Art. 18.
Reintegrazione nel posto di lavoro. (1)
Reintegrazione nel posto di lavoro. (1)
Il
giudice, con la sentenza con la quale dichiara la nullità del
licenziamento perché discriminatorio ai sensi dell'articolo 3 della
legge 11 maggio 1990, n. 108, ovvero intimato in concomitanza col
matrimonio ai sensi dell'articolo 35 del codice delle pari opportunità
tra uomo e donna, di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, o
in violazione dei divieti di licenziamento di cui all'articolo 54,
commi 1, 6, 7 e 9, del testo unico delle disposizioni legislative in
materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, di cui
al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, e successive
modificazioni, ovvero perché riconducibile ad altri casi di nullità
previsti dalla legge o determinato da un motivo illecito determinante ai
sensi dell'articolo 1345 del codice civile, ordina al datore di lavoro,
imprenditore o non imprenditore, la reintegrazione del lavoratore nel
posto di lavoro, indipendentemente dal motivo formalmente addotto e
quale che sia il numero dei dipendenti occupati dal datore di lavoro. La
presente disposizione si applica anche ai dirigenti. A seguito
dell'ordine di reintegrazione, il rapporto di lavoro si intende risolto
quando il lavoratore non abbia ripreso servizio entro trenta giorni
dall'invito del datore di lavoro, salvo il caso in cui abbia richiesto
l'indennità di cui al terzo comma del presente articolo. Il regime di
cui al presente articolo si applica anche al licenziamento dichiarato
inefficace perché intimato in forma orale. (2)
Il
giudice, con la sentenza di cui al primo comma, condanna altresì il
datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore per il
licenziamento di cui sia stata accertata la nullità, stabilendo a tal
fine un'indennità commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto
maturata dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva
reintegrazione, dedotto quanto percepito, nel periodo di estromissione,
per lo svolgimento di altre attività lavorative. In ogni caso la misura
del risarcimento non potrà essere inferiore a cinque mensilità della
retribuzione globale di fatto. Il datore di lavoro è condannato inoltre,
per il medesimo periodo, al versamento dei contributi previdenziali e
assistenziali. (2)
Fermo restando il diritto al
risarcimento del danno come previsto al secondo comma, al lavoratore è
data la facoltà di chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della
reintegrazione nel posto di lavoro, un'indennità pari a quindici
mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, la cui richiesta
determina la risoluzione del rapporto di lavoro, e che non è
assoggettata a contribuzione previdenziale. La richiesta dell'indennità
deve essere effettuata entro trenta giorni dalla comunicazione del
deposito della sentenza, o dall'invito del datore di lavoro a riprendere
servizio, se anteriore alla predetta comunicazione. (2)
Il
giudice, nelle ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del
giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore
di lavoro, per insussistenza del fatto contestato ovvero perché il fatto
rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla
base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici
disciplinari applicabili, annulla il licenziamento e condanna il datore
di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro di cui al primo comma e
al pagamento di un'indennità risarcitoria commisurata all'ultima
retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello
dell'effettiva reintegrazione, dedotto quanto il lavoratore ha
percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre
attività lavorative, nonché quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi
con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione. In ogni caso la
misura dell'indennità risarcitoria non può essere superiore a dodici
mensilità della retribuzione globale di fatto. Il datore di lavoro è
condannato, altresì, al versamento dei contributi previdenziali e
assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello della effettiva
reintegrazione, maggiorati degli interessi nella misura legale senza
applicazione di sanzioni per omessa o ritardata contribuzione, per un
importo pari al differenziale contributivo esistente tra la
contribuzione che sarebbe stata maturata nel rapporto di lavoro risolto
dall'illegittimo licenziamento e quella accreditata al lavoratore in
conseguenza dello svolgimento di altre attività lavorative. In
quest'ultimo caso, qualora i contributi afferiscano ad altra gestione
previdenziale, essi sono imputati d'ufficio alla gestione corrispondente
all'attività lavorativa svolta dal dipendente licenziato, con addebito
dei relativi costi al datore di lavoro. A seguito dell'ordine di
reintegrazione, il rapporto di lavoro si intende risolto quando il
lavoratore non abbia ripreso servizio entro trenta giorni dall'invito
del datore di lavoro, salvo il caso in cui abbia richiesto l'indennità
sostitutiva della reintegrazione nel posto di lavoro ai sensi del terzo
comma. (2)
Il giudice, nelle altre ipotesi in cui
accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo
o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, dichiara risolto il
rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e condanna
il datore di lavoro al pagamento di un'indennità risarcitoria
onnicomprensiva determinata tra un minimo di dodici e un massimo di
ventiquattro mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, in
relazione all'anzianità del lavoratore e tenuto conto del numero dei
dipendenti occupati, delle dimensioni dell'attività economica, del
comportamento e delle condizioni delle parti, con onere di specifica
motivazione a tale riguardo. (2)
Nell'ipotesi in cui
il licenziamento sia dichiarato inefficace per violazione del requisito
di motivazione di cui all'articolo 2, comma 2, della legge 15 luglio
1966, n. 604, e successive modificazioni, della procedura di cui
all'articolo 7 della presente legge, o della procedura di cui
all'articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive
modificazioni, si applica il regime di cui al quinto comma, ma con
attribuzione al lavoratore di un'indennità risarcitoria onnicomprensiva
determinata, in relazione alla gravità della violazione formale o
procedurale commessa dal datore di lavoro, tra un minimo di sei e un
massimo di dodici mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto,
con onere di specifica motivazione a tale riguardo, a meno che il
giudice, sulla base della domanda del lavoratore, accerti che vi è anche
un difetto di giustificazione del licenziamento, nel qual caso applica,
in luogo di quelle previste dal presente comma, le tutele di cui ai
commi quarto, quinto o settimo. (3)
Il giudice applica
la medesima disciplina di cui al quarto comma del presente articolo
nell'ipotesi in cui accerti il difetto di giustificazione del
licenziamento intimato, anche ai sensi degli articoli 4, comma 4, e 10,
comma 3, della legge 12 marzo 1999, n. 68, per motivo oggettivo
consistente nell'inidoneità fisica o psichica del lavoratore, ovvero che
il licenziamento è stato intimato in violazione dell'articolo 2110,
secondo comma, del codice civile. Può altresì applicare la predetta
disciplina nell'ipotesi in cui accerti la manifesta insussistenza del
fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo;
nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del
predetto giustificato motivo, il giudice applica la disciplina di cui al
quinto comma. In tale ultimo caso il giudice, ai fini della
determinazione dell'indennità tra il minimo e il massimo previsti, tiene
conto, oltre ai criteri di cui al quinto comma, delle iniziative
assunte dal lavoratore per la ricerca di una nuova occupazione e del
comportamento delle parti nell'ambito della procedura di cui
all'articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive
modificazioni. Qualora, nel corso del giudizio, sulla base della domanda
formulata dal lavoratore, il licenziamento risulti determinato da
ragioni discriminatorie o disciplinari, trovano applicazione le relative
tutele previste dal presente articolo. (4)
Le
disposizioni dei commi dal quarto al settimo si applicano al datore di
lavoro, imprenditore o non imprenditore, che in ciascuna sede,
stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto
luogo il licenziamento occupa alle sue dipendenze più di quindici
lavoratori o più di cinque se si tratta di imprenditore agricolo, nonché
al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, che nell'ambito
dello stesso comune occupa più di quindici dipendenti e all'impresa
agricola che nel medesimo ambito territoriale occupa più di cinque
dipendenti, anche se ciascuna unità produttiva, singolarmente
considerata, non raggiunge tali limiti, e in ogni caso al datore di
lavoro, imprenditore e non imprenditore, che occupa più di sessanta
dipendenti. (29) (4)
Ai fini del computo del numero
dei dipendenti di cui all'ottavo comma si tiene conto dei lavoratori
assunti con contratto a tempo indeterminato parziale per la quota di
orario effettivamente svolto, tenendo conto, a tale proposito, che il
computo delle unità lavorative fa riferimento all'orario previsto dalla
contrattazione collettiva del settore. Non si computano il coniuge e i
parenti del datore di lavoro entro il secondo grado in linea diretta e
in linea collaterale. Il computo dei limiti occupazionali di cui
all'ottavo comma non incide su norme o istituti che prevedono
agevolazioni finanziarie o creditizie. (4)
Nell'ipotesi
di revoca del licenziamento, purché effettuata entro il termine di
quindici giorni dalla comunicazione al datore di lavoro
dell'impugnazione del medesimo, il rapporto di lavoro si intende
ripristinato senza soluzione di continuità, con diritto del lavoratore
alla retribuzione maturata nel periodo precedente alla revoca, e non
trovano applicazione i regimi sanzionatori previsti dal presente
articolo. (4)
Nell'ipotesi di licenziamento dei
lavoratori di cui all'articolo 22, su istanza congiunta del lavoratore e
del sindacato cui questi aderisce o conferisca mandato, il giudice, in
ogni stato e grado del giudizio di merito, può disporre con ordinanza,
quando ritenga irrilevanti o insufficienti gli elementi di prova forniti
dal datore di lavoro, la reintegrazione del lavoratore nel posto di
lavoro.
L'ordinanza di cui al comma precedente può essere
impugnata con reclamo immediato al giudice medesimo che l'ha
pronunciata. Si applicano le disposizioni dell'articolo 178, terzo,
quarto, quinto e sesto comma del codice di procedura civile.
L'ordinanza può essere revocata con la sentenza che decide la causa.
Nell'ipotesi
di licenziamento dei lavoratori di cui all'articolo 22, il datore di
lavoro che non ottempera alla sentenza di cui al primo comma ovvero
all'ordinanza di cui all'undicesimo comma, non impugnata o confermata
dal giudice che l'ha pronunciata, è tenuto anche, per ogni giorno di
ritardo, al pagamento a favore del Fondo adeguamento pensioni di una
somma pari all'importo della retribuzione dovuta al lavoratore. (5)
(1) Rubrica così sostituita dall'art. 1, comma 42, lett. a), L. 28 giugno 2012, n. 92.
(2) Comma così sostituito dall’ art. 1, comma 42, lett. b), L. 28 giugno 2012, n. 92, che ha sostituito gli originari commi dal primo al sesto con gli attuali commi dal primo al decimo. In precedenza il presente comma era stato sostituito dall’ art. 1, L. 11 maggio 1990, n. 108.
(3) Comma così sostituito dall'art. 1, comma 42, lett. b), L. 28 giugno 2012, n. 92, che ha sostituito i commi dal primo al sesto con gli attuali commi dal primo al decimo.
(4) Comma aggiunto dall’ art. 1, comma 42, lett. b), L. 28 giugno 2012, n. 92, che ha sostituito gli originari commi dal primo al sesto con gli attuali commi dal primo al decimo.
(5) Comma così modificato dall'art. 1, comma 42, lett. c), L. 28 giugno 2012, n. 92.
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