che Dio ha scritto
nella natura dell’uomo e
della donna, ma c’è un’altra
vocazione complementare al
matrimonio: la chiamata
al celibato e alla verginità
per il Regno dei cieli.
E’ la vocazione che Gesù
stesso ha vissuto. Come
riconoscerla? Come seguirla?
E’ la terza domanda
che mi avete fatto. Ma
qualcuno di voi può pensare:
ma questo vescovo, che
bravo! Abbiamo fatto la
domanda e ha le risposte
tutte pronte, scritte! Io ho
ricevuto le domande alcuni
giorni fa. Per questo le
conosco. E vi rispondo con
due elementi essenziali su
come riconoscere questa
vocazione al sacerdozio o
alla vita consacrata.
Pregare e camminare nella
Chiesa. Queste due cose
vanno insieme, sono
intrecciate. All’origine di
ogni vocazione alla vita
consacrata c’è sempre
un’esperienza forte di Dio,
un’esperienza che non si
dimentica, la si ricorda per
tutta la vita! E’ quella che
ha avuto Francesco. E questo
noi non lo possiamo
calcolare o programmare. Dio
ci sorprende sempre! E’ Dio
che chiama; però è
importante avere un rapporto
quotidiano con Lui,
ascoltarlo in silenzio
davanti al Tabernacolo e
nell’intimo di noi stessi,
parlargli, accostarsi ai
Sacramenti. Avere questo
rapporto familiare con il
Signore è come tenere aperta
la finestra della nostra
vita perché Lui ci faccia
sentire la sua voce, che
cosa vuole da noi. Sarebbe
bello sentire voi, sentire
qui i preti presenti, le
suore… Sarebbe bellissimo,
perché ogni storia è unica,
ma tutte partono da un
incontro che illumina nel
profondo, che tocca il cuore
e coinvolge tutta la
persona: affetto,
intelletto, sensi, tutto. Il
rapporto con Dio non
riguarda solo una parte di
noi stessi, riguarda tutto.
E’ un amore così grande,
così bello, così vero, che
merita tutto e merita tutta
la nostra fiducia. E una
cosa vorrei dirla con forza,
specialmente oggi: la
verginità per il Regno di
Dio non è un “no”, è un
“sì”! Certo, comporta la
rinuncia a un legame
coniugale e ad una propria
famiglia, ma alla base c’è
il “sì”, come risposta al
“sì” totale di Cristo verso
di noi, e questo “sì” rende
fecondi.
Ma qui ad Assisi non c’è
bisogno di parole! C’è
Francesco, c’è Chiara,
parlano loro! Il loro
carisma continua a parlare a
tanti giovani nel mondo
intero: ragazzi e ragazze
che lasciano tutto per
seguire Gesù sulla via del
Vangelo.
Ecco, Vangelo.
Vorrei prendere la parola
“Vangelo” per rispondere
alle altre due domande
che mi avete fatto, la
seconda e la quarta. Una
riguarda l’impegno sociale,
in questo periodo di crisi
che minaccia la speranza; e
l’altra riguarda
l’evangelizzazione, il
portare l’annuncio di Gesù
agli altri. Mi avete
chiesto: che cosa possiamo
fare? Quale può essere il
nostro contributo?
Qui ad Assisi, qui vicino
alla Porziuncola, mi sembra
di sentire la voce di san
Francesco che ci ripete:
“Vangelo, Vangelo!”. Lo dice
anche a me, anzi, prima a
me: Papa Francesco, sii
servitore del Vangelo! Se io
non riesco ad essere un
servitore del Vangelo, la
mia vita non vale niente!
Ma il Vangelo, cari
amici, non riguarda solo la
religione, riguarda l’uomo,
tutto l’uomo, riguarda il
mondo, la società, la
civiltà umana. Il Vangelo è
il messaggio di salvezza di
Dio per l’umanità. Ma quando
diciamo “messaggio di
salvezza”, non è un modo di
dire, non sono semplici
parole o parole vuote come
ce ne sono tante oggi!
L’umanità ha veramente
bisogno di essere salvata!
Lo vediamo ogni giorno
quando sfogliamo il
giornale, o sentiamo le
notizie alla televisione; ma
lo vediamo anche intorno a
noi, nelle persone, nelle
situazioni; e lo vediamo in
noi stessi! Ognuno di noi ha
bisogno di salvezza! Soli
non ce la facciamo! Abbiamo
bisogno di salvezza!
Salvezza da che cosa? Dal
male. Il male opera, fa il
suo lavoro. Ma il male non è
invincibile e il cristiano
non si rassegna di fronte al
male. E voi giovani, volete
rassegnarvi di fronte al
male, alle ingiustizie, alle
difficoltà? Volete o non
volete? [I giovani
rispondono: No!] Ah, va
bene. Questo piace! Il
nostro segreto è che Dio è
più grande del male: ma
questo è vero! Dio è più
grande del male. Dio è amore
infinito, misericordia senza
limiti, e questo Amore ha
vinto il male alla radice
nella morte e risurrezione
di Cristo. Questo è il
Vangelo, la Buona Notizia:
l’amore di Dio ha vinto!
Cristo è morto sulla croce
per i nostri peccati ed è
risorto. Con Lui noi
possiamo lottare contro il
male e vincerlo ogni giorno.
Ci crediamo o no? [I
giovani rispondono: Sì!]
Ma questo ‘sì’ deve andare
nella vita! Se io credo che
Gesù ha vinto il male e mi
salva, devo seguire Gesù,
devo andare sulla strada di
Gesù per tutta la vita.
Allora il Vangelo, questo
messaggio di salvezza, ha
due destinazioni che sono
legate: la prima, suscitare
la fede, e questa è
l’evangelizzazione; la
seconda, trasformare il
mondo secondo il disegno di
Dio, e questa è l’animazione
cristiana della società. Ma
non sono due cose separate,
sono un’unica missione:
portare il Vangelo con la
testimonianza della nostra
vita trasforma il mondo!
Questa è la via: portare il
Vangelo con la testimonianza
della nostra vita.
Guardiamo Francesco: lui
ha fatto tutt’e due queste
cose, con la forza
dell’unico Vangelo.
Francesco ha fatto crescere
la fede, ha rinnovato la
Chiesa; e nello stesso tempo
ha rinnovato la società,
l’ha resa più fraterna, ma
sempre col Vangelo, con la
testimonianza. Sapete che
cosa ha detto Francesco una
volta ai suoi fratelli?
“Predicate sempre il Vangelo
e se fosse necessario, anche
con le parole!”. Ma, come?
Si può predicare il Vangelo
senza le parole? Sì! Con la
testimonianza! Prima la
testimonianza, dopo le
parole! Ma la testimonianza!
Giovani dell’Umbria: fate
così anche voi! Oggi, nel
nome di san Francesco, vi
dico: non ho né oro, né
argento da darvi, ma
qualcosa di molto più
prezioso, il Vangelo di
Gesù. Andate con coraggio!
Con il Vangelo nel cuore e
tra le mani, siate testimoni
della fede con la vostra
vita: portate Cristo nelle
vostre case, annunciatelo
tra i vostri amici,
accoglietelo e servitelo nei
poveri. Giovani, date
all’Umbria un messaggio di
vita, di pace e di speranza!
Potete farlo!
Recita del Padre
Nostro e Benedizione
E per favore, vi chiedo:
pregate per me!
fonte: vatican.va
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