sabato 23 giugno 2012

Il giudizio di Fassina su Renzi


FASSINA: "RENZI? RIPETE A PAPPAGALLO RICETTE DELLA DESTRA, BERSANI VINCERA' A MANI BASSE" - IO HO LAVORATO FUORI DALLA POLITICA, LUI EX PORTABORSE DIVENTATO SINDACO PER MIRACOLO".

"Renzi? Una figura minoritaria nel partito, ripete a pappagallo alcune ricette della destra, è fuori tempo massimo. Ma non credo andrebbe con Berlusconi, è lontano anche dal suo populismo". Lo dice Stefano Fassina, responsabile economico del Pd, alla Zanzara su Radio 24. Fassina attacca il sindaco di Firenze (Renzi aveva detto nei mesi scorsi: "Non mi faccio dettare la linea da uno che non prenderebbe voti nemmeno all'assemblea di condominio", ndr):
"Secondo le regole che ci sono ora non potrebbe nemmeno candidarsi alle primarie e un partito funziona con delle regole. Ma Bersani vincerà comunque a mani basse, perchè fare il premier è qualcosa che non si improvvisa e Renzi non si capisce nemmeno cosa propone. L'unica cosa certa di Renzi è la sua data di nascita". "Io a differenza sua - dice ancora Fassina alla Zanzara su Radio 24 - ho avuto una lunga esperienza professionale fuori dalla politica. Lui è un ex portaborse, diventato poi sindaco di Firenze per miracolo, per le divisioni interne al Pd fiorentino".

22 giugno 2012

Non candidiamo un io, ma un noi

"Noi non usciremo dalla dinamica della vecchia politica, se non uscendo da qui e dicendo 'non candidiamo un io ma candidiamo un noi'". Lo ha detto Matteo Renzi aprendo il suo intervento a 'Big Bang. Italia obiettivo comune', l'assemblea di mille amministratori locali convocata oggi a Firenze.
"E' una partita che noi possiamo vincere. Poi se si perde nessun problema, ma noi si gioca la partita per vincere", ha affermato Renzi, rispondendo ai giornalisti che gli chiedevano se dal Big bang di Firenze uscirà un candidato. "Il nome - ha detto Renzi - uscirà alla fine del percorso che stiamo facendo, ma è chiaro che non faremo i 'preliminari delle primarie' ".
"Credo che noi siamo la maggioranza nel partito democratico", ha dichiarato il 'rottamatore'. "Non io Matteo Renzi o Matteo Richetti - ha proseguito - ma noi amministratori. Se poi non lo saremo - ha concluso - ne prenderemo atto".
Renzi ha inviato un "saluto affettuoso da parte mia e spero anche da parte vostra" a Pier Luigi Bersani. Dalla platea c'é stato un applauso. "Mi dispiace che tutte le volte che facciamo noi qualcosa le agende si complicano" ha proseguito Renzi riferendosi alla concomitanza con l'assemblea dei segretari dei Circoli del Pd.

'SE PERDIAMO SAREMO A FIANCO VINCITORE' - "Se ci saranno primarie, se saranno aperte e libere e se uno di noi ci sarà, come credo, se avremo perso noi dal giorno dopo saremo al fianco di chi le avrà vinte", ha affermato Renzi. "E siamo sicuri - ha aggiunto - che avverrà anche a parti inverse". "Loro - ha continuato - sono sicuri di vincere, ma può accadere il contrario".
'PIACERE AD ALTRA PARTE POLITICA NON E' UN DELITTO' - ''Mi dicono: ma tu piaci a quelli di centrodestra? Pescare tra quelli di la' e' l'unica condizione per non riperdere le elezioni. Piacere all'altra parte politica non e' un delitto'', ha sottolineato il sindaco di Firenze.
"Berlusconi ha già dato, anche basta", ha aggiunto.
'D'ALEMA, BINDI, VELTRONI, ANCHE BASTA...' - "L'Italia si può servire senza necessariamente stare appiccicati a una poltrona", ha detto Renzi. Poi dopo aver fatto ascoltare il brano 'L'estate sta finendò dei Righeira, il 'rottamatore' ha detto: "l'estate sta finendo, il loro mandato no". "Senza fare nomi - ha concluso Renzi - caro D'Alema, Veltroni, Rosy, Franco Marini, in questi anni avete fatto molto per il paese, per l'Italia, ma adesso anche basta".
Il rinnovamento è una "bella partita da giocare, indipendentemente da minacce e minaccine".

RENZI, PORTO GUARDIOLA IN CAMPAGNA ELETTORALE - "Volevo farvi vedere un video di Pep Guardiola quando ha lasciato il Barcellona; invece non lo farò. Guardiola ve lo porterò di persona, durante la campagna elettorale", ha detto Renzi.
LIVE SUI SOCIAL NETWORK - Diretta streaming sul sito bigbangitalia.it, commenti su Twitter e su Facebook: è quanto accade da questa mattina per 'Big Bang. Italia Obiettivo Comune', l'assemblea di mille amministratori locali convocata per oggi dal sindaco di Firenze Matteo Renzi. Un migliaio le persone presenti nella sala rossa del Palazzo dei Congressi che stanno dando vita ad un vero e proprio racconto live attraverso i social network.
In particolare su Twitter, attraverso l'hashtag '#bigbang' che ora è ai primi posti della trending topics, sono molti gli interventi e tra questi anche quello del 'rottamatore' Renzi, che ha nel suo tweet ha scritto: "E' bello ascoltare idee, proposte, sogni. Bellissimo il video iniziale di Ferioli, sindaco di Finale Emilia", riferendosi all'intervento del sindaco di uno paesi più colpiti dal terremoto, che ha aperto l'assemblea. Sul palco del Palazzo dei Congressi, a moderare gli interventi degli amministratori (che durano al massimo 5 minuti) ci sono Giorgio Gori, Matteo Richetti e Davide Faraone.

fonte: ansa.it

mercoledì 13 giugno 2012

Ius soli e ius sanguinis

Lo "ius soli" fa riferimento alla nascita sul "suolo", sul territorio dello Stato e si contrappone, nel novero dei mezzi di acquisto del diritto di cittadinanza, allo "ius sanguinis", imperniato invece sull'elemento della discendenza o della filiazione. Per i paesi che applicano lo ius soli è cittadino originario chi nasce sul territorio dello Stato, indipendentemente dalla cittadinanza posseduta dai genitori.

La legge 91 del 1992 indica il principio dello ius sanguinis come unico mezzo di acquisto della cittadinanza a seguito della nascita, mentre l'acquisto automatico della cittadinanza iure soli continua a rimanere limitato ai figli di ignoti, di apolidi, o ai figli che non seguono la cittadinanza dei genitori.
La disciplina contenuta nel provvedimento varato dal Consiglio dei ministri del 4 agosto 2006 introduce una nuova ipotesi di ius soli proprio con la previsione dell'acquisto della cittadinanza italiana da parte di chi è nato nel territorio della Repubblica da genitori stranieri di cui uno almeno sia residente legalmente in Italia senza interruzioni da cinque anni al momento della nascita.

Altri modi per acquistare la cittadinanza sono la "iure communicatio", ossia la trasmissione all´interno della famiglia da un componente all´altro (matrimonio, riconoscimento o dichiarazione giudiziale di filiazione, adozione), il "beneficio di legge", allorché, in presenza di determinati presupposti, la concessione avvenga in modo automatico, senza necessità di specifica richiesta, e, infine, la "naturalizzazione". Questa comporta non una concessione automatica del nuovo status ma una valutazione discrezionale da parte degli organi e degli uffici statali competenti.

Ius soli: la posizione del Cardinale Scola

MILANO. La notizia si legge in un comunicato della Chiesa Cattolica Ambrosiana. L’appello del cardinale Angelo Scola è stato lanciato ai politici italiani, nell’ottica di promuovere una riforma legislativa sull’acquisizione della cittadinanza italiana per chi nasce sul suolo italiano. Quella del cardinale, come sottolinea egli stesso nel testo,  non è una proposta, bensì un vero e proprio sollecito al cambiamento della legge vigente.
«Occorre per la comunità cristiana affrontare le sfide dell’immigrazione non solo sul piano educativo, culturale e pastorale, affinché si pongano le condizioni di quel vivere insieme, principale obiettivo da perseguire di fronte all’attuale fenomeno migratorio», afferma Scola anche in occasione della pubblicazione del volume “I migranti: per una pastorale e una cultura del ‘viver insieme’” (Edizioni Centro Ambrosiano).
IUS SOLI vs. IUS SANGUINIS. Ricordando che «la cittadinanza non è solo un atto giuridico, ma un atto di cultura», il cardinale ha implicitamente fatto riferimento alla normativa vigente: in Italia, infatti, vale il principio del cosiddetto ius sanguinis (diritto in base alla discendenza), ossia quello per il quale la cittadinanza è assegnata per nascita (da almeno un genitore italiano), per matrimonio o adozione e per naturalizzazione. In questo panorama, dunque, sono esclusi tutti i minori che, seppur nati e anche cresciuti in Italia e avendovi risieduto ininterrottamente, non sono nati da cittadini italiani.  Ad oggi in Italia i minorenni stranieri costituiscono il 22%, quasi un quarto dei 4.570.317 di stranieri presenti sul territorio (dati ISTAT del 2011). Cambiare la legge, ossia far valere lo ius soli (diritto in base al suolo), comporterebbe per questa ampia fetta di popolazione ottenere la cittadinanza italiana senza dover attendere il compimento del 18° anno d’età, dimostrando di non aver mai risieduto all’estero.
LA PROPOSTA DELLA REGIONE MARCHE. Insieme all’appello della diocesi Ambrosiana la Regione Marche ha presentato una proposta di legge per abolire lo ius sanguinis in favore dello ius soli; la proposta di legge passerà al vaglio dell’Assemblea legislativa e, se approvata, giungerà alla Camera. E proprio nella Regione Marche, presso il Palazzo del Comune di Pesaro, il neo Cardinale Antonio Maria Vegliò aveva tenuto una lectio magistralis il 19 marzo 2012 sull’immigrazione, con attenzione particolare sulla questione della riforma della legge.

3 aprile 2012, comunicareilsociale.com

Grafici francescani



fonte: www.franciscanum.it

Cresce la voglia di partito

 
di Dario Antiseri

La diaspora politica dei cattolici, seguita vent'anni fa al collasso della Dc, li ha resi presenti ovunque e inefficaci dappertutto.

Forse, allora, alla fine degli anni Ottanta, non si poteva fare altro: dare testimonianza dei propri ideali in qualsiasi raggruppamento ci si fosse accampati. Solo che questa strategia, avallata anche da figure di primo piano della gerarchia ecclesiastica, si è rivelata progressivamente e ineluttabilmente perdente su tutti i piani. Calpestate le più elementari esigenze della famiglia, lasciate morire di inedia le scuole libere, ingoiata tutta una serie di nefandezze a cominciare dalla più indecente e illiberale delle leggi elettorali, spallucce su scandali a ripetizione, difesa ostinata di vergognosi privilegi... e mai un rappresentante politico di area cattolica che abbia avuto un sussulto di dignità dando le proprie dimissioni. Pronti a genuflessioni davanti al padrone di turno, il bavaglio spalmato di miele ha reso taciturni anche i più loquaci.

Colpevolmente silenti o comunque inutili su tutto, non mancano, però, figure di spicco del mondo cattolico che si sono messe ad esercitare le loro ugole nel coro dei cantori contro Grillo. Ma si rendono conto costoro che Grillo lo hanno creato e lo ingrossano giorno dopo giorno proprio le ingiustizie, i soprusi, gli sprechi, i privilegi, i furti, la catena di leggi ad personam, nomine di incompetenti a posti istituzionali nevralgici, misure sbagliate e prese da un Parlamento nominato da quattro Caligola? Non c'è una politica e un'antipolitica; c'è solo una politica cattiva e una politica buona. E se quella di Grillo è antipolitica, essa è solo la conseguenza immediata e diretta di quella antipolitica, cioè di quella cattiva politica, di cui sono stati e sono pervicacemente capaci i partiti che oggi siedono in Parlamento. Non è vero che c'è fuga dalla politica; c'è piuttosto fuga dalla politica di questi partiti. Il ministro Andrea Riccardi in una recente intervista ha ribadito che «i partiti sono decisivi per la democrazia». Giusto. Ma qui la domanda è inevitabile: gli attuali partiti sono decisivi per la vita o per la morte della nostra democrazia? E il governo tecnico di Monti non è forse un epitaffio sulla politica di partiti miopi, incapaci di soluzione per i problemi più urgenti - e affollati da «clarinetti» che coprono miserabili interessi con sproloqui sul «bene comune»? Ebbene, in questo deserto il fatto più sconcertante è la sostanziale assenza del mondo cattolico sulla scena politica. E tutto ciò, nonostante i ripetuti inviti del Papa e del cardinale Bagnasco a che i cattolici, soprattutto i giovani, impegnino le loro energie in vista di una politica rinnovata. Tuttavia, si seguita ad insistere sull'idea che non ci debba essere un partito di cattolici.

È chiaro che è illusorio pensare a un partito capace di aggregare tutti i cattolici, se non altro perché non c'è più quel «nemico» che riuscì a tenere insieme la maggior parte di loro negli anni dal dopoguerra in avanti. In ogni caso, se non è pensabile un partito di tutti i cattolici, appare sempre più necessario un partito di cattolici liberali, un partito sturziano di cattolici liberali e solidali sotto il segno della Dottrina sociale della Chiesa. Per tutto ciò, tra tanti cattolici - e lo dico con cognizione di causa - ha destato una non gradita sorpresa l'idea di Riccardi per il quale «non serve il partito dei cattolici». Egli ha parlato di «condensazioni» e di «credenti che saranno una rete radicata tra la gente». Riccardi, proprio lui che - con la sua esperienza, le sue capacità organizzative e con quanto è riuscito a realizzare con la Comunità di Sant'Egidio - a Todi e dopo Todi molti, e a ragione, vedevano e vedono ancora come uno degli assi portanti del nuovo partito! È davvero sorprendente che un dotto storico dei fatti del passato ponga dei divieti alla storia del futuro. Ci si richiama continuamente a Sturzo, ma Sturzo un partito lo fece. E De Gasperi, con un partito di ispirazione cristiana, ha salvato l'Italia.

E ora ci si invita a «condensarci», vale a dire a seguitare a fare gli «ascari». È proprio soltanto questo ciò che il mondo cattolico è in grado di offrire oggi all'Italia? Certo, in politica si può perdere, ma è meglio perdere con truppe fedeli che vincere in funzione di mercenari magari beneficati e comunque sempre irrisi. La realtà è che c'è un mondo cattolico vastissimo e sano, fatto di persone oneste e generose che, politicamente non rappresentato, si rinserra, per usare un'espressione di Galli della Loggia, nell'ergastolo politico di «masi chiusi». In due parole: la truppa è pronta; disertori appaiono essere i generali.

Corriere della sera del 11 giugno 2012

martedì 12 giugno 2012

La situazione degli asili nido

DIVARIO NORD-SUD E MANCANZA DI RISORSE
Italia a due velocità sul tema degli asili nido. Nel nostro Paese, infatti, resiste il divario tra le regioni del Nord e quelle del Sud sulla presenza di materne e strutture per la prima infanzia: si assiste in questo modo a regioni settentrionali con alti livelli di assistenza e presenza capillare sul territorio, mentre al Sud il servizio scarseggia e spesso si forzano le famiglie a compiere scelte dolorose. Indubbiamente la crisi finanziaria nazionale gioca un ruolo importante per lo sviluppo del settore, così come la contrazione del mercato del lavoro colpisce in modo particolare le donne, la loro professionalità e la loro organizzazione della vita familiare.
L'Italia, dal punto di vista dell'assistenza formativa ai più piccoli, è in grave ritardo rispetto agli obiettivi stabiliti dalla Strategia di Lisbona in cui, oltre a essere fissati target per l'occupazione femminile, si chiede agli Stati membri di raggiungere una percentuale del 33% di presenza di bambini dagli zero ai tre anni in asili nido. Da noi la copertura media del servizio è di circa il 12,7%, percentuale che si abbassa addirittura all’1% in alcune zone del Meridione. Basti pensare al 60% della Danimarca, al 40% dell'Irlanda e al 29% della Francia per avere un quadro problematico della situazione italiana.
Insomma, va trovato al più presto un percorso per consentire la crescita dei servizi socio-educativi sia sul piano qualitativo che quantitativo. E soprattutto va trovata una soluzione in comune con il sistema degli enti locali, costretti a ripensare la loro azione a causa della mancanza di risorse e dei vincoli del patto di stabilità. L'occasione per discutere esigenze, tappe e obiettivi finali arriva dal convegno nazionale in programma domani a Firenze promosso da Istituto degli Innocenti e Legautonomie, dal titolo 'Asili nido: servizi educativi per la prima infanzia e welfare locale'.

GUERRA: COLMARE IL GAP TRA NORD E SUD, CONCESSI FONDI PER IL MERIDIONE
'Credo che le difficoltà siano due: la prima riguarda la questione economica e la fortissima differenza nella presenza di questo servizio nei vari territori, il diverso tasso di copertura, le divergenze sia regionali che comunali con casi in cui è quasi assente. L’altra riguarda la definizione del servizio: rientra nell’ambito di assistenza e cura e quindi non gode delle stesse tutele di attivazione e presenza che garantiscono l’offerta educativa'. Risponde così all'agenzia Dire il sottosegretario del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, Maria Cecilia Guerra.
I comuni, spiega, 'stanno facendo cose importanti sugli asili nido, un settore in continua evoluzione. Uno dei modi in cui le amministrazioni locali hanno dovuto rispondere, e non sempre è stata una scelta, alla restrizione finanziaria, è stato quello di esternalizzare il servizio. Questo non ha comportato necessariamente scadimenti di qualità ma è un confine stretto, perché l'affidamento esterno è stato spesso sostenuto da maggiore flessibilità nella mano d’opera ma anche da un minor costo. C'è però il rischio che proprio il costo venga scaricato sui lavoratori con contratti di lavoro diversi da quelli del settore pubblico, per cui spesso assistiamo ad assunzioni a breve termine e a retribuzioni diverse'.
Le 'ricette' del sottosegretario Guerra sono molteplici: 'Sicuramente un mix tra pubblico e privato è uno strumento che i comuni possono usare anche in termini virtuosi con maggiore flessibilità nell’offerta non solo educativa, ma anche di assistenza alle famiglie e in particolare a quelle donne che devono conciliare i propri impegni di lavoro con la cura dei bambini. Le altre cose su cui i comuni possono lavorare insieme con le regioni, in una situazione di ristrettezza economica, è quella di definire gli standard qualitativi senza comprometterli ma capendo quali sono da mantenere e quali no con un'attenzione particolare alle casse. Certo, l'equilibrio è difficile da trovare perché parliamo di un servizio molto delicato'.
Guerra elenca poi le ultime misure prese dal Governo Monti. 'E’ chiaro che se non ci sono nuove risorse è difficile andare avanti, ma è fondamentale quello che è stato fatto con il piano Azione e Coesione, ovvero rifinalizzare i fondi europei destinando 400 milioni di euro proprio per i servizi all’infanzia. Sono soldi- spiega- che andranno a quelle regioni rimaste più indietro nella realizzazione dei servizi. Tengo molto a sottolinearlo perché è un investimento importante non solo per il Sud ma per tutta la nazione, perché permette di colmare il gap per poi andare avanti insieme. E’ stato fatto un intervento molto accurato nel permettere di assicurare i fondi anche per l’avviamento quindi per la gestione. Solo se riusciamo a superare il gap territoriale abbiamo la possibilità di intervenire con strumenti ordinari e poi agire a livello nazionale. Del resto, non si può mica tagliare ai migliori per parificare il livello di base...'.
I fondi, precisa il sottosegretario, 'sono quelli europei e se non fossero stati riprogrammati, sarebbero andati persi. Non sono risorse riversate a pioggia ma finalizzate e che verranno monitorate: ogni regione che riceve questi soldi deve conseguire degli obiettivi precisi, ovvero di diffusione del servizio e di rinforzo sul tasso di copertura. La conseguenza è che non ci sono pericoli di spreco delle risorse'. Purtroppo per il futuro non sembrano esserci buone notizie. 'Non ci sono interventi già programmati per i prossimi mesi. Quello su cui stiamo ragionando è capire quali sono le priorità nell’ambito delle politiche per i minori in generale dovendo fare i conti con un vincolo di risorse micidiale. La nostra attenzione però è sempre alta e l’obiettivo è quello di arrivare a tassi di copertura del servizio sempre più alti'.

RAMBAUDI: SERVIZIO ASILI NIDO SEMPRE PIÙ EDUCATIVO E FORMATIVO
Da anni la Liguria assicura alti livelli di assistenza alle famiglie con un'offerta molto alta in termini di qualità. Ma la mancanza di risorse è un problema che colpisce in modo trasversale, e anche le realtà virtuose si trovano a fare i conti e a cercare un compromesso tra costi e qualità. 'Prima di tutto- spiega alla Dire l'assessore alle Politiche sociali della Liguria, Lorena Rambaudi- c'è un problema di prospettiva e di scelta politica su dove vogliamo collocare i nidi: se pensarli nella filiera educativa 0-6 o se pensarli ancora come servizi nell'ambito delle politiche sociali. Io devo dire che i nidi hanno finalmente i titoli per essere uno strumento formativo perché sono sicuramente un servizio alla donna e alla famiglia ma sono anche uno straordinario percorso per i bambini in età precoce che dà risultati sul piano pedagogico e dell'apprendimento molto importanti, e quindi deve essere valorizzata l'offerta'.
A questo 'si aggiunge l'elemento che riguarda il costo di questi servizi, perché sono di qualità e richiedono standard, personale adeguato. Dobbiamo però fare uno sforzo in questo momento difficile e riuscire a coniugare la qualità con la flessibilità organizzativa e a una visione più moderna'. Cosa possono fare gli enti locali? 'E' una preoccupazione per i comuni riuscire a mantenere questi servizi. La politica dei costi non riguarda tutte le amministrazioni: bisogna fare un ragionamento sul tema della compartecipazione alla spesa in base alla situazione economica delle famiglie. E' più utile garantire servizi pubblici a gestione pubblica ma anche accreditato col privato'.
Certo, però, alcune regioni partono con un buon bagaglio. 'Ci sono molte differenze tra regioni e regioni. Alcune, come la mia, si avvicinano allo standard europeo con la copertura del 32% dei bambini in fascia d'eta, altre invece hanno dei tassi decisamente inferiori. Da parte nostra va detto che prevale l'insistenza con cui diciamo al governo che ci devono essere dei livelli essenziali nel sociale che devono essere garantiti a tutti in Italia: non si può essere più o meno fortunati a seconda di dove si nasce. Il pubblico deve avere un ruolo forte, anche se non sempre la gestione diretta pubblica aiuta il contenimento dei costi perché ci sono delle rigidità organizzative. Non voglio però demonizzare il privato, ma ci deve essere una gestione diretta o indiretta del pubblico con stessi standard e parametri di qualità'.
Ma nulla vieta di affidarsi a forme alternative che possano assicurare il servizio alle famiglie. 'Infatti- conferma Rambaudi- il mio predecessore aveva dato l'avvio a numerosi nuovi posti per la prima infanzia tra cui micro-nidi e asili domiciliari che sono riconosciuti dal sistema regionale come costi e che hanno permesso soprattutto a piccoli comuni come quelli dell'entroterra di dotarsi di una risposta alle esigenze educative anche in mancanza di risorse o di un numero sufficiente di utenti. Il mix di offerta- conclude- è sempre una soluzione vincente, non solo per quanto riguarda i nidi. I bisogni dei territori e delle persone sono difficili da far rientrare in caselle prestabilite'.

L'APPELLO DI MAGGI: MANCANO LE RISORSE, ENTI LOCALI SI IMPEGNINO A NON TAGLIARE ANCORA
Aiutare i bambini a crescere bene nei loro primi anni di vita è 'come coltivare piante che potranno dare buoni frutti nell’arco dell’intera esistenza'. Da circa seicento anni l'Istituto degli Innocenti di Firenze si occupa di famiglia e bambini, lavorando ogni giorno per la difesa dei loro diritti ma anche per la diffusione di una consapevolezza che metta i servizi all'infanzia al centro delle politiche sociali. La ricerca costante del miglioramento, spiegano dall'Istituto, è alla base della loro azione per la qualità dell’accoglienza, la competenza degli operatori, la messa a punto dei percorsi educativi più idonei.
Per questo la presidente Alessandra Maggi centra subito il primo punto critico. 'Sicuramente il problema principale oggi è la mancanza di risorse da parte degli enti locali e la crisi economica che sta colpendo le famiglie, con la conseguenza che molte di loro compiono la scelta dolorosa di non mandare i bimbi all'asilo. Poi c'è una presenza non omogenea dei servizi in tutto il Paese: nel Centronord sappiamo che la situazione è migliore, con percentuali ai livelli del 33% che sono quelli richiesti dalla strategia di Lisbona, mentre nel Sud le percentuali sono bassissime'.
Secondo Maggi 'i comuni dovrebbero avere maggiori trasferimenti dallo Stato per i servizi educativi e sociali perché gli asili sono ancora a domanda individuale. Alcune nostre amministrazioni locali stanno facendo scelte importanti in questo senso privilegiando le politiche per l'infanzia. In molte delle nostre città c'è un rapporto tra le amministrazioni e le strutture private e le cooperative sociali. Ma anche in queste situazioni il problema è la mancanza di risorse per coprire almeno una parte del servizio. Il governo sta facendo un'operazione di ridistribuzione in quattro regioni del Sud di fondi europei ma il problema è presente anche nelle regioni virtuose, che non devono abbassare la qualità e la quantità delle soluzioni offerte'.
A proposito del divario tra Nord e Sud, Maggi spiega che nel Meridione 'non è solo una questione di soldi che mancano, è anche un fatto di scelte: molte regioni hanno usato la propria autonomia per spendere diversamente i fondi ricevuti negli anni scorsi'. Infine, la presidente dell'Istituto degli Innocenti lancia un appello: 'A nome dell'ente che rappresento non posso che rivolgere un appello alle autonomie locali affinché facciano tutto il possibile per non tagliare, e anzi incentivare, le risorse destinate all'infanzia. E di continuare il confronto con lo Stato per mettere in evidenza le esigenze, anche di flessibilità: va fatto uno sforzo, magari economizzando in altri settori. E' un diritto dei bambini avere la possibilità di poter frequentare un asili nido: il percorso formativo- conclude- non inizia solo con la scuola dell'obbligo, inizia dalle prime fasi di vita'.

FILIPPESCHI: RIDEFINIRE MECCANISMI DI FINANZIAMENTO A REGIONI E COMUNI IN MATERIA SOCIALE
'Nonostante l’impegno dei comuni per potenziare la rete degli asili nido comunali sia aumentato negli ultimi vent’anni, le cifre medie in Italia ci dicono comunque che siamo ancora ben lontani dall’obiettivo minimo del 33% entro il 2012, indicato a suo tempo dal Consiglio della comunità europea'. Così il presidente di Legautonomie, Marco Filippeschi, che aggiunge: 'Lo sforzo sostenuto in questi anni per lo sviluppo di questi presidi fondamentali della rete del welfare locale è stato sostenuto con crescente fatica e sofferenza per i bilanci dei comuni penalizzati in misura sempre più pesante dai tagli, fino all’azzeramento dei Fondi per le politiche sociali, dai vincoli del Patto di stabilità interno, con il pericolo di un deterioramento della qualità dei servizi e oneri crescenti per le famiglie causa l’aumento quasi generalizzato delle rette'.
Il problema, sottolinea il presidente di Legautonomie, è che 'ormai i bilanci di molti comuni sono arrivati al livello di guardia: si aggravano le difficoltà per sostenere gli ordinari costi di gestione degli asili nido senza ulteriori aggravi per le famiglie; mentre, si allungano sempre di più i tempi per i pagamenti alle imprese del terzo settore che gestiscono i servizi in regime di appalto, convenzione. Oggi si parla di 'spending review'. Deve essere chiaro che il meccanismo dei costi e dei fabbisogni standard deve rappresentare per regioni ed enti locali il loro concorso alla 'spending review', estendendone principi e strumenti attuativi anche all’apparato centrale statale'.
Se non si pone rimedio 'incombe, soprattutto in alcune realtà territoriali, il rischio di una arretramento qualitativo e il ritorno a pratiche di carattere meramente assistenziali. Per evitare questi rischi- spiega Filippeschi- la strada non può essere che quella della definizione dei Leps (Livelli essenziali delle prestazioni sociali), secondo il dettato costituzionale (art. 117 comma 2) e secondo quanto prevede la stessa L. 42/90, istitutiva del federalismo fiscale. Un percorso graduale ma certo, di cui vanno definite le tappe, la strumentazione normativa e i supporti finanziari, la ripartizione delle responsabilità fra i diversi livelli istituzionali, a partire dallo Stato'.
Sul tema delle risorse Filippeschi è convinto che 'i meccanismi di finanziamento a regioni e comuni in materia sociale vanno comunque ridefiniti, nell’ottica del federalismo, attraverso un effettivo decentramento ai comuni e alle regioni delle risorse. Oggi, infatti, ben oltre l’85% della spesa complessiva viene ancora erogata dal centro, con una netta prevalenza delle erogazioni monetarie (intorno al 90%), senza nessun rapporto con la domanda sociale, così come concretamente si esprime nella molteplicità delle diverse situazioni locali. Qualunque sia l’ipotesi che si concretizzerà- conclude- la nostra associazione non è chiusa a discutere su interventi di revisione normativa sia in ambito fiscale che assistenziale, purché mirati a rafforzare i criteri di equità nell’allocazione delle limitate risorse disponibili'.

agenzia Dire, 7 giugno 2012

lunedì 11 giugno 2012

Statuto comunale: approvazione e modifiche

1. I comuni e le province adottano il proprio statuto.
2. Lo statuto, nell'ambito dei princìpi fissati dal presente testo unico, stabilisce le norme fondamentali dell'organizzazione dell'ente e, in particolare, specifica le attribuzioni degli organi e le forme di garanzia e di partecipazione delle minoranze, i modi di esercizio della rappresentanza legale dell'ente, anche in giudizio. Lo statuto stabilisce, altresì, i criteri generali in materia di organizzazione dell'ente, le forme di collaborazione fra comuni e province, della partecipazione popolare, del decentramento, dell'accesso dei cittadini alle informazioni e ai procedimenti amministrativi, lo stemma e il gonfalone e quanto ulteriormente previsto dal presente testo unico.
3. Gli statuti comunali e provinciali stabiliscono norme per assicurare condizioni di pari opportunità tra uomo e donna ai sensi della legge 10 aprile 1991, n. 125, e per promuovere la presenza di entrambi i sessi nelle giunte e negli organi collegiali del comune e della provincia, nonché degli enti, aziende ed istituzioni da essi dipendenti.
4. Gli statuti sono deliberati dai rispettivi consigli con il voto favorevole dei due terzi dei consiglieri assegnati. Qualora tale maggioranza non venga raggiunta, la votazione è ripetuta in successive sedute da tenersi entro trenta giorni e lo statuto è approvato se ottiene per due volte il voto favorevole della maggioranza assoluta dei consiglieri assegnati. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano anche alle modifiche statutarie.
5. [ Dopo l'espletamento del controllo da parte del competente organo regionale,] lo statuto è pubblicato nel bollettino ufficiale della regione, affisso all'albo pretorio dell'ente per trenta giorni consecutivi ed inviato al Ministero dell'interno per essere inserito nella raccolta ufficiale degli statuti. Lo statuto entra in vigore decorsi trenta giorni dalla sua affissione all'albo pretorio dell'ente.(il controllo da parte dell'organo regionale è stato abrogato dalla legge costituzionale n. 3 del 2001)
6. L'ufficio del Ministero dell'interno, istituito per la raccolta e la conservazione degli statuti comunali e provinciali, cura anche adeguate forme di pubblicità degli statuti stessi.

Testo Unico Enti Locali

L'insediamento

Signor Presidente del Consiglio Comunale, signore e signori Consiglieri, Cittadini di Jesi, nel momento in cui mi accingo a prendere per la prima volta la parola in quest'Aula, desidero innanzitutto rivolgere un deferente e grato pensiero al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, autorevole guida morale del nostro Paese e fedele interprete di quei valori della Costituzione verso cui ho prestato ora giuramento.
Ringrazio le elettrici e gli elettori che il 20 e 21 maggio mi hanno scelto come Sindaco. La loro fiducia nei miei confronti è motivo di grande onore.
Avverto fortemente il peso della responsabilità che mi è stata data e che mi sono consapevolmente assunto per provare a dare il mio contributo a questa Città.
Di questa responsabilità ne avevo preso piena coscienza quando mi è stato proposto di accettare la candidatura a Sindaco. Si è alimentata durante la campagna elettorale, percependo settimana dopo settimana che crescevano i consensi attorno alle liste che mi sostenevano e che veramente si poteva intraprendere quel cambiamento che avevamo auspicato.
Proprio per dare un contributo alla nostra Città. Un contributo da realizzare insieme. E quando dico insieme, mi rivolgo a tutti. A coloro che mi hanno dato quella fiducia, a coloro che hanno votato altri candidati, a coloro - e lo considero un motivo di forte riflessione - che a votare non ci sono andati.
Lo dico oggi a parole, lo voglio testimoniare da domani con i fatti: non sono il Sindaco di una parte, sono il Sindaco di tutti.

Sono il Sindaco di una Comunità più che il Sindaco di una Città. Perché è nella Comunità, tra i cittadini, tra i loro problemi, tra le loro speranze e tra la loro aspettative che voglio stare e voglio misurarmi.
Con una consapevolezza: non faccio il Sindaco, intendo essere il Sindaco.
Perché è l'essere che porta al fare. E da fare ce n'è davvero tanto.
Da fare insieme. Da realizzare insieme. In una prospettiva che unisce tempo e spazio. Il tempo di una legislatura da costruire giorno dopo giorno senza perdere di vista una progettualità di ampio respiro. Lo spazio di un territorio che non può essere limitato al solo Comune di Jesi, ma che deve trovare la propria ragion d'essere in una visione di area vasta.
Jesi ha perso potere, è stato ripetuto più volte in campagna elettorale. Jesi non conta come dovrebbe. Jesi non ha più una leadership rispetto alle decisioni che vengono prese dagli Enti sovracomunali.
Probabilmente è vero. Sicuramente è accaduto qualcosa che supera le logiche di un corretto equilibrio istituzionale. Specialmente con la Regione Marche. Sulla Sanità, ma non solo sulla Sanità.
E per invertire questo che potrebbe diventare un pericoloso circolo vizioso, Jesi non può agire da sola. Ha bisogno e acquisterà autorevolezza se saprà coinvolgere un territorio più ampio, se saprà interagire con i Comuni della Vallesina trovando con essi una condivisa unione d'intenti.
Se Jesi si muove da sola, sarà una voce sola. Se a farlo è un territorio intero, le voci si moltiplicheranno. E a quel punto sono voci che non potranno rimanere inascoltate. Spetta a noi provarci.
Spetta a questo Consiglio Comunale che si presenta oggi profondamente rinnovato. Un Consiglio Comunale per larga parte costituito da liste civiche e movimenti che per la prima volta si sono presentati al giudizio degli elettori.
Un Consiglio Comunale dove è rimasto un solo partito della precedente legislatura. Un partito importante qual è il Partito Democratico. Un partito che rappresenta un terzo degli elettori. Un partito che ha cultura di governo per aver amministrato questa Città per tanti anni. Un partito che oggi è chiamato a svolgere un diverso ruolo. Ugualmente di responsabilità.
Auspico, ma sono certo, che saprà farsi interprete dei bisogni e delle aspettative dei cittadini e dare un contributo che considero prezioso, così come l'altro partito rappresentato dall'Italia dei Valori. E lo dico con il massimo rispetto e la massima disponibilità ad un leale e costruttivo confronto.
Quel leale e costruttivo confronto che vorrei avere con il Movimento 5 Stelle.
Avevamo proposto un apparentamento al ballottaggio. La proposta non è stata accolta. Rispetto quella scelta. Ma continuo a pensare che le ragioni di quella nostra proposta non erano esclusivamente legate a calcoli numerici. Si fondavano piuttosto su una armonia di idee e di visione di una Città partecipata. E questo terreno lo vorrei ancora coltivare.
Lo farò con il sostegno delle liste JesiAmo, Patto per Jesi ed Insieme Civico.
Donne e uomini al di fuori dei tradizionali schemi dei partiti che hanno scelto di condividere un progetto comune per la Città. Lo hanno fatto con entusiasmo, passione e senso civico. Oggi devono - dobbiamo - tradurre queste emozioni e queste intenzioni in una attenta analisi dei problemi, responsabilmente, per rappresentare quella consapevolezza che potrà orientare alla soluzione dei problemi.
È un compito gravoso. Sono certo che sapremo affrontarlo insieme, ciascuno per il ruolo che riveste in questa maggioranza, con coscienza, coerenza ed impegno. Senza promettere nulla che non si possa ragionevolmente realizzare.
Perché questo deve essere chiaro: se intendiamo il nostro impegno come missione tesa al bene pubblico, dobbiamo essere onesti con noi stessi e con i cittadini. Fino in fondo. Con la massima lealtà, correttezza e trasparenza.
Per questi motivi, proprio da quest'Aula che è l'Istituzione democratica principale di Jesi, mi piace ricordare - e considerarlo per me un monito personale - l'appello di un uomo che è stata molto più di un Sindaco nel momento più drammatico che la nostra città ha vissuto nel secolo scorso.
“Occorre che ritorni in augue la scuola del dovere, o meglio quella del servire, in modo da far ritornare cristallina l'opera dei pubblici amministratori. Io vorrei che coloro che la coscienza pulita non hanno si appartino dal dirigere la cosa pubblica, perché gli amministratori pubblici dovrebbero essere rigorosamente obiettivi con tutti”. Parole di Pacifico Carotti, sindaco della Liberazione, sindaco della Ricostruzione.
Ed è in questa concezione di pubblici amministratori che entra a pieno titolo il concetto della partecipazione. Una partecipazione non di facciata. Ma vera e concreta. Partecipazione intesa come coinvolgimento dei cittadini nelle scelte che si andranno a compiere, nei temi che saranno affrontati, nelle problematiche che cercano una soluzione.
Ho già annunciato, il 2 giugno scorso - in occasione della consegna ai diciottenni di una copia della Costituzione Italiana - la volontà di costituire un Consiglio Comunale dei Giovani, quale strumento democratico che permetta ai ragazzi di poter avere piena voce, condividere scelte, fare proposte. Non dovrà esserci tema che coinvolge le questioni giovanili che non passi attraverso una valutazione di questo Consiglio dei Giovani: dalla scuola al tempo libero, dalla cultura allo sport, dall'associazionismo al volontariato, dal verde all'ambiente.
Un Consiglio dei Giovani, ma non solo. Perché intendiamo favorire la partecipazione dei cittadini alla vita pubblica anche attraverso esperienze integrative ed innovative rispetto ai tradizionali istituti della democrazia rappresentativa.
Fin da subito vogliamo creare Consulte tematiche quali organi consultivi di Consiglio e Giunta su temi specifici di particolare rilevanza, definendone modalità di organizzazione e funzionamento. Pensando anche di sviluppare forme di democrazia più ampia: forum pubblici, periodici incontri con i cittadini, strumenti di costruzione condivisa dei processi decisionali anche attraverso social network e via telematica.
Riteniamo inoltre fondamentale il coinvolgimento nei processi decisionali e la valorizzazione, in fase operativa, del prezioso contributo delle tante associazioni di volontariato che operano nel territorio.
Tra esse, mi sia consentito oggi di citarne un paio che in questi giorni sono impegnate a prestare aiuto ed assistenza alle popolazioni dell'Emilia colpite dal terremoto. Mi riferisco all'Associazione Nazionale Carabinieri e all'Associazione di Protezione Civile Nucleo Volontariato CB OM a cui va il mio personale ringraziamento e, sono certo, l'affetto e la stima di tutti noi.
Nel coinvolgimento dei cittadini non posso certamente dimenticare la componente straniera. Saluto il consigliere straniero aggiunto eletto democraticamente dai cittadini di altri Paesi che hanno scelto di vivere nella nostra città.
La sua presenza, in questa Aula, conferma l'impegno della nostra Comunità di dar voce ed ascolto a chiunque. Sappiamo bene che i temi dell'immigrazione e dell'inclusione sociale sono estremamente delicati e complessi.
Su questi aspetti mi auguro che con il consigliere straniero aggiunto, e non solo con lui, si possano trovare risposte esaurienti nel rispetto della convivenza civile, delle regole, della piena integrazione.
Dunque, anche in questo caso partecipazione. Una parola che sarà ricorrente. E che vuole essere piena di contenuto e sostanza. Su questa si incentrerà il nostro metodo di lavoro. Sulla partecipazione che è rispetto e valorizzazione delle idee, riconoscimento del merito, sull'impegno individuale e sulla concretezza.
Un metodo per comprendere le esigenze dei cittadini e interpretare le istanze di rinnovamento. Al bando dunque ideologie, autoreferenzialità, interessi di parte, privilegi. Perché crediamo sia ancora possibile fare bene, ed in tempi ragionevoli, cose forse semplici, ma utili per tutti i cittadini.
Partiamo da un situazione generale grave, conseguente ad una poco oculata e lungimirante gestione delle risorse da parte delle passate amministrazioni, da una forte crisi economica ed a tagli di risorse. Per cui niente voli pindarici. Piuttosto una gestione oculata e rigorosa della politica di bilancio che consenta al Comune di mantenere un buon livello dei servizi prestati, specialmente alle fasce sociali più deboli della popolazione.
Va fatto con l'impegno di tutti i dipendenti comunali, attraverso una urgente, necessaria e concreta razionalizzazione della cosiddetta “macchina comunale”. Dove non saranno fatti stravolgimenti, ma alcuni cambiamenti, anche necessari, sì. E dove deve essere chiaro un concetto: sarà premiato il merito e non sarà tollerato il mancato senso del dovere di un pubblico dipendente.
Non è questo il momento per illustrare il programma di mandato. È questa l'occasione però per cominciare a mettere punti fermi.
A partire dal decoro urbano. Non va bene che oggi, 9 giugno, ci siano ancora in città parchi e mura pieni d'erba. Non va bene che oggi, 9 giugno, i cordoli delle aiuole rovinati dai mezzi spazzaneve a febbraio siano ancora sbriciolati.
Non va bene che resti per mesi una buca sulla strada o un lampione fulminato. Non vanno bene tante criticità laddove basterebbe più un minimo di attenzione che risorse per sistemarle. Perché è una questione di sensibilità e di rispetto verso i cittadini.
Tra i punti fermi non può mancare il lavoro e lo sviluppo economico. E dunque una piena collaborazione con le imprese e con gli istituti di credito, con i sindacati e con il centro per l’impiego per rimuovere gli ostacoli che si frappongono alla ripresa e per contenere le ricadute negative della crisi sul lavoro e sul futuro delle famiglie.
Senza stravolgere un territorio che ha già tante problematiche dal punto di vista ambientale. Senza occupare ulteriore suolo, ma recuperando l'esistente. Promuovendo tutte quelle azioni innovative che vanno in questa direzione per la tutela del suolo e dell'aria.
Sogno di inaugurare una nuova azienda verde che nasca all'interno di un capannone oggi dismesso piuttosto che tagliare il nastro di un nuovo centro commerciale.
Ho in mente, abbiamo in mente una città viva e vitale. Una città attenta alle fasce sociali più deboli che garantisca una vita buona alle famiglie con figli piccoli, agli anziani, alle persone diversamente abili, a chi vive in condizioni di marginalità sociale.
Una città che riporti al centro dell'interesse i bambini, gli adolescenti ed i giovani adeguando i servizi e le offerte di aggregazione e di cultura a loro rivolti.
Una città sicura per una maggiore sicurezza dei cittadini e per il rispetto delle regole e della legalità.
Concludo questo mio primo intervento da Sindaco con un riferimento personale.
Mi sia consentito farlo, per meglio rappresentare a voi tutti il forte coinvolgimento che avverto nell'accingermi a questa importante missione. Non mi sfugge il fatto, né mai mi è sfuggito, che porto un cognome importante, molto importante per la storia economica e sociale di questa città.
L'esempio di mio padre mi ha accompagnato nelle scelte della mia vita familiare e professionale. Sarà quell'esempio il mio punto di riferimento costante anche nell'azione di governo della città. E questo per me vale come un giuramento, che si unisce al giuramento solenne alla Costituzione che ho appena compiuto. Grazie.

Massimo Bacci, discorso di insediamento alla carica di Sindaco del Comune di Jesi, 9 giugno 2012

venerdì 8 giugno 2012

La spinta al suicidio del Pd


MILANO - «La spinta al suicidio di questo partito non ha limiti». Romano Prodi è all'estero ma ha seguito passo dopo passo la polemica per le nomine all'Authority. E il suo è un commento sferzante, riferito ai vertici del Pd, o comunque «a chi ha avallato queste decisioni».
Parole pesanti che giungono proprio mentre è in corso una delicata direzione del partito democratico in cui tutti i temi del momento sono sul tavolo, dalla Rai alle primarie. La scelta di mercoledì in Parlamento sulle Authority era stata avallata da gran parte del partito. Poche le voci di dissenso come quelle, per citarne alcune di parlamentari vicini allo stesso Prodi, di Arturo Parisi («irresponsabile aver scelto il principio di spartizione») e Sandra Zampa («una delle peggiori pagine della vita del gruppo Pd»). Non è la prima volta in pochi mesi che Prodi interviene duramente su decisioni del Pd. L'ultima occasione è stata quella della legge elettorale.

fonte: Corriere della Sera, 8 giugno 2012

mercoledì 6 giugno 2012

La pista di Boston

ROMA - C'è un filo robusto - rimasto sottotraccia nelle decine di faldoni dell'inchiesta aperta da 29 anni presso la Procura di Roma - che lega la scomparsa di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori allo scandalo dei preti pedofili a Boston. Una vicenda che nel 2002 sconvolse la Chiesa cattolica, lasciò sgomenti milioni di fedeli americani per i sistematici abusi su minori coperti dai vertici ecclesiastici e portò alle dimissioni dell'arcivescovo Bernard Francis Law, poi tornato a Roma nel 2005 in qualità di arciprete della basilica di Santa Maria Maggiore.

Mirella, Emanuela. Due ragazzine quindicenni accomunate da un atroce destino: la prima sparì nel piazzale di Porta Pia il 7 maggio 1983, dopo aver detto alla mamma che doveva incontrarsi con gli amici, e la seconda (figlia del messo pontificio di Wojtyla) il successivo 22 giugno, all'uscita della lezione di flauto a Sant'Apollinare. Un duplice mistero che da tre decenni fa perdere il sonno agli investigatori. E che - considerata l'ipotesi di una mai chiarita Vatican connection - solletica fantasie, ambizioni e congetture di stuoli di giallisti, detective, giornalisti, persino veggenti. L'ultimo colpo di scena, il 14 maggio, ha portato all'apertura della tomba del boss Enrico De Pedis, sepolto nella basilica a ridosso della scuola di musica della «ragazza con la fascetta».
Un timbro, un fermo posta: entrambi localizzati in Kenmore Station, nel centro di Boston. L'uno agli atti, l'altro no. Il primo risale alle prime rivendicazioni dell' affaire Orlandi-Gregori, il secondo fu usato dall'associazione pedofila Nambla (North American Man Boy Lover Association) ed è emerso 19 anni dopo. Vale la pena spiegarlo, questo indizio principe. Metterlo a fuoco, contestualizzarlo.

Macchina indietro di 29 anni: luglio 1983. Il Papa è da poco rientrato dai bagni di folla nella sua Polonia, le elezioni in Italia hanno appena spianato la strada a Bettino Craxi ma, sul doppio sequestro, è buio totale. Quello di Mirella è «silente» ormai da due mesi e lascia attoniti i genitori, gestori di un bar vicino alla stazione Termini, mentre quello di Emanuela, inaspettatamente, deflagra: è Giovanni Paolo II, con l'appello del 3 luglio all'Angelus («Sono vicino alla famiglia Orlandi, la quale è in afflizione per la figlia...»), a proiettare uno dei tanti casi di missing people in una dimensione planetaria. L'effetto è immediato. Il 5 luglio a casa del «postino» papale arriva la prima telefonata del cosiddetto «Amerikano», italiano incerto e poche battute in inglese, che getta sul piatto una richiesta secca: libereremo «tua figliola», dice, in cambio della scarcerazione di Ali Agca.

Vincenzo Parisi, del Sisde, traccerà il seguente profilo dell'inquietante personaggio: «Straniero, verosimilmente anglosassone, livello culturale elevatissimo, appartenente (o inserito) nel mondo ecclesiale, formalista, ironico, calcolatore...». Trattativa vera o di facciata, quella sull'attentatore di Wojtyla? Un dato è certo: di contatti con la Santa Sede, attraverso il famoso codice «158», il dominus dell'intera vicenda ne ebbe più d'uno.
Il giallo infiamma l'estate. A luglio l'«Amerikano» telefona ancora, lancia ultimatum sulla vita di Emanuela. Ma all'improvviso smette, tace. Agosto viene così «riempito» da un altro soggetto, il Fronte Turkesh, i cui messaggi (scoprirà l'ex giudice Ferdinando Imposimato) altro non sono che depistaggi della Stasi e del Kgb per tenere sotto scacco l'odiato Papa anticomunista e filo-Solidarnosc.

Settembre, mese chiave dell'intrigo. Il 4 l'«Amerikano» riappare e fa trovare una busta dentro un furgone Rai, contenente un messaggio a penna e uno spartito di Emanuela. Ancora: al bar dei Gregori, il 12, giunge una telefonata choc. Un anonimo elenca i vestiti indossati e la marca della biancheria intima di Mirella, che solo la madre conosce. È un complice dell'«Amerikano»? Entrambe le ragazze sono in suo pugno?
Ed eccoci al 27 settembre 1983, all'ulteriore rivendicazione (o messinscena?) che, riletta oggi, fa correre brividi lungo la schiena. Richard Roth, corrispondente da Roma della Cbs , riceve una lettera che preannuncia «un episodio tecnico che rimorde la nostra coscienza». Gli investigatori, scrive l' Ansa il giorno dopo, sono sicuri: si tratta dei «veri rapitori di Emanuela» o di «quelli che l'hanno tenuta prigioniera». Sulla busta c'è il timbro di partenza: Kenmore. Ma a quale episodio «tecnico» si allude? «L'imminente uccisione dell'ostaggio».

Non basta: una perizia grafologica accerta che il messaggio del 4 settembre e questo del 27 sono opera della stessa mano. L'«Amerikano» si è spostato sulla East coast? O ha trasmesso i suoi scritti a qualcuno, forse per continuare i depistaggi?

Tale pista all'epoca non fu percorsa ma adesso, alla luce dei nuovi indizi, potrebbe riprendere quota. Gennaio 2002, Boston: scoppia lo scandalo. Il cardinale Law è accusato di aver coperto per molti anni sacerdoti pedofili della diocesi. Maggio 2002, si apre il processo davanti alla Corte di Suffolk: Law nella deposizione risponde a monosillabi, si scusa per aver controllato poco i «collaboratori». 7 giugno 2002: fuori dal tribunale le mamme delle vittime (per lo più maschietti, ma non solo) protestano. E, dentro, l'interrogatorio è incalzante: «È emerso in una precedente deposizione - attacca il rappresentante dell'accusa - che 32 uomini e due ragazzi hanno formato il gruppo Nambla. Per contattarlo si può scrivere presso il Fag Rag, Box 331, Kenmore Station, Boston... Cardinale Law, ha inteso?». Pausa. Nell'aula risuona una frase sibilata, poco più di un soffio.

«I do», risponde l'arcivescovo. Sì, è vero. Il Fag Rag , che sta per «Giornalaccio omosessuale», faceva quindi proseliti per conto del temutissimo sodalizio pedofilo degli States, proprio dalla stazione da cui partì la lettera su Emanuela. Nella sequenza di omissioni e depistaggi che da sempre alimenta il giallo della «ragazza con la fascetta», la pista di Boston, 29 anni dopo, fa balenare il più spaventoso e sconvolgente degli scenari.

Fabrizio Peronaci
Corriere della Sera 4 giugno 2012

 

lunedì 4 giugno 2012

Società in house

SOMMARIO: 1. Nozione. 2. Le società in house. 3. Il requisito della totale partecipazione pubblica. 4. Il requisito del controllo analogo. 5. Il requisito della prevalenza dell’attività. 5. Il carattere eccezionale degli affidamenti in house.

1. Si ha <gestione in house> allorché le pubbliche amministrazioni realizzano le attività di loro competenza attraverso propri organismi, senza quindi ricorrere al mercato per procurarsi (mediante appalti) i lavori, i servizi e le forniture ad esse occorrenti o per erogare alla collettività (mediante affidamenti a terzi) prestazioni di pubblico servizio.
Nelle gestioni in house non vi è alcun coinvolgimento degli operatori economici nell’esercizio dell’attività della pubblica amministrazione, per cui le regole della concorrenza, applicabili agli appalti pubblici e agli affidamenti dei pubblici servizi a terzi, non vengono in rilievo. Il diritto comunitario e quello interno derivato non impongono, infatti, che le pubbliche amministrazioni osservino le procedure volte a garantire l’effettiva concorrenza quando esse non ricorrono al mercato, ma si avvalgono di propri organismi facenti parte della organizzazione amministrativa che fa loro capo.(1)
Gli organismi in house, pur essendo parte del sistema amministrativo facente capo alla pubblica amministrazione, non devono necessariamente costituire un’articolazione interna dell’amministrazione stessa priva di soggettività giuridica.(2) E’, pertanto, ben possibile che gli organismi in house siano dotati di una propria personalità giuridica, distinta, cioè, da quella dell’amministrazione di appartenenza. Trattasi, tuttavia, di una distinzione che rileva sul piano formale, ma non su quello sostanziale. Gli organismi in house, infatti, anche se sono formalmente distinti dall’amministrazione pubblica, non hanno alcuna autonomia decisionale, in quanto essi rappresentano solo un modulo organizzativo di cui l’amministrazione stessa si avvale per soddisfare proprie esigenze.

2. Nel settore dei pubblici servizi locali, l’ordinamento interno conosce da gran tempo <forme> di gestione in house: tali sono, infatti, le gestioni c.d. in economia e quelle a mezzo di istituzioni, aziende speciali comunali, provinciali e consortili. La scelta operata dal legislatore (con l’art. 113, c. 5, del TUEL) di non consentire l’esercizio dei pubblici servizi locali aventi “rilevanza economica” tramite le suddette forme di gestione ha indotto il legislatore medesimo ad istituire, per l’affidamento “diretto” di tali servizi, una nuova forma di gestione, quella, cioè, appunto, delle società in house.
Le società in house sono quelle: (i) il cui capitale è interamente pubblico, (ii) sulle quali l’ente o gli enti pubblici titolari del capitale pubblico esercitano un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e (iii) che realizzano la parte più importante della loro attività con l’ente o con gli enti pubblici che le controllano [art. 113, c. 5, lett. c), TUEL].(3)

3. Il requisito della “totale partecipazione pubblica” si giustifica con la circostanza che non può essere considerato un organismo appartenente all’organizzazione della pubblica amministrazione una società al cui capitale partecipino soci privati. L’affidamento diretto di un pubblico servizio locale ad una società in house può, invero, ammettersi solo se non vi è il coinvolgimento degli operatori economici nell’esercizio del servizio, posto che, diversamente, dovrebbero trovare applicazione le regole della concorrenza previste dal diritto comunitario e da quello interno derivato.(4) Inoltre, come ha di recente stabilito la Corte di giustizia con la sentenza 11 gennaio 2005, in C-26/03, Stadt Halle, la partecipazione, anche minoritaria, di un’impresa privata al capitale di una società alla quale partecipi anche l’amministrazione aggiudicatrice esclude in ogni caso che tale amministrazione possa esercitare sulla detta società un controllo analogo a quello che essa esercita sui propri servizi.
Sulla base di tali presupposti, deve ritenersi superato l’orientamento giurisprudenziale che configurava come in house le gestioni dei pubblici servizi locali affidate alle società miste.(5) Con il che non si intende negare che l’affidamento di un pubblico servizio locale ad una società mista non debba avvenire “direttamente”, ma solo precisare che tale affidamento non può considerarsi in house, oltre per quanto detto, anche perché, nel caso delle società miste, a differenza degli affidamenti in house, si è in presenza di una gara [art. 113, c. 5, lett. b), TUEL], ancorché questa riguardi non la scelta dell’affidatario o del concessionario del servizio, ma del socio privato con il quale l’ente locale costituirà la società che dovrà erogare il servizio stesso. (6) Il che ha delle evidenti ricadute in ordine, ad esempio, al divieto di partecipazione alle gare previsto dall’art. 113, c. 6, del TUEL, che deve ritenersi applicabile alle società in house, ma non a quelle miste.

4. In merito al requisito del “controllo analogo” si è espresso il Consiglio di Stato, il quale, con decisione della sezione V del 18 settembre 2003, n. 5316 (antecedente, quindi, alle modificazioni apportate all’art. 113 del TUEL con l’art. 14 del d.l. 269/03), ha ritenuto che il detto controllo esiste allorché il comune possiede almeno “il 51% del capitale della società affidataria” e purché tale prevalenza del capitale pubblico permanga – per obbligo statutario – “per tutta la durata della società”. Il controllo in questione si ha anche quando le disposizioni dello statuto conferiscono “al comune una posizione dominante” come accade quando al comune medesimo è riservato l’assenso “in caso di trasferimento di azioni da parte di altri soci” e perciò “il controllo sull’assemblea”, nonché nel caso in cui al comune viene riservata la maggioranza “in sede di nomina e reintegrazione degli amministratori, con intuibili riflessi anche in ordine alla nomina degli altri amministratori e del collegio sindacale”.
Il riferito orientamento giurisprudenziale appare, tuttavia, al pari di quello a cui si è fatto dianzi cenno a proposito delle società miste, decisamente superato dalla nuova formulazione dell’art. 113, c. 5, del TUEL e dalla sentenza Stadt Halle della Corte di giustizia.
Tutt’ora valida, deve, viceversa, ritenersi, in mancanza di decisioni sul punto della Corte di giustizia, la posizione assunta dalla Commissione europea (cfr. nota 26 giugno 2000 indirizzata al Governo italiano), la quale ha osservato che affinchè sussista il requisito del “controllo analogo” non è “sufficiente il semplice esercizio degli strumenti di cui dispone il socio di maggioranza secondo le regole proprie del diritto societario”. Il controllo contemplato dalla sentenza Teckal “fa infatti riferimento ad un rapporto che determina, da parte dell’amministrazione controllante, un assoluto potere di direzione, coordinamento e supervisione dell’attività del soggetto partecipato, e che riguarda l’insieme dei più importanti atti di gestione del medesimo. In virtù di tale rapporto il soggetto partecipato, non possedendo alcuna autonomia decisionale in relazione ai più importanti atti di gestione, si configura come un’entità distinta solo formalmente dall’amministrazione, ma che in concreto continua a costituire parte della stessa”. Pertanto, “solo a tali condizioni si può ritenere che fra amministrazione e aggiudicatario non sussista, agli effetti pratici, un rapporto di terzietà rilevante ai fini dell’applicazione delle regole comunitarie in materia di appalti pubblici”.(7)
Le società in house, in virtù dell’art. 113, c. 5, lett. c) del TUEL, possono essere partecipate da più enti pubblici. In tal caso, la funzione di controllo sulla società, non potendo essere esercitata individualmente da ogni singolo ente, deve necessariamente essere esercitata collettivamente ossia dall’insieme della compagine pubblica partecipante alla società. Il significato della partecipazione di un ente pubblico ad una società partecipata “interamente” da altri enti pubblici sta, infatti, nell’apprestare una formula organizzativa che consenta l’esercizio in comune di servizi da parte di enti pubblici aventi interessi omogenei. Ciò spiega perché la norma, nel prevedere la partecipazione di più enti pubblici, riferisca la “totalità” del capitale, attraverso la quale si esplica il controllo sulla società, all’insieme degli enti e non a ciascuno di essi singolarmente considerato. Il che, d’altronde, sotto il profilo logico, non sarebbe materialmente possibile, giacchè la partecipazione totalitaria dell’uno escluderebbe necessariamente la partecipazione alla società di qualsiasi altro ente pubblico.(8)

5. Le società in house si caratterizzano per il fatto che il servizio pubblico viene ad esse affidato in gestione “direttamente” ossia senza il previo espletamento di una pubblica gara.(9)
Ciò comporta che tali società sono tenute a realizzare la parte più importante della loro attività con l’ente o con gli enti pubblici che le controllano. Le regole della concorrenza risulterebbero, infatti, violate nel caso di affidamento diretto di un pubblico servizio da parte di un’amministrazione pubblica ad un’impresa che sta sul mercato, posto che tale impresa verrebbe favorita rispetto alle altre imprese, che pure stanno sul mercato, alterando la par condicio tra imprese concorrenti. Non è, invece, così quando si tratta di organismi che non stanno sul mercato o che vi stanno in posizione del tutto trascurabile, quali, appunto, sono quelli che operano esclusivamente o quasi esclusivamente a favore degli enti pubblici che li controllano.
Inteso in tal modo il requisito della prevalenza dell’attività, ne consegue che esso va valutato sotto il profilo quantitativo e non qualitativo ossia in termini economici e non di “importanza” del servizio affidato in gestione alla società. E’, insomma, al fatturato della società che occorre fare riferimento, per cui se quello che riguarda l’attività svolta a favore degli enti locali è più ampio rispetto a quello concernente la restante attività della società stessa, il requisito della prevalenza dell’attività può considerarsi soddisfatto.
La prevalenza dell’attività deve, peraltro, essere significativa, in quanto non è una minima prevalenza che può indurre a far ritenere che la società opera, se non esclusivamente, almeno quasi esclusivamente a favore degli enti locali che la controllano.(10) La legge non indica la <misura> della prevalenza dell’attività, sicchè spetterà all’interprete individuarla, tenendo presente la ratio della norma che prevede gli affidamenti in house e facendo riferimento, ove possibile, a disposizioni che regolano casi analoghi. A tale proposito possono essere utilmente richiamate le disposizioni comunitarie (art. 13, direttiva 93/38/CEE e art. 23, direttiva 2004/17/CE) e di diritto interno derivato (art. 8, d.l.vo 17 marzo 1995, n. 158), le quali consentono, nei settori c.d. esclusi o speciali, che le amministrazioni aggiudicatrici affidino direttamente appalti (di servizi e, dopo l’entrata in vigore della direttiva 17, anche di lavori e forniture) ad un’impresa collegata, purchè almeno l’80% del fatturato medio realizzato da tale impresa negli ultimi tre anni provenga dallo svolgimento di servizi o di lavori o dalla fornitura di prodotti all’amministrazione a cui è collegata. La ragione che giustifica l’affidamento diretto di un appalto ad una società collegata è, invero, la medesima che giustifica l’affidamento diretto di un pubblico servizio ad una società in house, in quanto, in entrambi i casi, l’avvalersi di società collegate o controllate rappresenta una scelta autorganizzativa della pubblica amministrazione, la quale evita, in tal modo, di rivolgersi al mercato. Il parametro dell’80% del fatturato realizzato dalla società in house per la gestione dei servizi pubblici ad essa affidati dall’amministrazione che la controlla può, quindi, considerarsi un valido criterio dal quale può ragionevolmente desumersi quando il requisito della prevalenza dell’attività sia da ritenere soddisfatto.

6. La scelta di realizzare la gestione di un pubblico servizio mediante l’affidamento diretto ad una società in house risponde, come si è visto, ad una legittima modalità organizzativa dell’amministrazione pubblica, la quale, avvalendosi di un soggetto che fa parte della medesima struttura amministrativa, non vìola la normativa comunitaria e il principio della concorrenza, che la ispira.(11) Trattasi, oltretutto, di una scelta ampiamente discrezionale sottratta, perciò, al sindacato di legittimità. Ciò ha indotto a dubitare della conformità dell’art. 113, c. 5, del TUEL al diritto comunitario. La citata norma,  lasciando alle amministrazioni piena discrezionalità in ordine alla scelta del modello gestionale da adottare per la gestione dei pubblici servizi locali, sarebbe, infatti, suscettibile di stravolgere “alla stregua dei principi comunitari, il rapporto tra i diversi modelli di affidamento dei servizi pubblici, in forza del quale il ricorso a procedure di evidenza pubblica dovrebbe configurarsi come la regola e l’affidamento in house come eccezione”. Di qui la devoluzione della questione alla Corte di giustizia, che dovrà, quindi, stabilire se sia compatibile con il diritto comunitario, ed in particolare con gli obblighi di trasparenza e libera concorrenza di cui agli artt. 46, 49 e 86 del Trattato, l’art. 113, c. 5, del TUEL, “nella parte in cui non pone alcun limite alla libertà di scelta dell’amministrazione pubblica tra le diverse forme di affidamento del servizio pubblico, ed in particolare tra l’affidamento mediante procedura di gara ad evidenza pubblica e l’affidamento diretto a società da essa interamente controllata”.(12)

***
(1) Corte di giustizia 18 novembre 1999, in C-107/98, Teckal; 8 maggio 2003, in C- 349/97, Spagna/Commissione; 11 gennaio 2005, in C-26/03, Stadt Halle.
(3) L’art. 113, c. 5, lett. c) del TUEL, nell’individuare le caratteristiche delle società in house, riproduce i parametri individuati dalla c.d. sentenza Teckal della Corte di giustizia sovra citata.
(4) La ratio della regola enunciata dalla Corte di giustizia nella sentenza Teckal, ad avviso del Consiglio di Stato (v. sez. V, 18 settembre 2003, n. 5316), “va individuata nel fatto che, nei confronti di un soggetto controllato e che svolga la sua prevalente attività per il soggetto controllore, non sarebbero ravvisabili situazioni di pregiudizio per la parità di trattamento degli altri operatori economici e per il rispetto delle regole di concorrenza”
(5) Secondo il Consiglio di Stato (sez. V, 30 giugno 2003, n. 3864), il modello delle società a prevalente capitale pubblico locale già previsto dall’art. 22, c. 3, lett. e), della l. 142/90   e, poi, dall’art. 113, c. 1, lett. e), del TUEL (nel testo originariamente vigente) “va qualificato come gestione diretta del servizio (Cons. St., Sez. V, 19 febbraio 1998, n. 192), assimilabile all’affidamento c.d. in house di matrice comunitaria”; il fondamento dell’affidamento senza gara del servizio alle società in questione va rinvenuto “negli atti costitutivi della società ed in quelli di selezione del socio privato, da valersi quali provvedimenti genetici del soggetto giuridico per mezzo del quale (seppur in regime convenzionale) l’ente locale svolge il servizio”.
(6) Cons. St., sez. V, 3 febbraio 2005, n. 272, secondo cui la società mista è “costituita attraverso procedura pubblica e allo specifico scopo di affidarle i servizi pubblici dell’ente locale che la ha costituita” per cui è “immediatamente consequenziale che il relativo affidamento debba avvenire in modo diretto”.
(7) Il Consiglio di Stato, sez. V, con ordinanza 22 aprile 2004, n. 2316, ha rimesso alla Corte di giustizia la questione sulla compatibilità con il diritto comunitario, e in particolare con la libertà della prestazione di servizi, il divieto di discriminazione e l’obbligo di parità di trattamento, trasparenza e libera concorrenza, di cui agli artt. 12, 45 e 46 e 86 del Trattato, “l’affidamento diretto, ossia in deroga ai sistemi di scelta del contraente di cui alla direttiva 92/50/CEE, della gestione dei parcheggi pubblici a pagamento, ad una società per azioni, a capitale interamente pubblico, ai sensi dell’art. 44, c. 6, lett. b) della legge della Regione Trentino-Alto Adige 4 gennaio 1993, n. 1, modificato dall’art. 10 della legge regionale del 23 gennaio 1998, n. 10”. E’, peraltro, da osservare che nella citata ordinanza il Consiglio di Stato fa presente che, nella specie, si tratta di un affidamento diretto a “società per azioni, del tutto autonome, salvo l’esercizio dei poteri propri del possessore della maggioranza delle azioni, secondo le norme del diritto commerciale comune”. Il che sembra configurare un’ipotesi diversa da quella prevista dall’art. 113, c. 5, lett. c), del TUEL e da quelle esaminate dalla Corte di giustizia. Non è, inoltre, esatto che l’impiego sempre più frequente degli affidamenti in house comporti, come sostiene il Consiglio di Stato nella citata decisione, “la sottrazione di aree assai ampie di attività economiche all’iniziativa imprenditoriale privata, in contrasto con la stessa ragion d’essere dell’Unione Europea”. Le aree di attività economiche in cui è utilizzabile l’istituto degli affidamenti in house sono, infatti, già sottratte “all’iniziativa imprenditoriale privata” trattandosi di attività non liberalizzate.
(8) Cons. St., sez. V, 6 maggio 2002, n. 2418, sia pure con riferimento alle società a “prevalente capitale pubblico locale” di cui all’art. 22, c. 3, lett. e), della l. 142/90 e all’art. 113 del TUEL (nel testo originario).
(9) Nel caso degli affidamenti in house manca, quindi, “un vero e proprio rapporto contrattuale tra i due soggetti”: Cons. St., sez. VI, 22 novembre 2004, n. 7636 e 7637.
(10) Nella sentenza 8 maggio 2003, in C-349/97, Spagna/Commissione, la Corte di giustizia ha affermato che l’organismo in house deve svolgere “la parte essenziale” della propria attività insieme con l’ente o con gli enti territoriali che lo controllano.
(11) cfr. Cons. St., sez. VI, 22 novembre 2004, n. 7636 e n. 7637.
(12) TAR Puglia, Bari, sez. III ord. 22 luglio 2004 (data dec.), n. 885. La circostanza che l’in house providing costituisca un’eccezione all’applicazione delle direttive in materia di appalti pubblici è esplicitamente affermato dalla Corte di giustizia nella citata sentenza Spagna/Commissione.

La gestione in house di pubblici servizi
 Costantino Tessarolo, www.dirittodeiservizi pubblici.it

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