mercoledì 9 luglio 2014

Che fine hanno fatto i tecnici?


Oggi li guardi e dici: maddài? Uno si candida da destra ad anti Renzi e gira per l’Italia (ex ministro dello Sviluppo ed ex dominus di Banca Intesa Corrado Passera); l’altra si duole come fosse ieri per le critiche sugli esodati, si difende dichiarando “amarezza” e, quando non insegna, gira per l’Europa (ex ministro del Welfare e prof. Elsa Fornero, fresca di lunga intervista al Garantista).


Per uno che s’addentra quatto quatto in organismi parlamentari e mondanità romane (ex sottosegretario e caterpillar da talk-show Gianfranco Polillo, quello che vedeva bene il Cav. al Quirinale e rispondeva alle critiche poveracciste al grido di: sì, guadagno tanto, ma faccio meno ferie di un metalmeccanico non diplomato), ce n’è un altro che s’affaccia a intermittenza sul Pd da un dipartimento del Tesoro (ex ministro Fabrizio Barca, reduce dal tentativo – fallito – di candidarsi ufficiosamente e senza troppo dirlo ad anti Renzi. Ma non come Passera, ché Barca vorrebbe rifondare sul lato sinistro del Pd).

Un altro ancora, come l’ex sottosegretario ed ex viceministro Antonio Catricalà, è rimasto incredibilmente, dopo anni e anni, senza incarichi di prestigio. E se quello che pare rimpiangere di più la luce perduta è l’insolitamente loquace (nelle interviste ad Alan Friedman) Mario Monti, ex premier e demiurgo della calante Scelta civica, c’è anche chi ha perso la benevolenza del pubblico senza lamenti, come l’ex ministro dell’Interno e prefetto Anna Maria Cancellieri, un anno e mezzo fa addirittura candidata alla presidenza della Repubblica (da Scelta civica), amata come una Miss Marple cresciuta nella Tripoli bel suol d’amore, ma poi mediaticamente macchiata (con indagine della procura di Roma) dal pasticciaccio delle telefonate durante la detenzione di Giulia Ligresti.


Fino a pochi mesi fa nei Palazzi ci passava ancora, Cancellieri, come ministro bis (della Giustizia) nel governo di Enrico Letta, e rispondeva a mozioni di sfiducia individuale per il suddetto affare Ligresti – io mi sono interessata della sorte di una detenuta con problemi di salute, diceva il ministro che spesso criticava il sovraffollamento delle carceri (ma oggi il suo nome viene dai maligni irresistibilmente associato pure al prematuro esaurimento scorte dei costosissimi braccialetti elettronici).

Ed è difficile, ora, nonostante l’avvicinamento agli ambienti di Italia Unica, la Cosa politica lanciata da Corrado Passera, trovare qualcuno che ancora parli con il trasporto del 2011 della simpatia irresistibile del prefetto Cancellieri, nonna in carriera che, con la borsetta sbieca, l’impermeabile e la collana sempre al collo, aveva conquistato la Bologna commissariata. E’ la vita, ed è forse un frequente epilogo per un ministro tecnico, la perdita dell’intoccabilità mediatica. Ma non sempre lo si accetta di buon grado (Mario Monti ed Elsa Fornero mal sopportano le numerose critiche ex post).

Dovevano tutti entrare nella storia come ribaltatori di destini avversi e conti orrorifici, i ministri tecnici, ma vai a capire che cosa la storia di loro ricorderà. I meno irrequieti, comunque, sono tornati sereni ai propri proficui affari, come l’avvocato penalista, professoressa ed ex ministro della Giustizia Paola Severino, avvistata due mesi fa in zona Palazzo Chigi in qualità di legale dell’Ilva commissariata.

Qualcuno, come l’ex ministro dell’Ambiente Corrado Clini, si ritrova dimenticato agli arresti domiciliari per presunto peculato, e c’è anche chi rientra felpato nel tran-tran missionario (ma ben ancorato alla politica romana), come l’ex ministro della Cooperazione nonché fondatore della Comunità di Sant’Egidio, Andrea Riccardi o agli amati studi, come l’ex rettore della Cattolica Lorenzo Ornaghi (ministro della Cultura), il più taciturno di tutti. Molti parlano, twittano, scrivono sui blog, contraddicendo la passata (apparente) riservatezza.

Sono proprio loro, i cosiddetti tecnici, gli ex ministri e sottosegretari di Monti – professori, personalità taumaturgiche, celebrità rarefatte, eccellenze nascoste nei think tank e nelle facoltà, nei consigli delle banche, nelle associazioni di volontariato, nei consessi internazionali – sono loro quelli che adesso (con risultati non sempre esaltanti) sgomitano, punzecchiano, assaporano vendette, commentano e rintuzzano, si concedono e si ritraggono, sognano rivincite, rotolano sempre più lontano dal trono, riprendono silenziosamente posti di potere, spariscono dai radar o lottano sui social network per una parziale riconquista di ribalta, animati da umanissime passioni e ambizioni, irascibili, cordialissimi, fragili o vanitosi quanto prima parevano extraterrestri, algidi e controllati.

Sono loro che adesso, dopo il limbo del governo Letta (che ne aveva riciclato un buon numero), dichiarano ai giornali, sbuffano, si arrabbiano, dissimulano scrivendo post o aspettano, come il cinese sulla riva del fiume. Un totale ribaltamento psicologico da quando erano ombrosi esperti conosciuti soltanto dagli addetti ai lavori, professionisti noti soltanto ad altri professionisti (e al generone romano e all’establishment milanese), “servitori dello stato” in teoria non sfiorati dal miraggio della fama e dalla tentazione pur comprensibile, ma allora scacciata dalla coscienza, dell’avventura politica.

I ministri tecnici di Monti erano quelli che, a fine 2011, incutevano soggezione più che curiosità, con tutte quelle giacche scure e quei sorrisi arcigni e quelle rughe non mascherate (profondità di pensiero, si diceva). Erano arrivati nell’autunno in cui tutti nominavano lo spread-macumba e guardavano le monetine lanciate al Cav. senza vederci il presagio di un’ondata anticasta in Parlamento.

Erano saliti al Colle per il giuramento prima del botto elettorale di Beppe Grillo, prima delle primarie del centrosinistra (quelle del 2012), prima che Matteo Renzi, allora minaccia promettente, si facesse per il vecchio Pd minaccia imminente. Avevano fatto il loro ingresso dietro al primus inter pares dei loden bocconiani e non bocconiani, dietro a quel Mario Monti nuovo senatore a vita, professore ed ex commissario europeo. Parevano fatti di altra pasta, in quelle prime foto da Palazzo Chigi, lontani nella loro allure da “salvatori della patria” in pectore.

E invece. Invece, e non da oggi, te li ritrovi terrigni e terrestri, per nulla quieti, per nulla paghi, autorevoli così così, curiosi di capire dove va il vento anzichenò – e a malapena desiderosi di trattenere i segreti del loro ormai lontano anno e mezzo di governo (pare che Angela Merkel avesse consigliato al senatore a vita e premier Mario Monti la famosa “salita” in politica con la creazione di Scelta civica, ha detto Monti stesso ad Alan Friedman: sarebbe bello che continuassi tu a fare quello che c’è da fare, così più o meno doveva suonare la frase della cancelliera, e vai a capire se Merkel aveva previsto il successivo accartocciarsi del futuro progetto politico firmato dall’allora professore bocconiano – presto ritiratosi stizzito dalle polemiche interne al suo partito prematuramente pericolante).


Spuntano qui e là, gli ex ministri tecnici: chi in un salotto, chi in una piazza, chi in un consiglio semi-governativo (magari dietro i vetri, in un ruolo specialistico ma non per questo disinteressato al mondo). E se per un attimo, nel 2013, sono sembrati in sonno, inghiottiti dal nulla, tempo due mesi erano già tornati sulla scena, intenti a scrivere memorie e a smarcarsi da quel tutt’uno montiano che li aveva portati fino a lì – smarcarsi velatamente, come ha fatto un anno fa l’ex ministro della Coesione territoriale Fabrizio Barca (ero d’accordo col mio governo per i primi cinque mesi, diceva, dissociandosi con gentile posticipo pure dalle riforme di Elsa Fornero).


Oppure smarcarsi apertamente, come fa in continuazione l’ex ministro degli Esteri Giulio Terzi di Sant’Agata, dimessosi a suo tempo per la pasticciata gestione della vicenda Marò, ma oggi molto desideroso di dire che la colpa non fu sua, bensì di Mario Monti e Corrado Passera (“vergognoso errore di Monti su istigazione di Passera”, ha detto Terzi durante una conferenza stampa a Montecitorio, accusando l’ex premier e l’ex ministro dello Sviluppo di aver ceduto a “pressioni economiche” di qualche grande azienda).

Ora a Terzi sembra di poterlo dire, evidentemente, vista anche l’esigenza di lanciarsi come esponente politico di Fratelli d’Italia: ex ministro dal nome nobile, antico e bergamasco, conte di Restenau e cavaliere del Sacro romano impero, Terzi non è più neppure impegnato come ambasciatore (sua precedente carriera), e si è visto distruggere anche l’immagine cui forse aspirava, quella di un Dominique de Villepin lombardo, raffinato uomo di mondo e di governo. Invece deve digerire l’ammaccatura, il diplomatico-politico passato dall’accoglienza a Giorgio Napolitano in quel di New York, durante un incontro con Barack Obama, al mezzo oblio – con generale riprovazione – seguito al caso Marò.

Quasi quasi, al suo posto, ci sarebbe da sognare tutt’altro, per esempio il potere conservato silenziosamente dall’ex collega di governo Vittorio Grilli, ex viceministro e poi ministro dell’Economia di Monti, uomo talmente anglosassone nell’aspetto da non sembrare neppure milanese, forgiato com’è nell’animo dai molti anni trascorsi oltreoceano a studiare in quel di Rochester, nelle lande ventose che portano alle cascate del Niagara.

Grilli, ma che fine ha fatto?, si chiedevano gli osservatori prima di apprendere che l’ex ministro, zitto zitto, nel maggio scorso è diventato presidente del Corporate & Investment Bank per Europa, medio oriente e Africa di Jp Morgan, con base nella Londra sempre amata e mai dimenticata durante il periodo romano e ministeriale (dal 1994 in poi), quand’era dietro le quinte ma sempre a contatto con gli affari che contano (al Tesoro, in epoca di privatizzazioni sotto Ciampi premier).

Grandi case, belle macchine e nuova vita con nuova compagna incorniciano i traslochi dell’ex ministro Grilli, gemello diverso di Corrado Passera: stesso ambiente, opposta indole (Grilli mai si metterebbe a fare un tour per “ascoltare le istanze dell’Italia vera, per conoscere da vicino i problemi, raccogliere soluzioni e avviare il processo costitutivo” di un nuovo movimento, obiettivo invece dell’ex ministro montiano dello Sviluppo).

Si inventano, si reinventano, si deprimono, cadono ma non demordono, gli ex tecnici che hanno perso per strada la voglia di tecnocrazia, e uno dopo l’altro si mettono in viaggio per presentare il fantomatico partito dei sogni: l’ha fatto Barca, quando ancora al governo c’era Enrico Letta e non si pensava che Matteo Renzi sarebbe arrivato così presto, l’ha fatto in qualità di neo iscritto al Pd e figlio di uno storico uomo del Pci, esperto di Economia con studi nell’Inghilterra rigorosa nonché da uomo di ministero (“mobilitazione cognitiva!”, “sperimentalismo democratico!”, “catoblepismo!”, diceva il Barca oratore a platee borghesi raccolte in chiostri, piazzette, sezioni e cortili, desiderose di sperare in quell’uomo così organico al loro ambiente, a differenza del giovane newcomer di Firenze).

Pure da Barca, tuttavia, oltreché da Matteo Renzi, vorrebbe oggi distinguersi l’altro lanciatore di “progetti” post montiani Corrado Passera, inventore (“con gran partecipazione emotiva della moglie Giovanna Salza”, dicono nei salotti romani) della cosiddetta “start-up” del nuovo centrodestra Italia Unica, educatamente alternativa all’assetto attuale di governo, al grido di “il governo non sta dando abbastanza importanza” al disagio sociale, ma non si sa bene quando davvero operativa.

“Non poniamo limiti a dove possiamo arrivare”, dice a se stesso e agli astanti Passera, facendo notare che “a suo avviso”, Renzi non fa “quello che serve all’Italia”, e che invece lui sì, saprebbe come fare e dove prendere e come investire i “quattrocento miliardi” che potrebbero far “ripartire” il paese inceppato – ma per carità, aggiunge per non mostrarsi screanzato, se Renzi è la gamba numero uno noi facciamo la numero due, occupiamo lo spazio degli avversari che non ha più, per smettere di farlo giocare “a porta vuota”.

Ma perché non dovrebbero buttarsi nell’arena, i tecnici che hanno chiuso nell’armadio già da tempo il loden, se il primo a farlo è stato proprio lui, il Monti che alla vigilia del tormentato Natale 2012 aveva tenuto tutti sulle spine: mi candido, non mi candido, forse mi candido, forse “salgo” in politica, forse scendo e faccio il nonno (infine “salì”, con risultati via via sempre meno soddisfacenti: dal non proprio trionfale 8, 3 per cento di Scelta civica alle politiche 2013 si è arrivati allo zero virgola delle europee, un mese fa).

Ed è come se gli anni interminabili di onorate carriere e retribuzioni di tutto rispetto (quelle ora criticate dai grillini) fossero nulla in confronto al quarto d’ora di celebrità (vanità?): io faccio, io dico, io scrivo, questo il verbo tecnico nella sua metamorfosi mondana. E anche quando rientrano nelle vite piacevoli e operose abbandonate per lo scranno ministeriale poi non resistono, i tecnici: tornano sul luogo del delitto autolodandosi (Passera si dice molto “soddisfatto” dei suoi “dodici mesi da ministro” dello Sviluppo economico, tra la fine del 2011 e l’inizio del 2013).

Erano emersi dalla penombra delle università, gli uomini e le donne di Monti, dai velluti degli studi professionali e dei convegni, senza vezzi e toni sopra le righe, con sguardo dolente, quello conservato anche a tempo scaduto dalla professoressa Elsa Fornero, il ministro che piangeva per la durezza della sua propria riforma (“il tormento, si intravede il tormento”, dicevano i generosi; “lacrime di coccodrillo”, dicevano gli avversari). Non esitava a definire i giovani troppo “choosy”, schizzinosi in tema di lavoro, Fornero, e c’era chi la paragonava a Margaret Thatcher, la lady di ferro che non abbandonava mai gli orecchini di perle, amuleto e antidoto estetico alla severità.

Nei giorni della lotta con la Cgil di Susanna Camusso, a Fornero molti inneggiavano – fa fuori la concertazione, dicevano gli estimatori – ma via via l’ammirazione si è trasformata in sopportazione e disinteresse, infine in critica aperta. Fornero è tornata ai suoi ambienti di alta torinesità e alta milanesità, tra insegnamento e cene con intellettuali e alti vertici di Intesa Sanpaolo, ma appena qualcuno rievoca la vicenda “esodati” lei salta su, come ferita dall’oltraggio a valle, e dice che si fa presto “a distruggere reputazioni”.


A differenza di Terzi e Passera, telematici come i rottamatori di Renzi oggi al governo, Fornero non è una pasdaran dei social network, eppure condivide con i colleghi la voglia di raccontare “com’è andata davvero”, tipica del tecnico liberato dalla necessità di essere muto come prima della ribalta fugace, delle grane e dei sogni di gloria.

E visti i tanti ex montiani che non abbandonano il campo, e girano e parlano e propongono e ricordano, qualcuno comincia a invocare l’intervento del professor Dino Piero Giarda, il simpatico e fisiognomicamente bonario ex ministro per i Rapporti col Parlamento e l’attuazione del programma, che in conferenza stampa riprendeva i compagni di governo Grilli e Passera, inchiodandoli con un “fact checking” privo di acrimonia: “Non avendo competenze specifiche nella materia”, diceva, “il mio compito qui è stato quello di correggere un po’ degli errori che a volte vengono fatti dai miei colleghi, ministri e amici”. E Monti, un Monti pre-politico, gli diceva: “Correggi anche me se serve”.

fonte: Marianna Rizzini per “Il Foglio


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