mercoledì 19 gennaio 2011

Nisi caste, tamen caute

Di fronte a ciò che sta accadendo in questi giorni, e che riempie le pagine dei giornali di intercettazioni e di particolari piccanti sulle avventure del premier, mi è tornata alla mente una massima dei moralisti gesuiti che recitava: nisi caste, tamen caute. Vale a dire: se non riesci a vivere castamente come dovresti, almeno sii cauto nel compiere i tuoi peccati per non dare scandalo.

Si applica benissimo proprio agli uomini con incarichi pubblici. Il presidente della Cei, Angelo Bagnasco, qualche tempo fa ha ricordato che a ogni ruolo pubblico devono corrispondere atteggiamenti e sobrietà adeguate. È per questo che lo sguardo di un cattolico, prima di essere indignato per l’immoralità, si rivolge l’opportunità politica.

La Chiesa stessa non è autorizzata a lanciare anatemi contro un capo di Stato per la sua moralità privata – questione che l’interessato deve risolvere con il suo confessore, se ne ha uno – ma fa benissimo, invece, a preoccuparsi se le vicende private del presidente del Consiglio diventano l’agenda quotidiana del Paese e se la vita politica viene monopolizzata dalle inchieste sulle escort invece che dai problemi reali dei cittadini, creando un clima di instabilità e conflittualità permanente che danneggia l’Italia.

Certo, rimango colpito da un fatto: proprio quelli che sono sempre pronti a denunciare l’intrusione del Vaticano e delle gerarchie ecclesiastiche nella politica italiana, auspicano che la Chiesa metta il naso nella moralità privata del premier e sarebbero pronti ad applaudirla e osannarla se lo facesse. Proprio quelli che hanno sempre predicato il libertinaggio e la sessualità senza regole come una conquista di civiltà, si scoprono improvvisamente bacchettoni quando si tratta dell’inquilino di Arcore.
La storia è piena di esempi di ministri e capi di Stato sciupafemmine e talvolta persino sessuomani che per le loro politiche sono stati sempre rispettati e talvolta decorati dalla Chiesa. Penso ai cardinali e ministri del re di Francia, Richelieu e Mazzarino. Quest’ultimo si diceva che fosse l’amante della regina. Penso a Enrico VIII, che faceva strage di suddite eppure venne proclamato «defensor fidei». Penso al presidente argentino Juan Domingo Perón, cattolicissimo e donnaiolo, o al primo presidente cattolico degli Stati Uniti, John Fitzgerald Kennedy, il quale, nonostante le reiterate infedeltà coniugali, ebbe sempre rapporti eccellenti con la Chiesa americana.

Sia chiaro: con ciò non intendo assolutamente assolvere Berlusconi o minimizzare la portata di ciò che sta purtroppo venendo alla luce e che ci parla di uno squallore morale diffuso. Preferirei certo che vi fossero politici e uomini delle istituzioni dalla vita privata irreprensibile, che fanno buone leggi. Ma è meglio un politico puttaniere che faccia leggi non in contrasto con quelli che il Papa ha definito «valori non negoziabili», piuttosto che un notabile cattolicissimo che poi però fa leggi contrarie alla Chiesa. 

Vittorio Messori, la bussola quotidiana, 19 gennaio 2011


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