L'Autorità Antitrust ha bocciato con un'apposita segnalazione la
proposta di legge Senaldi, elaborata nella commissione Attività Produttive di Montecitorio, per ri-regolamentare l'apertura festiva dei
negozi affidando maggiori poteri agli enti locali.
Secondo il garante
«la proposta viola la concorrenza» perché pone limiti all'esercizio di
attività economiche «in evidente contrasto con le esigenze di
liberalizzazione di cui è espressione l'articolo 31 del decreto Salva
Italia» emanato a suo tempo dal governo Monti.
Per di più il parere
elaborato dall'Antitrust sottolinea il contrasto della proposta Senaldi
con la normativa della Ue in quanto reintroduce significativi limiti
concorrenziali «aboliti dal legislatore nazionale» proprio in attuazione
del diritto comunitario.
Corriere della Sera, 17 settembre 2014
Nel momento peggiore della crisi, dicembre 2011, il governo Monti decide una liberalizzazione drastica degli orari degli esercizi commerciali
per arginare il calo dei consumi. Ora che c’è un refolo di ripresa, si
torna indietro: il senatore Angelo Senaldi (Pd) è relatore di un
progetto di legge dal consenso trasversale che introduce 12 chiusure
obbligatorie per altrettante festività laiche o religiose (sostituibili
con una domenica nell’anno, decidono i Comuni).
Chi
sogna liberalizzazioni e concorrenza in Italia, incluso l’Antitrust,
deve rassegnarsi. La politica resta più fedele alla Bibbia (“ricordati
di santificare le feste”) che al libero mercato. Anche
Papa Francesco si è speso contro le aperture domenicali per ragioni, in
questo caso sì, di concorrenza diretta tra shopping e Messa. Singolare
il ragionamento dell’onorevole Senaldi: dal 2011 i consumi degli
italiani sono crollati di 50 miliardi di euro (è la
crisi, bellezza), ma “è difficile dire se la contrazione riguardi la
domenica o gli altri giorni, di certo, comunque, le aperture festive non
hanno fatto aumentare le vendite”, ha detto ad Avvenire.
Prendendo per buono questo ragionamento approssimativo, si conclude che: i consumi sono in calo per la recessione, le aperture domenicali
non sono bastate a contrastare la crisi globale (sarebbe strano il
contrario), quindi riduciamo le aperture. Nella speranza di cosa?
Mistero.
Più onesto l’approccio della Confcommercio.
Il suo ufficio studi guidato da Mariano Bella è arrivato alla
conclusione che è difficile stimare l’impatto esatto delle aperture
domenicali (come sarebbero andati i consumi con una regolamentazione più
stringente? Chissà) ma che dai dati a disposizione risulta che gli
acquisti tendono a spalmarsi sugli orari allungati. Chi si scapicollava
per rifornire il frigo il sabato pomeriggio si è abituato ad avere anche
la domenica a disposizione. Il punto è che i benefici sembrano andare
quasi soltanto alla grande distribuzione. E quindi la politica, con il
progetto di legge presentato da Senaldi, non sta tutelando la qualità
della vita degli italiani (che nei sondaggi – commissionati dai
supermercati – sono felici di avere orari più flessibili) ma dei piccoli
commercianti.
Il ragionamento economico è che se i consumi si spostano verso la grande distribuzione,
i negozi chiudono e impoveriscono i centri delle città, con danni che
compensano ampiamente i benefici dello shopping domenicale. Morale di
questa storia: quando non avevamo scelta, abbiamo provato a scommettere
sul libero mercato, nel 2011. Appena ce lo possiamo permettere torniamo a
essere corporativi e conservatori. Meglio tutelare il sicuro interesse
di pochi che correre il rischio di migliorare la qualità della vita di
molti.
Stefano Feltri, Il Fatto Quotidiano, 11 Giugno 2014
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