Corrado
Passera, 59 anni, sta parlando con Libero quando arriva il «conto» dei
primi mesi del governo Renzi: la Commissione europea chiede altri
«sforzi» che non sembrano escludere ulteriori manovre già per l’anno in
corso. L’ex numero uno di Banca Intesa, ex ministro di Mario Monti oggi
impegnato nel lancio del movimento «Italia unica », non mostra stupore:
«Tutto sommato l’Europa ci ha trattato bene, visto che abbiamo mandato a
Bruxelles un Def dove continuano ad aumentare le spese correnti dello
Stato, dove gli investimenti continuano a diminuire e dove le riforme
strutturali si annunciano soltanto. Gli otto richiami sono
comunque un monito forte». Passo indietro. Il colloquio con Passera
partiva dal dibattito lanciato da questo quotidiano sulla condizione del
centrodestra italiano, bastonato dal voto delle Europee. Del futuro
politico dell’ex ad di Poste (nominato dal governo Prodi con Ciampi al
Tesoro) si ragiona da quando ruppe, alla fine dell’esecutivo Monti, col
Professore. Si parte da lì per capire i passi che intende muovere.
Fine
2012, Monti è premier uscente e lei ministro allo Sviluppo. È trascorsa
un’era politica, eppure è solo un anno e mezzo fa. Cosa accadde e
perché decise di non salire in campo col Professore? E oggi, cosa vuole
fare?
«Alla partenza di Scelta civica decisi senza
dubbi di non farne parte: non vedevo la forte novità di cui c’era
bisogno e che avevo messo come condizione per il mio impegno. Il mio fu
un “no” alle vecchie facce e alle combinazioni esistenti. Montezemolo,
Casini e Fini convinsero l’allora premier a entrare in un cartello
elettorale di partiti e leader esistenti, e scelsi di non starci».
Lo 0,72% alle Europee di ciò che resta del simbolo montiano l’avrà fatta sorridere…
«Un insuccesso inevitabile: non c’erano né grandi leadership né grandi idee in quel progetto».
Lo
stesso voto del 25 maggio ha fotografato una situazione molto critica
nell’area del centrodestra. Libero ha avviato una discussione su idee e
facce per la «rifondazione ». In questo contesto Silvio Berlusconi è
ancora un nome proponibile?
«Bisogna
rispettare la storia delle persone, ma avere il coraggio di dare un
segnale di rinnovamento. Sono gli italiani a bocciare l’attuale offerta
politica del centrodestra».
Assomiglia a un “no”. Perché ha stravinto Renzi allora?
«Per
alcune ragioni solide: è impossibile non riconoscere la capacità del
premier di dare una forte sensazione di energia e ottimismo dopo governi
tristi e stanchi. Ma anche per condizioni irripetibili: la “sindrome
Grillo” ha fatto sì che il Pd fosse percepito come unica alternativa al
pericolo istituzionale che sembrava crearsi con un trionfo del Movimento
5 Stelle.
È
stata una campagna elettorale di acquisto voti: gli 80 euro - che non
sono 80 - hanno sicuramente convinto molti a votare Renzi. Ma la ragione
principale del successo è stata un’altra: Renzi ha sostanzialmente
giocato a porta vuota per mesi. E questo spiega perché metà degli
italiani non ha votato, o ha votato scheda bianca o nulla. Non si
ritrovano nelle offerte politiche disponibili. Il 40% del Pd va letto
come il 20% degli elettori: in valore assoluto, un milione di voti in
meno di quando Veltroni raggiunse il record del 33%».
Vede a rischio il bipolarismo? Le sta a cuore la ricostituzione di un’offerta politica di centrodestra in Italia? E su che basi?
«Proprio perché è a rischio, serve un bipolarismo vero costruito sulle
due grandi famiglie politiche: socialisti e liberali-popolari. Se i
primi hanno dato mostra di sapersi riorganizzare, pur con vari limiti,
dall’altra parte per ora si vede ben poco, e anche con scarsa capacità
di autocritica. L’attuale frammentazione, la radicalizzazione delle
posizioni e l’asservimento a Renzi non potrebbero che spingere altri
indecisi verso il Pd».
Il riferimento a Lega e Ncd è
piuttosto esplicito… Quali sono i pilastri su cui costruire un’offerta
politica di questo tipo? Il 14 giugno lei terrà la convention di Italia
unica: cosa dirà e farà?
«Il
nostro viaggio è partito in febbraio dopo mesi di preparazione e vuole
essere un grande richiamo allo sviluppo, una risposta all’urlo di dolore
di 10 milioni di persone che non hanno lavoro o sono prive di un lavoro
sufficiente, alle aziende forti che possono trainare la ripresa e alle
tantissime in difficoltà. 400 miliardi da mobilitare tra
investimenti, credito e soldi in tasca a imprese e famiglie. Cinquanta
miliardi di tasse in meno per famiglie e imprese. Modello di sviluppo
basato su istruzione, sviluppo, cultura e ambiente ».
Renzi sottoscriverebbe…
«Non
direi. Il Def prevede ben 50 miliardi di aumento delle spese correnti
dello Stato, e un taglio ulteriore degli investimenti, cioè l’esatto
opposto di quel che sto dicendo. Così sarà impossibile tagliare le
tasse. Vogliamo uno Stato davvero leggero: qui invece vedo tentativi di
riforme di Senato e province dove non cambia nulla.
Portiamo
il Parlamento a una sola Camera, e facciamo uscire i partiti da imprese,
Rai, sanità. Dovunque io sia stato durante il viaggio, la sensazione è
di soffocamento da burocrazia. C’è tanta energia da liberare. Abbiamo
progetti per dare soluzioni economiche e istituzionali, e il 14 giugno
queste proposte diventeranno un cantiere offerto alla politica e al
governo ».
Considera questo governo un interlocutore? Renzi ha parlato di un partito della Nazione, capace di attrarre anche a destra.
«Faccia
quel che crede ma non c’è democrazia moderna senza una reale offerta
bipolarista. Mi pare che questa del partito della Nazione sia l’ennesima
deriva populista. L’Italicum non va bene per questo: forza a
combinazioni troppo eterogenee e non dà governabilità».
Farebbe il premier?
«Nasce
un cantiere aperto, un primo gruppo. Non c’è limite a quel che può
diventare. A partire dal programma noi ci siamo e io ci sono».
Se il centrodestra decidesse di darsi un leader con le primarie, sfiderebbe Berlusconi, Alfano, Salvini o chi per loro?
«Guardi,
io voglio creare una cosa che oggi non c’è. Primarie per mettersi alla
guida di contenitori vecchi non mi interessano. Ci vuole un progetto per
ridare agli italiani che da 20 anni aspettano la rivoluzione liberale
una ragione per un nuovo impegno. Allora si potrà anche parlare di
primarie».
Quando si voterà?
«Tra
l’anno prossimo e il 2018, comunque noi ci saremo. Italia Unica è un
progetto di lungo respiro. Ora parlano di governo di legislatura, ma i
tempi potrebbero essere più brevi se si andasse avanti con la politica
degli ultimi tre mesi. Sarebbe la crisi economica e sociale a forzare il
ritorno alle urne».
Alcune ricostruzioni
attribuiscono a lei un progetto economico diffuso alla fine del governo
Berlusconi in cui avanzava la proposta di una patrimoniale.
«L’estate
2011 vedeva l’Italia scivolare verso il commissariamento. In ogni sede
avevo ipotizzato una patrimoniale alternativa alla property tax, poi
realizzatasi con l’Imu, per finanziare il riavvio degli investimenti.
Tre anni dopo, è inimmaginabile parlare di qualsiasi nuova tassa, e
tantomeno di patrimoniale».
Nell’ultima campagna, Lega
a parte, il problema del ruolo dell’Italia in Europa e quello della
moneta unica non è stato posto. Eppure Draghi insiste su temi fin qui
riservati agli «anti- euro»: il cambio forte, la deflazione. È così
folle ragionare su una disarticolazione dell’euro?
«Considero
una grave responsabilità non aver parlato di Europa e di euro, tanto
più alla luce del semestre di presidenza. L’Europa è il nostro contesto
per garantire pace, prosperità e un ruolo da grande potenza nei prossimi
decenni. Sono stati fatti passi importanti ed errori, fin
dall’introduzione dell’euro e poi allo scoppio della crisi.
Oggi
però la Bce sta diventando una vera banca centrale e sono certo che
riporterà il valore dell’euro più vicino al punto di partenza, e
garantirà liquidità al mercato legandola all’effettiva erogazione del
credito alle imprese. È ora di avviare un piano straordinario di 1.000
miliardi di euro da finanziare solidalmente (eurobond, Bei) per far fare
un salto in avanti alla competitività del sistema Europa».
Lei da ministro si è speso per il saldo dei debiti della PA. Come si sta comportando Renzi?
«Grandissima delusione: il suo impegno è finito nelle pastoie
burocratiche. Il modo per pagare subito c’è, la Spagna lo ho mostrato».
Tanti progetti, ma non rischia di finire contro il muro del 3% che sta inguaiando Renzi?
«Possiamo rimettere in moto l’economia italiana senza deroghe. Mi fanno
un po’ ridere quelli che insistono coi “pugni sul tavolo”. Per
difendere i nostri diritti in Ue dobbiamo essere credibili, presentare
riforme profonde e dimostrare la volontà di realizzarle».
Due indagini relative al suo lavoro precedente sono state archiviate, un’altra è aperta. Teme condizionamenti dai pm?
«No. Guidare aziende con 100 mila dipendenti comporta responsabilità
rilevanti. Con la magistratura abbiamo sempre collaborato e sempre si è
dimostrata la linearità dei miei comportamenti».
Martino Cervo per “Libero Quotidiano”
Nessun commento:
Posta un commento