mercoledì 3 settembre 2014

La tempesta in arrivo

Mario Sechi per “Il Foglio”, 3 settembre 2014


Vedi quelli della “Costituzione più bella del mondo”. E dici: meglio Renzi. Vedi quelli del “golpe e della svolta autoritaria”. Meglio Renzi. Vedi l’ancien régime del para-Stato manovrare nell’ombra. Meglio Renzi. Vedi il piccolo establishment rivendicare il diritto inalienabile di spolpare l’osso. Meglio Renzi. Leggi Scalfari, senza mai un’autocritica. Meglio Renzi. Leggi Travaglio, a caccia del nemico a prescindere. Meglio Renzi.

Vedi i renzisti in tweet e moschetto. Meglio Renzi. Il problema è che poi vedi Renzi. E allora tutto il “meglio” del premier fiorentino finisce in un mare di bischerate che si stanno accumulando e cominciano a essere una cosa grave ma non seria, un pasticciaccio brutto, un gaddiano gnommero da sberreta’ che emerge continuamente nei miei pensieri, il dilemma del renzismo, del suo (sempre Gadda fu) “rammollimento” iperveloce, un groviglio, un gomitolo di rovi, un intrico di tutto e il contrario di tutto alimentato dallo stesso presidente del Consiglio. Lo gnommero.

Non mi sfugge la necessità del governo Renzi – lo sostengo e non oso immaginare una sua caduta – ma il suo destino dipende da “causali” (ancora lui, l’ingegnere) che si stanno gonfiando come un gigantesco soufflé dimenticato nella cucina di Palazzo Chigi. Prima o poi, scoppia. E lo chef? Sembra sempre da un’altra parte, impegnato in un reality sui cuochi, davanti alla telecamera, come un Cracco qualsiasi, a illustrare i futuri estrosi piatti da impadellare, mentre il semplice pranzo del Paese sta bruciando. Meglio Renzi, ma se la cucina va a fuoco, che facciamo?


Meglio scrivere subito, a futura memoria. Raccontare la genesi dello gnommero renziano, il suo avvolgimento pazzo e lo svolgimento possibile, non prometeico e senza banalità faunistiche, gufismi che non hanno la nobiltà letteraria della categoria del gattopardismo. Il renzismo allora, quando comincia?

Non quello della rottamazione (altra storia, altro ritmo) ma quello di governo, lo gnommero da sberreta’ che ho/abbiamo davanti. Entra in scena il 24 febbraio di quest’anno al Senato. Dichiarazioni programmatiche del Presidente del Consiglio. Matteo Renzi fa il suo ingresso a Palazzo Madama, sede della rottamanda istituzione e svolge un discorso lunghissimo, verboso, lontano dall’asciuttezza di stile e contenuto che avrebbe dovuto dare un primo decisivo senso alla rivoluzione renziana.


Niente, Matteo finisce il suo intervento. Drin, squilla il telefono: “Vedi? E’ un bluff”. Drin, di nuovo: “Te l’avevo detto che non è capace”. Aridrin: “Sei ancora convinto che meglio lui degli altri?”. Drin. Drin. Drin. Destra, sinistra centro, agnostici, tipi da bar, milionari, poveri, borghesi, popolani, rentier, nerd e panettieri, sono amici e conoscenti che hanno l’hashtag fisso #iononcredoinrenzi e io ribatto come voglio e posso un “basta, siete degli inguaribili peggioristi, non vi va bene mai niente”, ma ho la sensazione che qualcosa non giri per il verso giusto nel “cambiare verso”.

E mi ritrovo in pieno nelle parole dette da Giuliano Ferrara a Sky Tg24: “Il discorso mi ha fatto venire il latte alle ginocchia”. Vabbè, la sera ascolto Francesco De Gregori e provo a convincermi che “il ragazzo si farà, ha le spalle strette e giocherà con la maglia numero sette”. Sì, dài, meglio Renzi.

E poi ha le palle e prima o poi le tira fuori, d’acciaio eh, mi raccomando. E poi il 18 gennaio ha incontrato Berlusconi e stretto il Patto del Nazareno, e si chiude (forse) la stagione della caccia all’uomo e dell’odio elevato a standard politico, ha una squadra di governo giovane, sì commetteranno degli errori, ma vivaddio basta con il regimetto che ha le ragnatele addosso.

Ci sta tutto, anche l’inizio da spaccone che non spacca, su che dormo tranquillo. Meglio Renzi. Passa un mesetto, c’è Renzi in tv a tutte le ore, ti dà il buongiorno con Twitter e la buonanotte con i tg della Rai già renzizzati senza gentile richiesta del premier, scrivo con divertimento quel che succede durante la settimana per Il Foglio, il segretario fiorentino semina il panico nel sottobosco ministeriale e delle partecipate dello Stato, quello del “Franza o Spagna basta che se magna”.

Sì, ho la strana sensazione che stia elevando il gufismo a paradigma politico, il suo lessico comincia ad essere monocorde, ma in fondo tout va. Meglio Renzi. Drin! Rispondo. “Guarda che il tuo caro leader vuole mettere il capo dei vigili urbani di Firenze a Palazzo Chigi”. “Dài, è una cazzata”. Ma la fonte è quella che io definisco “tripla A”. Mai una sòla in vent’anni di cronaca politica. Verifico. Tutto vero.

Di cosa deve occuparsi la signora Manzione? Capo del dipartimento affari giuridici e legislativi. E cosa fa quell’ufficio? Coordina l’attività del governo, tiene i rapporti con la Corte Costituzionale, Avvocatura dello Stato, Corti Internazionali, è il fondamentale consulente giuridico dell’esecutivo. Il capo dei vigili urbani di Firenze… ma che cazzo sta pensando il nostro caro leader? Sento arrivare la tempesta. E’ la classica scelta di un leader che non si fida dell’alta burocrazia, dà l’impressione di cercare fedeltà prima che competenza. La fedeltà… Mi viene in mente Gordon Gekko: “Se vuoi un amico, prendi un cane”. Massì, comunque meglio Renzi.


Tuoni e lampi si manifestano il 10 aprile quando esce la notizia che la Corte dei Conti non digerisce la nomina della Manzione e sputa l’osso. Non avrebbe i requisiti. La verità è che perfino l’atto di nomina è un pasticcio. Ne serve un altro. A Palazzo Chigi riscrivono tutto. E la Corte dei Conti dà il via libera alla nomina all’inizio di maggio. Osso ingoiato. Si ricomincia, ma quel nocciolino resta indigeribile per l’alta burocrazia. E si vedrà. Tivù tivù per dare agli italiani del tu e spiegare e forse piegare. Renzi la sera del 9 maggio compare su Rai2, a “Virus”, e confessa: “Me l’hanno fatto penare, ma ora la Manzione è qui”.

Canta vittoria. Lo osservo mentre lo dice e penso, maddeché, d’ora in poi ogni atto che esce dalle stanze del governo e finisce nelle mani dell’alta burocrazia sarà oggetto di speciale attenzione. Vedrai, caro Matteo, che traffico di timbri e pareri tra un ufficio e l’altro. Altro che vigilessa. Pazienza, andiamo avanti, cambiamo verso, ‘che resta sempre meglio Renzi. E poi c’è l’onda lunga, il 25 maggio si vota per le Europee, il premier va in giro per l’Italia e fa il pienone ovunque. E’ il suo momento, spinge sulla comunicazione, deve riempire il forziere di voti, chissenefrega della macchinina brum brum del governo.


Il 9 maggio Renzi twitta le foto dei cedolini con gli 80 euro che il ministro Padoan gli ha appena consegnato. Ah, la propaganda. Strike. L’11 maggio è a Monfalcone per il business navale di Fincantieri, poi al raduno degli alpini (foto retrò del capo, in studiato bianco e nero), sempre lo stesso giorno comunica di non essere interista, ma Zanetti è fico, il 12 maggio informa le masse che si discute la riforma del terzo settore (please, cambiate nome a questa cosa), il 13 maggio scoppia il casino dell’Expo che poi risolverà con la nomina del magistrato Raffaele Cantone. In toga we trust.

La sera Renzi va a “Ballarò” e litiga con Giovanni Floris, lui spiega che “niente paura. Il futuro arriverà anche alla Rai. Senza ordini dei partiti”, l’altro si sposterà in zona Urbano Cairo, a La7. Il 14 maggio il premier va a Napoli, Palermo e Reggio Calabria. Fa sempre il pieno. Il 15 maggio mette una pezza per Electrolux, mentre il Pd ordina l’arresto del suo deputato, Genovese. Sempre in toga we trust.

E’ al rush finale, Renzi vola a Cesena, Pesaro, Modena, Reggio, Napoli, Bergamo, Bari, Olbia e Roma “dove tutto è cominciato”, viaggia in Vespa e va a “Porta a Porta”. Spietato, chiude la campagna elettorale con una conferenza stampa a Palazzo Chigi sugli 80 euro. Una macchina da guerra elettorale. E infatti il 25 maggio Renzi raccoglie la sua – e non del Pd - grande vittoria alle Europee. Lui twitta: “Un risultato storico”. Clap. Clap. Clap. Perfetto.

E il governo? Perbacco, con la vigilessa, ma fermissimo al semaforo. Servono manovre diversive, un’arma di distrazione di massa. Eccola. Da questo momento Renzi comincia un’escalation fatta di liberazioni di ostaggi, foto opportunity in similpelle obamiano, e retorica gufista.

Un’autocelebrazione da Instagram che non promette nulla di buono. Sì, perbacco, meglio Renzi, ma qualcosa si sta incartando di brutto nella liturgia renziana, nel suo cerchietto poco magico che parla solo toscano e aspira tutto come un bidone. C’è lontano come un rumore di ferraglia, il Novecento che, in fondo, è ancora là, ruggisce, dice che la fabbrica, il lavoro, l’occupazione, la produzione, le tasse, il duro mestiere del governo con i suoi grattacapi burocratici, la scrittura delle leggi, non sono cose che si risolvono con le slide e i tweet geneticamente modificati da un paio di startuppari che l’impresa ce la raccontano, ma guai a farla loro.

La fase liberiamo tutti e facciamoci un selfie comincia il 26 maggio, quando Renzi annuncia online: “Ho appena dato il via libera: un aereo della Repubblica italiana parte per il Congo per riportare i bambini adottati bloccati da mesi #acasa”.

Linguaggio da Commander in chief. Il resto viene direttamente dal manuale del perfetto pierre: photo-book volante di Maria Elena Boschi con le sublimi treccine e gli splendidi bambini. Una volta, dài, ci sta. No, si replica. Poche ore dopo, altro blitz: “Ho appena comunicato a Giovanna Motka che suo figlio Federico, sequestrato da oltre un anno, sta rientrando e sarà in Italia domani #acasa”. Gimme five, subcomandante Renzi.

Il primo giugno l’action movie è ancora in tutte le sale: “Don Giampaolo e Don Gianantonio saranno #acasa stanotte. Bentornati e un abbraccio alle loro comunità e ai loro amici”. Tweet e retweet della Mogherini, sacerdoti a casa. Amen. No, tutti fermi sui banchi ‘che la messa liberatoria non è finita. Il 24 luglio Matteo gioisce: “Una ragazza che ha partorito in catene per le propria fede, oggi è libera. L'Italia è anche questo.

La politica è anche questo #meriam”. Tutti in pista per l’atterraggio. Flash. Clic. Tweet. Nel bel mezzo della fase da commando speciale, compare un Renzi a pedali: “Mamma mia, Nibali #chapeau” (Tour de France, 24 luglio); un Renzi africano (video sul jet di Stato, 4 minuti e 5 secondi su YouTube incorporato nel profilo Twitter, 23 luglio); un Renzi autobiografico con la foto della sua caotica scrivania di Palazzo Chigi (8 luglio); un Renzi da Grande Slam che retwitta il cinguettìo del profilo ufficiale di Wimbledon sulla vittoria di Sara Errani e Roberta Vinci (5 luglio).

E i gufi? Nidificano, cribbio, il 28 luglio e…toh! Svolazzano quando si citano i conti pubblici, l’economia, la materia incandescente di qualsiasi governo. Renzi, nuovo stratega del Mediterraneo: “I gufi, le riforme, i conti non mi preoccupano. La Libia sì invece. Ma sembra impossibile parlare seriamente di politica estera #piccinerie”. E ora al lavoro, pancia a terra altrimenti niente vacanze, fannulloni, c’è il Senato da demolire.


Agosto affonda così, come il sommergibile del Capitano Nemo, il Nautilus. Talmente potente da essere scambiato per un mostro marino, una creatura degli abissi. Dopo molte avventure, diventerà la bara di Nemo. Ma ora è tempo di navigare, perché “Noi andiamo avanti, con metodo e decisione #sbloccaitalia #lavoltabuona” twitta il Capitano Renzi il 1° agosto. Metodo? Il punto interrogativo mi resta in testa come un rumore di piatti rotti durante una cena a lume di candela, ma basta con le stoviglie e meglio Renzi.

L’8 agosto il Senato vota il suo ridimensionamento e penso che, in fondo – sempre più in fondo – Renzi questo l’ha fatto e “nessuno potrà più fermare il cambiamento iniziato oggi”. Quattro letture, nel frattempo io leggo i dati dell’economia e il governo mi sembra in alto mare. Mario Draghi il giorno prima ha lanciato un messaggio in bottiglia a quelli che le riforme le annunciano ma non le fanno, parla di cessioni di sovranità, ma Renzi invece di cogliere la palla al balzo fa un pasticcio e gioca all’autoscontro con l’unico che può dargli una mano. Esibisce i muscoli al posto del cervello. Rimedia il testacoda in curva con un incontro privato il 12 agosto in Umbria, a casa di Draghi.


C’è scritto “RISERVATO” grande così sulla porta, ma la cosa spiffera qua e là, il Corriere dell’Umbria ci fa un titolo e lui, il premier, invece di stare quatto e silente ‘che è pieno di volpi nordiche in giro, conferma come un pivello. A Berlino cominciano a fumare gli ingranaggi. Il Nautilus imbarca acqua.

E Nomfup alias Filippo Sensi, il suo portavoce, l’11 agosto manda in rete una cosa che mi sembra una premonizione: “O capitano, mio capitano”. Se n’è andato Robin Williams e l’attimo sarà pur fuggente, ma io ricordo bene una splendida professoressa - talmente bella da essere il più grande incentivo a frequentare la biblioteca - che mi raccontò di quei versi scritti da Walt Whitman nel 1865 per l’assassinio di Abramo Lincoln: “O stillanti gocce rosse / Dove sul ponte giace il mio Capitano. / Caduto freddo e morto”. Renzi retwitta, senza scaramanzie, forse non ha mai letto Whitman e poi chissà com’era la sua prof.

Vede Napoli, neanche a dirlo, visita una start-up, saluta il Papa (foto), Gela, Termini Imerese e “buon ferragosto”. Ecco, immagino, ora tira un profondo respiro, parla con la moglie e, diamine, ci pensa, sì che ci pensa. Tutti i dati economici fanno schifo, serve una reazione vera, perché non parli? Manco fossi Michelangelo di fronte alla Pietà. Niente da fare. Gli annunci continuano, il 19 agosto è la volta delle “linee guida della scuola” che poi spariranno insieme al ministro dell’Istruzione Stefania Giannini. Poi vola in Iraq e anche là, purtroppo, diventa tutto un selfie, un tweet, un bagno di folla e bambini con una serie di spericolate analisi geopolitiche.


Pazienza, meglio Renzi, in fondo lui in Kurdistan c’è. Però ora basta, dài, fermati un po’ a pensare. Guerra. Pace. E ammore. Il 20 agosto esce un servizio su Diva e Donna, tutte le vacanze di Renzi in posa con la sua signora, un ritratto innaturale, così goffo da risultare un sublime, incartato, nonsense tipografico del ridicolo. Drin! “Lo vedi? E’ peggio di Berlusconi!”. Macché, quella era una narrazione poprock di un tipo italiano, il self-made man di Daniel Defoe adattato al ritmo latino, questo è un fenomeno che comincia ad apparirmi diverso, nuovo sì, ma di caratura e durata ancora da definire. Renzismo uguale berlusconismo? No, ragazzi, Berlusconi è l’originale e non c’è matrice, nonostante l’era della tecnica, non è riproducibile. Meglio Renzi? Calma e gesso, agosto non è finito e infatti eccolo qui, il 22 agosto, lo statista che si fa la doccia gelata.

Ok, per me è una buona notizia, siamo al fondo, da questo momento comincia la risalita, ne sono sicuro, daje, mejo Renzi. Incontro al mare uno dei più grandi imprenditori italiani, globalizzato, pieno di iniziativa e buon senso, è innamorato del nostro Paese, è un patriota. Gli dico: Renzi ha attaccato i capitalisti dei salotti, i soliti noti. Forse pure lei c’è in mezzo. Lui risponde: i capitalisti non si scelgono a tavolino, sono quelli che hanno i capitali e li usano per fare impresa. Se sa l’indirizzo di un salotto, me lo dia, io non ne conosco ed è finita pure Mediobanca. Touch down.


Mentre Renzi si fa la doccia gelata, Mario Draghi – l’unico che nella copertina del ‘Conomist tira via l’acqua dalla barca europea che affonda – al meeting dei banchieri centrali di Jackson Hole fa un discorso che apre a una stagione diversa, meno austera e più riformista. L’unico che lo capisce è Napolitano che lo cita in un comunicato prima del consiglio dei ministri del 29 agosto.

E lo capisce anche Angela Merkel che secondo indiscrezioni ha telefonato a Draghi in pieno assetto da combattimento. E lei, ovviamente, a differenza di Renzi, non conferma un colloquio privato. E’ la diplomazia, bellezza. Non la nostra. E questo accade dopo il ritorno in ufficio di Renzi, il 25 agosto, intwittato pure quello alle 6 e 20 del mattino con una fota di Palazzo Chigi ancora in penombra: #ciaovacanze.

Che dire? C’è molto Alberto Sordi in tutto questo, è il carattere italiano, un cabarettismo che emerge sempre, soprattutto quando la situazione appare tragica. Vabbè dài, l’importante è che lavori. Meglio Renzi. C’è un consiglio dei ministri il 29 agosto, Napolitano è tutta l’estate che riceve, vede, consiglia. Sarà tutto a posto, uno immagina così per professione di ottimismo e mejorismo renziano. Rien va plus, il consiglio dei ministri è un mezzo disastro.


Lo Sblocca Italia un pasticcio senza coperture, riscritto all’ultimo minuto. La Scuola delle centomila assunzioni a piè di lista finisce in archivio e si vedrà che farne, la riforma della Giustizia è una supercazzola a cui mancano le cose serie e vent’anni di guerra nucleare tra politica e procure della Repubblica oggi in dissesto ideologico. Renzi è costretto a rimangiarsi i tweet con le anticipazioni mirabolanti, mentre piovono dall’Istat dati economici da Armageddon e lui, il premier, dice chissenefrega delle virgole tanto io so’ er più e c’è un carretto di gelati a Palazzo Chigi per rispondere ai gufi di Londra. Buone notizie? Sono un patriota, viva la Mogherini Lady Pesc e bravo Renzi a tenere duro e basta francesi, tedeschi e inglesi, siamo italiani.

Dio, manca la canzone di Toto Cutugno “lasciatemi cantare/sono un italiano” e un cavallo bianco con in sella Roberto Benigni all’Ariston di Sanremo. Alla fine della fiera della vanità, la realtà è che questi sono stati i sei mesi più surreali che ricordi dall’esordio di un governo e la mia fiducia è diventata un punto interrogativo, non sulla pochezza degli oppositori del presidente del Consiglio, sulle camarille, sui biscazzieri d’alto bordo, i consiglieri di basso stampo, i cervelloni che sono cervelli spenti.

No, il problema è un altro, quello che abbiamo noi italiani che ancora ci crediamo e pensiamo che il Paese possa davvero cambiare. E’ la realtà che fa toc toc alla porta. E’ lunedì, piove, ho pagato l’affitto e il gas e mi viene in mente D’Annunzio: “Settembre, andiamo. E’ tempo di migrare”. Meglio Renzi

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