La scorsa settimana ero abbastanza triste per il modo inconsueto e 
molto crudele col quale la direzione del Pd aveva sfiduciato Enrico 
Letta. Mi venne in mente la canzone jazz americana "Stormy Weather", 
tempi bui, e la citai nel mio articolo domenicale e nel titolo. Ma oggi è
 diverso.
Oggi, sia pure con qualche cautela, dobbiamo festeggiare l'ascesa al 
potere di Matteo Renzi, il rilancio in programma della crescita 
economica, dell'occupazione, dei giovani, il compimento della riforma 
elettorale, la diminuzione delle tasse, la riforma della pubblica 
amministrazione, la semplificazione cioè la modernizzazione dello Stato e
 il prolungamento della vita del governo fino al termine naturale della 
legislatura nell'aprile del 2018.
È lungo quest'elenco, anche solo a snocciolarne i titoli. Ricordo che
 Letta fu contento perché per esporre il suo programma, che la direzione
 del Pd neppure esaminò, aveva scritto 54 pagine. Ma qui, per illustrare
 quello di Renzi, ce ne vorrebbero almeno 500. Per ora non ci sono, anzi
 non ce n'è neppure mezza. C'è soltanto l'elenco dei titoli che abbiamo 
sopra elencato, c'è un doppio criterio che Renzi ha ribadito più volte 
venerdì nelle sue dichiarazioni successive alla nomina ricevuta dal Capo
 dello Stato e cioè: concretezza e trasparenza.
E c'è anche la tempistica: sei mesi per la legge elettorale, che 
invece fino all'altro ieri sembrava doversi collocare entro questo mese 
ed è stata, giustamente, agganciata alla riforma del Senato che richiede
 una legge costituzionale e una maggioranza comprensiva di Berlusconi.
Gli altri obiettivi invece saranno "avviati" e in buona parte 
effettuati entro quattro mesi, uno al mese cominciando dal lavoro e 
dall'occupazione. No, non state sognando, la tempistica indicata da 
Renzi è proprio questa: un mese per risolvere quei problemi (quasi 
secolari). Quattro problemi, quattro mesi e il pranzo è servito. E noi 
dovremmo festeggiare? Un governo di otto donne e otto uomini, il premier
 più giovane della storia italiana a partire dal 1861. Un altro esempio 
di grande gioventù per la presa del potere (ancora molto più giovane di 
lui) fu quello di Lorenzo il Magnifico, anche lui di Firenze, ma erano 
altri tempi. Anche Napoleone arrivò al vertice più o meno sui trent'anni
 e non parliamo di Alessandro Magno. Ma erano appunto tempi diversi.
Tra i moderni in Italia, abbiamo un campione; perciò in alto i 
calici. Personalmente purtroppo ho il divieto medico di bere alcol 
perciò - il presidente del Consiglio mi scuserà - brinderò alla salute 
sua e del governo da lui formato con una Coca light. Spero ne sarà 
ugualmente contento.
Ci sono però in più due punti che vorrei precisare prima di 
analizzare la situazione attuale del nostro Paese. E sono questi. Il 
direttore della Stampa, Mario Calabresi, riscontra nel nuovo governo e 
in Renzi che lo presiede una leggerezza che gli ricorda il Calvino delle
 Lezioni americane e ne trae ottimi auspici. Non so quanti siano i 
membri del nuovo governo che abbiano letto le Lezioni americane.
L'amico Calabresi, che formula quell'auspicio, certamente le conosce 
ma ha dimenticato di dire che il personaggio che Calvino indica come la 
personificazione della leggerezza che lui intende era - pensate un po' -
 Guido Cavalcanti. Francamente non pare che Renzi abbia qualche affinità
 con Cavalcanti. Ezio Mauro nel suo editoriale di ieri giudica Renzi un 
po' bullo. È chiaro che con Cavalcanti non ha nulla a che fare.
La seconda affermazione si rifà a una dichiarazione del neo-premier 
subito dopo l'investitura ricevuta al Quirinale. Ha detto testualmente: 
«Il mio governo è il più di sinistra degli ultimi 30 anni ». Dice così 
ma non sembrerebbe. Personalmente, se dovessi dare un attributo, direi 
che è un governo pop. Forse la sinistra è diventata pop. Non so se sia 
un progresso. Speriamo di sì.
Una novità c'è sicuramente: questo non è più un
 governo del presidente della Repubblica, come accadde con Monti e con 
Letta. Questo nel bene e nel male è il governo di Renzi e del suo 
partito. Napolitano l'ha nominato e non poteva far altro visto che il 
partito di Renzi ha la maggioranza assoluta alla Camera e quella 
relativa al Senato dove la maggioranza assoluta viene raggiunta con i 
voti di Alfano e dei pochi senatori centristi.
Ma c'è un'altra maggioranza della medesima importanza sulla quale né 
la legge elettorale né le riforme costituzionali potrebbero esser fatte 
ed è quella stipulata, con "piena sintonia", con Forza Italia di Silvio 
Berlusconi, il quale ha manifestato ampia adesione all'incarico che 
Renzi ha ricevuto.
Al punto che ieri il Cavaliere avrebbe espresso apprezzamento per la 
nomina della Guidi allo Sviluppo economico e comunicazioni, vantandosi 
di avere un ministro pur stando all'opposizione. C'è un problema per il 
premier e non è da poco. Anche perché tutto è confermato da una cena 
avvenuta lunedì a casa di Berlusconi, con la Guidi e suo padre tra gli 
invitati.
Ci sono dunque due maggioranze che per ora sostengono il nuovo 
governo, le quali però - è bene averlo presente - non vanno d'accordo 
tra loro perché Berlusconi, se solo potesse, vorrebbe distruggere Alfano
 e reciprocamente. Renzi e il suo partito sono perciò il perno che usa a
 proprio beneficio questa dicotomia. Durerà fino al 2018 o si sfascerà 
prima? Molto dipenderà anche dall'esito delle elezioni europee ma 
soprattutto dai risultati che nel frattempo il nuovo governo otterrà in 
materia economica.
Napolitano non aveva altre soluzioni, ma alcuni elementi della 
situazione dipendono pur sempre da lui. Per esempio lo scioglimento 
delle Camere; per esempio l'approvazione preventiva dei decreti e la 
promulgazione delle leggi o il loro rinvio al Parlamento nei casi di 
dubbia costituzionalità.
Insomma ha ripreso un ruolo non più determinato dall'emergenza, anche se l'emergenza c'è ancora ma con caratteristiche diverse.
Con intelligenza e coraggio del quale è giusto dargli atto, Renzi ha detto che i rischi d'un insuccesso ci sono ma bisognava correrli ed ha aggiunto che lui e il suo partito ci mettono la faccia; se sbaglieranno pagheranno. Si è però scordato di aggiungere che se sbaglieranno pagherà anche il Paese e sarà esattamente il Paese a pagare il prezzo più alto.
Con intelligenza e coraggio del quale è giusto dargli atto, Renzi ha detto che i rischi d'un insuccesso ci sono ma bisognava correrli ed ha aggiunto che lui e il suo partito ci mettono la faccia; se sbaglieranno pagheranno. Si è però scordato di aggiungere che se sbaglieranno pagherà anche il Paese e sarà esattamente il Paese a pagare il prezzo più alto.
In quel deprecabile caso, che dobbiamo tutti cercar di scongiurare, 
ciascuno operando responsabilmente nel campo che gli è proprio, quali 
sono le alternative? Solo il populismo dilagante?
Quello è certamente il pericolo da scongiurare, ma ce n'è un altro che a mio avviso è più concreto: se Renzi dovesse fallire noi saremo commissariati dall'Europa con tutte le conseguenze del caso; ma avremo anche contribuito col nostro fallimento a danneggiare fortemente l'Europa nella sua evoluzione.
Quello è certamente il pericolo da scongiurare, ma ce n'è un altro che a mio avviso è più concreto: se Renzi dovesse fallire noi saremo commissariati dall'Europa con tutte le conseguenze del caso; ma avremo anche contribuito col nostro fallimento a danneggiare fortemente l'Europa nella sua evoluzione.
Il nostro continente diventerebbe irrilevante nell'economia globale 
con tutte le conseguenze del caso. La faccia di Renzi è a rischio e 
questo è il suo coraggio, ma se solo fosse questo ce ne potremmo 
tranquillamente infischiare. Il rischio è in realtà terribilmente più 
elevato ed è opportuno esserne consapevoli.
C'è un punto che resta assolutamente oscuro: fino a cinque o sei 
giorni prima del pronunciamento della direzione del Pd che abbatté Letta
 e votò per il nuovo governo, Renzi aveva confermato che mai e poi mai 
avrebbe messo fuorigioco il governo esistente, almeno fino alla 
conclusione del semestre italiano di presidenza europea. Non sosteneva 
che quel semestre fosse di grande importanza (anche Berlusconi la pensa 
così, ma Renzi ora su questo punto ha completamente cambiato idea) ma 
lui comunque non sarebbe intervenuto e si sarebbe unicamente occupato 
del partito, cosa che era di grande importanza e ci aveva preso gusto a 
portarla avanti.
Proprio in quei giorni, cioè un paio di settimane fa, a me capitò di 
partecipare nella trasmissione di Lilli Gruber ad un dibattito con 
Delrio che non conoscevo ma sapevo bene chi fosse.
Delrio, su domanda della Gruber e anche mia, ribadì che Renzi non 
pensava affatto a sostituire Letta e che lui era dello stesso parere e 
l'aveva consigliato a mantener ferma quella posizione. Ricordo che 
Delrio era ministro del governo Letta.
Accadde invece che a pochi giorni di distanza anche Delrio abbia 
cambiato radicalmente opinione e sia stato tra i più fidati dei 
luogotenenti del leader a spingerlo verso la presa del potere a Palazzo 
Chigi. In quei giorni Delrio era in predicato per assumere la guida 
dell'Economia, del quale non risulta abbia particolare esperienza.
Come si spiega questo improvviso cambiamento, talmente sorprendente 
che, quando avvenne e ancora fino a venerdì scorso, Renzi non aveva 
affatto formato la squadra di governo e si aggirava tra i nomi di 
Montezemolo, Baricco, Farinetti, Guerra, Boeri, Moretti ed altri che 
alla fine sono risultati indisponibili? Che cosa ha spinto Renzi e 
Delrio a "metter la faccia" loro e quella dell'intero Paese?
Io non so dare alcuna risposta e neanche Renzi la dà. Dice che la 
situazione era divenuta insostenibile. Perché? E perché non se n'era 
accorto nei quattro o cinque giorni prima della direzione del partito? 
Mi sorge un dubbio: forse aveva capito che la situazione congiunturale 
stava migliorando e che a metà agosto si sarebbe consolidata la fine 
della recessione con i primi effetti positivi e con il relativo successo
 di Letta. Questa prospettiva avrebbe messo lui in una posizione 
secondaria, perciò non c'era tempo da perdere.
Capisco che questa ipotesi è maliziosa, ma altre non ne vedo e voglio
 ricordare che Renzi aveva riferito anche a Napolitano le sue intenzioni
 di non insidiare il governo esistente. Questo rinnova la domanda: 
perché il neo-premier ha cambiato idea?
Il problema che adesso si pone (e dovrebbe esser risolto entro un 
mese stando alla tempistica renziana) è, per dirla in breve, un 
abbattimento sostanziale del cuneo fiscale o di qualche provvedimento 
che gli somigli, la ripresa dei pagamenti dei debiti della pubblica 
amministrazione verso aziende creditrici, la ripresa degli investimenti;
 il tutto insieme ad una diminuzione del debito pubblico e della 
pressione fiscale sulle fasce povere della popolazione.
Sono gli stessi temi reclamati da Squinzi e dalla Confindustria i 
quali, però, alle domande rivoltegli, non hanno mai indicato le 
coperture che rispettino il limite del 3 per cento del deficit, 
ricordato da Visco a Renzi nel colloquio di tre giorni fa come asticella
 invalicabile.
Da calcoli fatti da attendibili osservatori le cifre necessarie oscillano tra i 50 e i 70 miliardi. Ma quand'anche ci si limitasse allo strettissimo necessario facendo passare degli straccetti di carne per bistecche alla fiorentina, ce ne vorrebbero come minimo 40. Da prendere attraverso la spending review.
Da calcoli fatti da attendibili osservatori le cifre necessarie oscillano tra i 50 e i 70 miliardi. Ma quand'anche ci si limitasse allo strettissimo necessario facendo passare degli straccetti di carne per bistecche alla fiorentina, ce ne vorrebbero come minimo 40. Da prendere attraverso la spending review.
Tagliando gran parte delle inutili sovvenzioni ad imprese del tutto 
improduttive se ne tirano fuori una trentina e un'altra decina tassando 
le rendite finanziare. Ma per realizzarle se ne parla alla fine 
dell'anno perché la bacchetta magica Renzi e Delrio non ce l'hanno.
Avevano detto un mese. Ben che vada ce ne vorranno otto di mesi anche
 se si aggiungesse - come pure sarebbe necessario - un'imposta edilizia 
con andamento decisamente progressivo per far fronte agli esodati e ai 
lavorati delle imprese messe a secco dai tagli della spending review. Il
 compito spetta al ministro del Tesoro Padoan, il solo ministro che a 
bocca storta Renzi ha dovuto accettare dal fermo suggerimento di 
Napolitano.
Purtroppo lo stormy weather permane. Al più ci si può consolare con 
la "Recondita armonia di bellezze diverse" cantata da Mario, il 
protagonista della Tosca, come apertura dell'opera. Era molto ardito 
quel fantasioso pittore che amava la bruna, sognava la bionda e intanto 
cospirava con i repubblicani per buttare giù il Papa. Alla fine fu 
fucilato e gettato nel Tevere. Segno che troppe cose insieme non si 
possono fare.
fonte: Eugenio Scalfari, La Repubblica, 23 febbraio 2014 
 
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