sabato 31 gennaio 2015

I ricordi degli amici


di Enrico Fierro per “Il Fatto Quotidiano

Dai nemici mi guardi Iddio ché dagli amici mi guardo io”. Oggi tutti “mattarelliani”, tutti per “Sergiuzzo”, soprattutto i balenotteri invecchiati e superstiti della grande Balena bianca. Torna la Dc, no, non è mai andata via, nei secoli fedele come l’Arma, anche se dispersa un po’ nel Pd renziano, un pezzetto nei vari tronconi del berlusconismo, un pizzico nelle sigle neocentriste.

Ha i lucciconi agli occhi Rocco Buttiglione, “Sergio è amico mio”, si commuove Clemente Mastella, fa battute carine Pino Pisicchio, ma quante botte si sono dati ai tempi d’oro della Dc. Ai congressi, certo, ma ancora di più nei convegni che le varie correnti del partitone organizzavano in ovattati conventi, lontano da occhi e orecchie indiscreti. Abiti grigi, modi curiali, articolati pensieri per disegnare feroci mappe del potere.

Leonardo Sciascia fu affascinato da quel mondo e scrisse Todo Modo. Poi, certo, si scadeva nella sguaiata volgarità e i nemici venivano triturati. Franco Evangelisti, ras romano del potere andreottiano, poco prima di morire raccontò i pranzi a casa di Salvo Lima, potente viceré siciliano. A pranzo finito, quando ormai sulla tavola primeggiavano cannoli e cassate, il proconsole del Divo Giulio praticava un rito, sempre lo stesso. Alzava il cucchiaio in alto. “Quello era il segnale – è il racconto di Evangelisti -. Salvo divideva il mondo in uomini e ricchioni,che poi voleva dire tutto: cattivo o sleale o nemico, magari solo antipatico, ma sempre ricchione. Salvo, dunque, agitava il cucchiaio come uno scettro, tu facevi un nome, e lui: ricchione. Sergio Mattarella: ricchione, e qualche volta anche cornuto…”.

LUI, IL CAVALLO di razza ora in corsa per il Quirinale, sapeva di questa strana usanza, aveva messo nel conto l’odio di Lima e Ciancimino, ma come da tradizione, cultura, carattere e formazione, non replicava. “In confronto a lui Arnaldo (Forlani, ai tempi detto coniglio mannaro, ndr) è un movimentista”, dice ancora oggi Ciriaco De Mita quando gli chiedono un giudizio su Mattarella. Sopire, smussare, chetare.

Solo una volta il promesso inquilino del Quirinale perse le staffe e prese di petto Rocco Buttiglione. Era il 1995 e Buttiglione si impadronì di Piazza del Gesù con l’obiettivo di traghettare quello che rimaneva della Dc nei sicuri porti berlusconiani. Dismesso l’abito grigio Mattarella, insieme ad una infuocata Rosi Bindi, gli urlò “fascista, fascista, fascista”, tre volte, per sovrappeso lo definì “el general golpista Roquito Buttiglione”. Rocco non si scompose, fece quello che doveva fare, e per vendetta staccò luce, gas e telefoni agli altri occupanti abusivi di quello che fu il quartier generale dei democristiani.

Gli anni passano e gettano acqua sugli ardori del passato. “Quella – dice oggi Buttiglione non più golpista – fu una esperienza dolorosa. Sergio ha un carattere e quindi talvolta un cattivo carattere. Sarà un buon presidente…”. “Sergio è amico mio, continuo a chiamarlo così, ma dai prossimi giorni per me sarà il Presidente. Avrà uno stile einaudiano”. Anche Clemente Mastella ha i lucciconi, anche lui ha dimenticato quel terribile 1993, quando si candidò a segretario della Dc. Sergio suo e Bodrato gli spezzarono le gambe: “Un partito moderato e conservatore non può essere il nostro partito”.

Pure l’onorevole Lorenzo Dellai promette sostegno e voti, anche lui ha accantonato il passato e quella imposizione rutelliana del 2001 che volle catapultato nel suo Trentino il siculo Mattarella. “Non possiamo venire a sapere che uno si candida qui leggendo il Giornale di Sicilia”, disse al tempo.

Da Sergio mai una replica, una polemica, finanche qualche sorrisetto alle accuse di essere un menagramo lanciate in pieno Parlamento da un deputato siciliano. Massimo D’Alema affondò Prodi e arrivò finalmente al governo, come vice scelse proprio Mattarella. Ilario Foresta, imprenditore siculo e deputato di Forza Italia, attinse a piene mani da Pirandello. “Onorevole D’Alema, Lei ha compiuto un grave errore nel nominare alla vicepresidenza l’onorevole Mattarella, persona che stimo, ma che coloro che lo conoscono bene affermano abbia una grave prerogativa”. Toccatina unanime.

Ma se, come dice Buttiglione, Mattarella ha un cattivo carattere, lo nasconde bene. “Sarà un buon presidente – dice il filosofo – ma Renzi non lo conosce bene”. Un cattivo presagio per il renzismo pigliatutto.

venerdì 30 gennaio 2015

Dopo 17 anni




Sarà Sergio Mattarella la figura chiave per risolvere il rebus dell’elezione del Presidente della Repubblica? La risposta è attesa per sabato mattina, giornata iniziale del quarto scrutinio che prevede il requisito della maggioranza assoluta degli aventi diritto al voto per la scelta del nuovo inquilino del Quirinale.
Lo scenario del ritorno di un rappresentante della storia democratico-cristiana al Colle rende felice Paolo Cirino Pomicino, parlamentare e ministro di lungo corso dello Scudo crociato.

Come giudica l’eventualità dell’elezione di Mattarella al ruolo di Capo dello Stato?
Sono felice per due elementi che spazzano via tanti luoghi comuni. Tutti i candidati veri al Colle sono personalità della prima Repubblica, mentre la seconda non è stata capace di proporne uno credibile. E due dei tre contendenti – Pierferdinando Casini e Sergio Mattarella – sono democratici cristiani autentici. È la testimonianza dello scempio disastroso compiuto nel 1992-1993, quando fu distrutta una classe dirigente che aveva al proprio interno realtà e protagonisti di alto livello e robustezza politico-istituzionale. Una valida sconfessione della “goliardia della Rottamazione”.
Mattarella è la figura adatta per la più alta magistratura repubblicana?
Certo. Sergio proviene da una stirpe della Democrazia cristiana, con il padre Bernardo e il fratello Piersanti assassinato dalla mafia come avvenuto per tanti rappresentanti del nostro partito. Una famiglia di cultura forte e stabile sotto il profilo dell’ispirazione cattolico-politica. Lo conferma il profilo serio, prudente, costruttivo della sua personalità pubblica.

Avete condiviso molte esperienze di governo?
Per quattro anni. Nell’esecutivo guidato da Ciriaco De Mita nel 1988-1989 Mattarella ricopriva il ruolo di responsabile per i Rapporti con il Parlamento, mentre nella compagine presieduta da Giulio Andreotti nel 1989-1991 ha rivestito il compito di ministro per la Pubblica istruzione. Ricordo che riuscì a ridurre i costi nel comparto supplenze, aiutando me e Guido Carli – ministri del Bilancio e del Tesoro – a risparmiare notevoli risorse pubbliche. Vi è poi un elemento rilevante nel suo curriculum ministeriale.

Quale?
Nella veste di responsabile della Difesa e vice-premier nel governo guidato da Massimo D’Alema tra il 1999 e il 2000 mise a disposizione della Nato le basi militari di Vicenza per favorire il decollo degli aerei che andavano a bombardare Belgrado. Era l’epoca della guerra nel Kosovo, e tale scelta costituisce un fattore di fiducia per gli Stati Uniti.

La vicenda della “Legge Mammì” vi trovò su sponde contrapposte.

Mattarella però non riceverà l’appoggio del centro-destra, né del Movimento Cinque Stelle.
È vero, non verrà votato da un vasto arco di forze. Sarà un Presidente della Repubblica scelto a maggioranza risicata, se sarà eletto. Matteo Renzi non si è posto neanche il problema, visto che fin dall’inizio ha caldeggiato l’elezione del Capo dello Stato al quarto turno e preannunciato l’opzione del Pd per la scheda bianca nelle prime tre tornate.

Che tipo di capo dello Stato sarà Mattarella?
Il futuro inquilino del Quirinale troverà nello scenario politico-elettorale un premier “proprietario del partito di maggioranza assoluta” grazie al nuovo meccanismo di voto. Un Presidente del Consiglio “padrone dell’Aula parlamentare e del governo”. Tutto ciò muta la qualità dell’azione del capo dello Stato.

Per quale ragione?
Fino a ieri il Presidente della Repubblica è stato un “notaio” tra governo e Parlamento entrambi sovrani. Adesso i due organi costituzionali si concentreranno in un’unica figura. E il capo dello Stato dovrà divenire un contrappeso istituzionale del premier.

Teme agguati e sorprese negative per Mattarella nel segreto dell’urna?
Non credo che si ripeteranno le vicende che nel 2013 coinvolsero Franco Marini e Romano Prodi. Finalmente dopo 17 anni ritorna al Colle un esponente democratico-cristiano. A riprova che la Dc non è stata una “parentesi né un incidente della storia”. La sua esperienza e vitalità politica non sono affatto tramontate.


lunedì 26 gennaio 2015

Sotto i 100 mila abitanti, Diocesi a rischio

Giacomo Galeazzi per “la Stampa”


Il precedente è storico: il decreto con cui nel 1986 Karol Wojtyla cancellò un centinaio di diocesi. Una massiccia «spending review» per istituzioni, risorse materiali e personale. Adesso il dossier per ridurre il numero delle Chiese locali italiane è sotto osservazione al dicastero vaticano dei Vescovi guidato dal cardinale Marc Ouellet. Sono una trentina le diocesi con meno di 100mila abitanti che presto potrebbero essere accorpate.
 
A fissare i criteri, tra i quali le quote di parrocchie, sacerdoti e studenti iscritti ai seminari diocesani, è stato il gruppo di lavoro istituito alla Conferenza episcopale e presieduto dall’arcivescovo metropolita di Potenza, Agostino Superbo.

Due mesi dopo la sua elezione, papa Francesco ha fatto conoscere all’assemblea generale della Cei il proprio orientamento favorevole ad una semplificazione della Chiesa nazionale e ad un alleggerimento delle articolazioni locali che in territori di limitata estensione provocato la moltiplicazione di strutture formative, caritative, culturali e assistenziali.
 
Le diocesi italiane sono 226, mentre gli accordi concordatari del 1984 indicavano il traguardo di scendere a 113. Una «anomalia» dovuta alla storica centralità dell’Italia nella geografia ecclesiale.

Una ipertrofia che oggi non ha più ragion d’essere alla luce di quella «universalità» che ha reso fondamentali gli episcopati di nazioni un tempo periferiche. così ora rischiano l’accorpamento diocesi come Gubbio,Ozieri, Ischia, Jesi, Sessa Aurunca, Urbino, Lanusei. Sulla base del fascicolo istruito dalla congregazione dei vescovi sarà Francesco a stabilire tempi e modi degli accorpamenti. Un taglio da realizzare «in spirito di fratellanza», non un’abolizione che assuma la forma di un colpo di scure.

domenica 25 gennaio 2015

Cosa pensano i tedeschi di Matteo Renzi

Tobias Bayer per "Die Welt" – del 23 gennaio 2015


È la carta con cui ha più familiarità, e la gioca. Il primo ministro italiano Matteo Renzi (40 anni) ha invitato la cancelliera Angela Merkel a Firenze. È la città di Renzi, è qui che ha iniziato la sua stupefacente carriera prima come presidente della Provincia e poi come Sindaco.

Matteo Renzi tiene il ricevimento alla Galleria dell’Accademia. Ha fatto posizionare il podio davanti alla statua del David di Michelangelo. Il primo ministro italiano si è infilato un abito blu, Merkel invece porta un blazer turchese. Renzi si gira di lato e indica il Davide, che sovrasta come un gigante i due politici.

Per Renzi, David è un “simbolo”, l’Europa sta per “bellezza”. Dopotutto – sostiene Renzi - non si può parlare solo di economia: “dobbiamo rieducare l’Europa”. Il luogo è stato scelto astutamente. Rinascimento nel 21esimo secolo, bellezza anziché economia – solo in una città sensuale come Firenze i tedeschi possono lasciarsi trasportare così. Davanti a una scenografia come il David di Michelangelo, gli Uffizi, Palazzo Vecchio e Ponte Vecchio, addirittura la fredda cancelliera per un attimo si dimentica della turpe attualità.

L’Eurozona rischia di sprofondare. La Germania è sempre più sola nel suo insistere sulla disciplina di bilancio. Sono altri nel frattempo a dettare il tono. L’esempio più recente: la banca centrale europea (BCE) avvia nonostante l’opposizione tedesca il Quantitative Easing. La banca centrale comprerà 60 miliardi di euro di debito pubblico al mese. Per molti cittadini tedeschi, che tengono ai propri risparmi, è una cosa parecchio difficile da sopportare.

I timori dei tedeschi per la perdita di valore della valuta sono forti, e interessano da vicino l’Italia. La terza economia dell’eurozona ansima sotto una montagna di debiti da oltre 2.000 miliardi di euro. La crescita è necessaria e urgente, in modo da ridurre i debiti. Ma il Paese semplicemente non riesce a decollare. Mentre ad esempio la Spagna sta lentamente risalendo la china, l’Italia è scivolata nella terza recessione dal 2008.

I tedeschi dall’Italia vogliono vedere riforme, riforme, riforme. Eppure ecco che si risvegliano i ricordi dell’estate 2011. Fu in quel periodo che l’Italia entrò nel mirino dei mercati finanziari. L’allora primo ministro Silvio Berlusconi prometteva solennemente riforme. A quel punto venne in soccorso la BCE comprando debito pubblico italiano – e Berlusconi accantonò le riforme.

Renzi è seduto a Palazzo Chigi da febbraio. Poco dopo l’inizio del suo mandato, promette una riforma al mese. A una conferenza stampa d’eserdio fa vorticare slides manco fosse un consulente di McKinsey. Poco dopo, a marzo, vola a Berlino – e la Merkel è molto colpita dal giovane prodigio toscano. “Sono senz’altro impressionata”, cinguetta Merkel, “si tratta di un cambio strutturale. Gli auguro di avere successo e un piglio vigoroso”.

Quasi un anno dopo, Renzi promette che, nonostante un sostegno da 40 miliardi dalla BCE, non intende venir meno al suo programma di riforme. Tutto l’opposto: “Questo ci impegna a proseguire ancora più decisamente di prima”, dice Renzi. “Dobbiamo mettere il turbo”. La Merkel annuisce convinta, il modo di lavorare di Roma l’ha a suo dire “tranquillizzata”.


Renzi dopotutto ha sempre con sé un’agendina su cui annota i progressi delle singole riforme. Grazie a lui – spiega Merkel – la cancelliera è diventata un’esperta del processo legislativo italiano. Merkel loda Renzi: “Questo modo di lavorare infonde fiducia. Nessuna banca centrale al mondo può sostituire la politica”.

In ogni caso, non si può accusare Renzi di immobilismo. Negli undici mesi da primo ministro ha aggredito molti dossier. Il mercato del lavoro, la pubblica amministrazione, la giustizia e la legge elettorale. Anche lui ne è entusiasta, il suo bilancio è a suo dire “straordinario”. Ma c’è una cosa che non dice: non ha concluso granché.

L’Italia sotto Renzi è l’equivalente di un cantiere piuttosto caotico. La riforma del lavoro, che Renzi ha battezzato “Jobs Act” per accostarsi al presidente USA Obama, è stata licenziata dal Parlamento, ma ancora mancano i decreti attuativi. Il dibattito parlamentare volge alle battute finali, e non è per nulla chiaro che sembianze assumerà. Le riforme della giustizia e della PA si fanno attendere.


Tutto quello che ha a che fare con Renzi è controverso e ricco di polemiche. In parte questo è dovuto all’Italia, che è un Paese complesso e intricato. Ma è dovuto anche alla leadership di Renzi. Renzi non discute a lungo, ma impone la linea. Già da sindaco era così, ed è rimasto fedele a questa impostazione come capo del governo. Tutto ciò che è prioritario è accentrato a Palazzo Chigi, la diversità di vedute non è tollerata.

Alla fine del 2014, il governo Renzi ha licenziato 185 leggi, di cui 53 sotto forma di decreti emergenziali. Spesso Renzi chiede la fiducia per accorciare la discussione in Parlamento. “Renzi è l’equivalente del fast food, non si può che imputargli superficialità”, dice Francesco Galietti, fondatore del laboratorio di analisi Policy Sonar. Il suo maggior risultato economico fin qui? 80 euro in più al mese per dieci milioni di redditi bassi. E quasi a ogni conferenza stampa o talk show Renzi non manca di lodare la beneficienza da 80 euro come rivoluzionario pacchetto congiunturale.

I temi più spinosi, Renzi preferisce invece accantonarli. Come la “spending review”. Carlo Cottarelli era stato chiamato dal Fondo Monetario Internazionale (FMI) per tagliare la spesa pubblica. L’Italia spende ben 800 miliardi all’anno, di cui una grossa parte se ne vanno in pensioni e sanità. Come commissario alla spesa pubblica, Cottarelli sforna un piano dopo l’altro, mette a punto una minuziosa lista di spese da sforbiciare, aggiorna febbrilmente il suo blog – ma proprio con Renzi non riesce a fare breccia.

Il primo ministro si circonda di una armata di consulenti economici con idee ben diverse da quelle dell’uomo del FMI. In breve tempo, Cottarelli non c’è più e le sue carte finiscono a prendere polvere nei cassetti.

Ma il capitolo più complicato è soprattutto la gestione delle nomine di Renzi […] i giornali hanno coniato per gli amici e consulenti più stretti di Renzi l’espressione “giglio magico”. Da sindaco, Renzi era solito mettere i suoi fedeli nelle posizioni critiche. È così che sistema l’avvocato Maria Elena Boschi nel consiglio di amministrazione dell’acquedotto municipale, mentre Filippo Bonaccorsi è nominato assessore alle infrastrutture.

Quando diventa primo ministro, Renzi porta i suoi fidi a Roma. La Boschi diventa ministro per le riforme costituzionali, Bonaccorsi viene imbarcato al ministero dell’istruzione. Luca Lotti, braccio destro di Renzi a Firenze, segue a sua volta il suo capo nella capitale. Come sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, è responsabile dell’editoria.

È lecito dubitare dell’adeguatezza degli amici di Renzi per i nuovi incarichi. Eclatante, in particolare, il caso di Antonella Manzione: in precedenza era il capo della polizia municipale di Firenze, mentre oggi è responsabile del dipartimento legislativo di Palazzo Chigi. Ma che c’entra la vigilessa con il legislativo?

Ma davanti al David queste domande impallidiscono. Renzi non parla della Manzione, ma di Michelangelo. Quando gli viene chiesto della sua ansia riformatrice, risponde con un aneddoto sull’artista. “Come chiunque in toscana, quello era un po’ pazzo”, dice Renzi. “Quando qualcuno gli chiedeva come facesse a realizzare capolavori come il David, rispondeva: ‘è molto semplice, devo solo togliere il marmo in eccesso’”.


E come fa Michelangelo con il marmo, così fa Renzi con l’Italia. Renzi e Merkel si accomiatano con un bacetto prima sulla guancia destra, poi su quella sinistra. Angela si fida del suo Matteoangelo.

sabato 24 gennaio 2015

«È fuori di sé»

In quel tempo, Gesù entrò in una casa e di nuovo si radunò una folla, tanto che non potevano neppure mangiare.
Allora i suoi, sentito questo, uscirono per andare a prenderlo; dicevano infatti: «È fuori di sé».
Mc 3,20-21 

Gesù ha subito molte incomprensioni da parte delle persone che gli erano vicine, anche dai suoi stessi parenti, che lo considerano quasi impazzito e vogliono quindi tenerlo sotto il loro stretto controllo. Quando egli non sembra adeguarsi agli schemi e alle logiche umane, trova l'opposizione degli altri: egli è fuori dai propri comodi, interessi, fama, è fuori dal proprio "ego: si dona interamente all'amore e alle esigenze dell'umanità bisognosa e peccatrice. Il brano evangelico di oggi esprime dunque due mentalità opposte: quella di Cristo (che vuole donarsi senza riserve) e quella dei parenti (interessati al buon nome e al controllo delle sue azioni).

Gesù ci insegna ad uscire dalle nostre piccole e grette preoccupazioni umane per aprirci alla "follia" dell'amore e della croce (cf 1 Cor 1,18-25), a mettere in primo piano le esigenze di Dio, a guardarci dalle nostre meschine e borghesi preoccupazioni, dai nostri vantaggi e utilitaristici interessi. Essere con Gesù richiede un profondo cambiamento di mentalità, una radicale conversione al pensiero di Dio, ad accettare i suoi progetti e a lasciarsi sconvolgere dalle sue novità. 

Casa di preghiera San Biagio 

lunedì 19 gennaio 2015

Conigli

Di ritorno dal suo settimo viaggio internazionale, nelle Filippine, dove ha celebrato la messa davanti a sette milioni di fedeli, il Papa ha parlato ancora ai giornalisti: «Paternità responsabile significa che si devono fare figli, ma responsabilmente. Alcuni credono che i cristiani debbono fare come i conigli», ha detto il Pontefice, rispondendo così a una domanda sull’Enciclica «Humanae vitae» di Paolo VI che proibì la contraccezione, e sulla quale anche nelle Filippine la maggior parte dei fedeli cattolici esprime riserve nelle intervistati nei sondaggi. «Sentir dire che tre figli già sono troppi - ha confidato in proposito il Papa - mi mette tristezza, perché tre figli per coppia sono il minimo necessario a mantenere stabile la popolazione».



fonte: Corriere della Sera


sabato 17 gennaio 2015

Freddo e sobrio

Per farsi un'idea del carattere dell'uomo basta ripescare una citazione di Ciriaco De Mita secondo il quale Sergio Mattarella sarebbe tanto freddo e sobrio che “in confronto a lui, Arnaldo Forlani era un movimentista”. Con le dimissioni di Giorgio Napolitano, la caccia a chi sarà il prossimo inquilino del Colle è entrata nella sua fase più concitata. E mentre nei Palazzi, nelle e tra le segreterie dei partiti, si prendono e disfano accordi, sui giornali fioccano ogni giorno le liste dei papabili. Anche se la rosa reale è probabilmente molto più ristretta di quanto si potrebbe pensare mettendo insieme tutti i nomi che vengono fatti.
Il 29 gennaio alle 15 partono le votazioni. Sulla carta qualcuno ha già più chance di altri, ma la sorpresa resta dietro l'angolo. Chi però non può certamente essere considerato tra gli outsider, è proprio il giudice costituzionale autore della famosa legge che rivoluzionò in senso maggioritario il nostro sistema elettorale.
Padre del “Mattarellum”
74 anni, palermitano, ex democristiano, soprattutto negli ultimi anni gli italiani hanno sentito parlare più che di lui, del suo Mattarellum. La legge elettorale che vide la luce dopo il referendum del 1993 e che segnò la svolta in senso maggioritario porta infatti il suo nome. Molto criticata all'epoca, fu poi largamente rimpianta quando al suo posto fu varato il famigerato Porcellum.
Le origini
Figlio di Bernardo, membro della Costituente, più volte ministro e pezzo da novanta della Democrazia cristiana, la carriera politica di Sergio inizia davvero solo con la tragica morte del fratello Piersanti, il presidente della Regione Sicilia assassinato dalla mafia il 6 gennaio del 1980 per aver avviato un rinnovamento delle istituzioni locali per niente gradito ai boss. Cresciuto nella corrente Dc che faceva riferimento ad Aldo Moro, entra infatti in Parlamento nel 1983, in “quota” Zaccagnini.
La carriera politica
Nel 1987 diventa ministro dei rapporti con il Parlamento nei governi De Mita e Goria. Poi ministro dell'Istruzione con Giulio Andreotti, carica dalla quale si dimette nel 1990 in segno di protesta contro l'approvazione della legge Mammì compiendo così il primo atto pubblico di ostilità verso Silvio Berlusconi essendo Fininvest tra i principali beneficiari di quella legge che normava il mercato radiotelevisivo in sostanza legittimando la situazione esistente in quel momento. Sopravvissuto alla fine della prima Repubblica, nella seconda riceve da Massimo D'Alema gli incarichi prima di vicepresidente del consiglio poi di titolare della Difesa e sarà ministro anche del governo Amato. Nel 2001 viene rieletto alla Camera con la Margherita. Riconfermato nel 2006 per la lista dell'Ulivo. Nel 2008, alla caduta del governo Prodi, cessa il suo mandato in Parlamento e dal 2011 è giudice della Corte costituzionale.
L'opposizione a Silvio Berlusconi
Ex esponente della sinistra democristiana, Mattarella è sempre stato un moderato di centrosinistra e un pioniere di quello che divenne l'Ulivo di Romano Prodi. Fondatore con altri del Partito Popolare, quando Rocco Buttiglione si allea con il leader di Forza Italia in vista delle elezioni del '96, lui si getta nelle braccia di Romano Prodi con cui darà vita all'Ulivo. Oltre che nella vicenda della legge Mammì e che nella scelta di Prodi, l'antipatia di Mattarella per Berlusconi si manifestò anche quando Forza Italia venne ammessa nel Partito Popolare Europeo, per lui la realizzazione di "un incubo irrazionale”.
Punti di forza e di debolezza
A suo favore ci sono sicuramente almeno tre fattori: primo, è un cattolico e dagli ambienti moderati è arrivata questa richiesta esplicita; secondo, è stato un ex ministro nei governi D'Alema ma ha anche fondato l'Ulivo con Prodi e questo potrebbe mettere d’accordo quasi tutto il Pd; terzo, ha un curriculum di tutto rispetto, grande esperienza politica ed è un giudice costituzionale. A frenare la sua corsa restano invece i cattivi rapporti con Berlusconi che anche nei giorni scorsi ha ribadito la necessità di un nome largamente condiviso e che sia garante di tutte le forze politiche. C'è poi anche il fatto di avere un profilo sicuramente molto lontano dall'idea renziana di “rinnovamento”. Senza sottovalutare la statistica che non gioca proprio a suo favore. Su 12 elezioni svoltesi dall'inizio dell'era repubblicana, in 9 casi la vittoria è stata appannaggio di un ex presidente della Camera (8 volte) o del Senato (in un solo caso). Mattarella non ha mai ricoperto nessuna delle due cariche. E tra quelli che, pur essendo giunti ai vertici delle istituzioni non hanno guidato né l'uno né l'altro ramo del Parlamento, potrebbe esserci già qualcuno con più chance di lui.

fonte: Panorama

venerdì 16 gennaio 2015

Proprietà del melograno

Che fosse ricco di vitamine A, B, C ed E, come anche di ferro, potassio e antiossidanti, toccasana contro problemi cardiaci e stress, lo sapevamo da ogni buon manuale salutista. Che fosse bello e scenografico a centro tavola, con la sua buccia rigida e i semi rosso acceso, ce lo hanno insegnato i grandi della pittura, da Botticelli a Leonardo da Vinci. E anche buono da mangiare in piatti tradizionali come il grano cotto pugliese o il tacchino ripieno. Ma ora si scopre che il melograno, il più trendy dei frutti della stagione fredda, è anche un elisir di lunga vita o, quanto meno, di bellezza.
Mentre una ricerca della Queen Margaret University di Edimburgo assicura che ne basterebbe un frutto al giorno per rallentare il fisiologico invecchiamento delle nostre cellule, la Punica Granatum (questo il nome scientifico del melograno), indicato dagli studiosi come l'Albero della vita del Giardino dell'Eden o come una delle ''buone cose create da Dio'' nel Corano, conquista anche le case di bellezza. Basta un giro tra profumerie e centri benessere, per scoprire come in pochi mesi sia diventato l'ingrediente indispensabile delle ultime linee di cosmesi, creme antiaging e fragranze esclusive.Ecco qualche suggerimento.
PROFUMI e NON SOLO - Melograno fragranza davvero preziosa se ha conquistato subito le più esclusive griffe. A partire dall'eau de toilette Moschino Chic Petals, con aggiunta di fragolina e zenzero rosso, o il Bright Crystal Abslu, profumo-gioiello di Versace, con accenti di lampone, peonia, magnolia e fiori di loto. Jo Malone dedica al ''Pomegranate'' un'intera linea dal Bagno doccia alla Noir Deluxe Candle per l'ambiente. Ma per una freschezza quotidiana, a portata di borsetta, immancabile il deodorante Dove al melograno e cedrina.
VISO e CORPO - E' soprattutto per il suo potere idratante e rassodante che il melograno compare quest'anno in tantissime creme, gel e maschere. Per il viso, Weleda sfrutta i suoi antiossidanti naturali nella Linea bionaturale Rassodante, che va dal siero al contorno occhi, adatto anche per chi fa uso di lenti a contatto. Darphin unisce il melograno all'acido ialuronico e alla caffeina per la Maschera Éclat Jeunesse, mentre Clinians ne usa l'estratto per la linea dedicata alle pelli giovani. E ancora ecco lo scrub dell'Esfoliante corpo effetto luminoso Smooth di Avon; ben sei prodotti per viso e corpo, privi di siliconi e conservanti di Bottega Verde; la crema effetto lifting dalla texture morbida e vellutata di Lierac; l'Energizing Pomegranate Moisturizer di Murad a base, appunto, di melograno, estratto di Artemia e alghe marine; e il Nectar Hydratant di Sanoflore con anche olio essenziale di cipresso del Vercors per stimolare la naturale capacità della pelle di trattenere l'acqua. Dedicati alla cura per il corpo, ecco il Body Butter della Greenland o il Body Slim Drainage della Lierac, primo olio snellente bifasico a base di bacche rosa, ribes nero, melograno e vite rossa. Mai più cuscinetti ne' pelle a buccia d'arancia invece con il Fluido Concentrato Superattivo de L'Erbolario che promette risultati in breve tempo grazie al mix di 15 sostanze tra cui gambo di ananas, olio di semi di melograno, ippocastano, acido linoleico, caffeina e cellule staminali della centella asiatica. Se poi avete poco tempo, Pupa vi viene incontro con la Super Crema Idratante Multifunzione
CON IL MELOGRANO IN TESTA - Si, il melograno è ottimo anche nella cura per i capelli. Il Caviar Seasilk Oil Gel della Alterna, ad esempio, mescola insieme aloe, avocado, te bianco, cetriolo, ribes rosso, melograno e bacche himalayane per idratare e disciplinare qualunque tipo di chioma. La maschera anti-age della Kérastase invece idrata il cuoio capelluto regalando una sensazione di comfort prolungata. L'Aveda crea un unico Shampoo Dry Remedy con olio di buriti, melograno e idratanti derivati dalla palma, mentre è addirittura uno Shampoo ''Curve Pericolose'' quello della Herbal Essences ai polimeri, viole selvatiche e melograno, dedicato ai ricci più mediterranei.
BACI al MELOGRANO - Un frutto come prezioso alleato di bellezza sulle nostre labbra? Si e anche per tutte le tasche se si va dal semplice Labello al Melograno, il burrocacao che insieme nutre e dona un tocco di rosso alle labbra, al Rossetto Rouge Volupté di Yves Saint Laurent. Se il problema è il freddo di questi giorni, ecco il Balsamo Protettivo della Murad, il Lip Balm Greenland o il Glam Balm Lip della Rodila, che donano anche un certo volume. Seducente il Rossetto High Impact Lip Color di Clinique agli steroli di melograno e burro di semi di Murumuru Astrocaryum o al colore sempre vivo del Rossetto Design Collistar. Il Rossetto Universale - Studio Secrets Professional, dalla linea di make up professionale di L'Oréal, reagisce addirittura all'umidità delle labbra enfatizzandone il colore naturale e adattandosi ad ogni tipo di incarnato. Da abbinare all'O-Glow fard della Smashbox, il primo fard che reagisce a contatto con la pelle cambiando colore grazie a siliconi, olio di semi di melograno e vegetali marini. E se proprio non ne avete abbastanza, c'è anche l'integratore Depurase Slim, versione con succo di melograno ad azione depurativa.
 
fonte:
Daniela Giammusso (ANSA)

sabato 10 gennaio 2015

La crisi della Chiesa

La Chiesa si vive. Dobbiamo partire da questa certezza per comprendere il momento che la Chiesa e la società stanno vivendo. Della Chiesa non si parla come di un oggetto a partire dalle proprie presupposizioni di carattere ideologico, culturale, filosofico o altro. La Chiesa si vive. Per la Chiesa si soffre, per la Chiesa si gioisce, soprattutto si tenta di dare il nostro apporto significativo e creativo.
Ebbene, lo scandalo della situazione della Chiesa oggi – e uso volutamente la parola “scandalo” - è che la Chiesa è stata buttata in pasto alla stampa. La Chiesa è uno strumento manipolabile e manipolato dalla stampa, da una stampa che in Italia è per il 90% di impostazione laicista e anticattolica. Quindi siamo al paradosso che la mentalità laicista la fa da padrona in casa nostra pretendendo di decidere chi sono i veri ortodossi e chi sono gli eterodossi, qual è la posizione corretta e qual è la posizione del Santo Padre, perché poi ciascuno di questi pretende o millanta un credito presso il Santo Padre. Per cui noi assistiamo impotenti a una manipolazione che è avvilente, cioè avvilisce la fede del nostro popolo. Perché il nostro popolo ha un’esperienza di fede reale e personale che non ha nulla da spartire con le pensate di Eugenio Scalfari e altri.
Questi possono essere strumenti che verificano una posizione, ma il dialogo – come più volte ha detto Benedetto XVI nel Sinodo sull’evangelizzazione - è l’espressione di una identità forte. Forte non di mezzi, ma forte di ragioni. Se c’è un’identità forte è inevitabile che questa identità ponendosi incontri uomini, situazioni, condizioni, problemi, fatiche; quindi entri in dialogo con chi ha un’altra impostazione. Ma se non c’è un’identità il dialogo è un illusione. Il dialogo è la conseguenza di un’identità, non può essere l’obiettivo. L’obiettivo è l’evangelizzazione.
È un momento ben definito da quell’affermazione di Paolo VI a Jean Guitton, pochi mesi prima di morire: «All'interno del cattolicesimo sembra talvolta predominare un pensiero di tipo non cattolico, e può avvenire che questo pensiero non cattolico all'interno del cattolicesimo diventi domani il più forte. Ma esso non rappresenterà mai il pensiero della Chiesa. Bisogna che sussista un piccolo gregge, per quanto piccolo esso sia». È un’affermazione che sollecita all’assunzione di un criterio di giudizio a cui consegue un comportamento.
Voglio ricordare questa splendida frase della lettera di san Giacomo: «Considerate perfetta letizia fratelli miei quando subite ogni sorta di prove, sapendo che la prova della vostra fede produce la pazienza. E la pazienza completi l’opera sua in voi perché siate perfetti ed integri senza mancare di nulla» (Gc 1, 2-4).
Questo è il tempo in cui viviamo. Dire che è un tempo di prova, non significa analizzare e programmare una soluzione di questa crisi. È per l’incremento della santità. Dio permette certe cose perché uno assumendo una posizione vera di fronte a Cristo e alla Chiesa, possa diventare "perfetto". Per meno di questo non vale la pena discutere della Chiesa, come non varrebbe la pena discutere di niente.
Ecco dunque una prima osservazione, che è anche uno dei nodi centrali del cammino conciliare che la Chiesa ha fatto su se stessa, sulla sua identità, e che si è espressa nella Lumen Gentium, Costituzione dogmatica del Concilio Vaticano II  che poi ha trovato il suo approfondimento straordinario nel magistero di Giovanni Paolo II. La Chiesa è un evento di popolo. La Chiesa non è una struttura di mediazione fra un messaggio cristiano e il popolo. La Chiesa è il popolo di Dio, è il popolo generato dal suo Spirito, dallo Spirito del Signore crocifisso e risorto che, comunicandosi a coloro che il Signore sceglie, fa di loro un popolo. Un popolo che non nasce dalla carne e dal sangue, cioè dalle determinazioni naturali, ma nasce dallo Spirito, quindi è una realtà irriducibile a qualsiasi altra formulazione di popolo. È stata la grande esperienza dei primi secoli, perché il tentativo di appiattire la Chiesa sulla realtà ebraica, sulla realtà greca, sulla realtà dei popoli barbari è stata smentita: «Non c’è più né greco né giudeo, né schiavo né libero né uomo né donna perché voi siete un essere solo in Cristo Gesù». 
Il cristianesimo è la Chiesa, e Cristo arriva fino a te incontrandoti nell’unità dei suoi. Che cosa rende presente il cristianesimo nel mondo? L’unità dei suoi, presente nell’ambiente, in connessione vitale con il vescovo e con il Papa. Sono pagine che ha scritto don Luigi Giussani precedendo la Lumen Gentium. Questo è qualcosa che si deve sempre di nuovo conquistare. Non può essere dato per scontato e non dipende dalle condizioni. 
Che cosa avviene in questo incontro con Cristo nei suoi? Che cosa avviene nella persona? Avviene l’esperienza della novità. Ma cos’è la novità? La novità della vita è l’esperienza di una corrispondenza imprevedibile ma reale fra questo incontro e la mia umanità. Se la fede non genera questo è un’aggiunta posticcia alla vita. Perché la vita vuole l’eternità, tutta la vita chiede l’eternità. La vita vuole l’eternità, l’incontro con Cristo è la certezza qui ed ora – come spesso diceva papa Giovanni Paolo II –; qui ed ora avviene questo, cioè ti capita di sentirti rivelato nel tuo io più profondo. 
Cristo incontra il mondo perché lo incontra in me anzitutto, perché la partecipazione alla stessa realtà umana e storica ci accomuna. Portare Cristo nell’ambiente, nel mondo, vuol dire investire la realtà umana del pezzo di società in cui siamo chiamati a vivere della novità della nostra comunità. L’esperienza che Cristo è la risposta alla vita deve diventare ogni giorno che passa più vera per noi, e attraverso di noi deve investire la vita dei nostri fratelli uomini. 
Questo si chiama missione, la presenza della Chiesa come novità di vita che tende a comunicarsi agli uomini. E la missione assume necessariamente il volto del giudizio. Perché il giudizio è l’incontro fra la concezione della vita, la realtà di vita nuova che viviamo e la realtà umana, storica, in cui vivono gli uomini. La cultura è nata così. Investire il mondo con la serena baldanza di portare la verità di Cristo. Investirla di un giudizio che non è la nostra capacità, è un dovere di coscienza. Paragonare tutto ciò che si incontra con la novità di Cristo che abbiamo incontrato. 
Questo è un punto fondamentale. Non c’è età della vita che esima da questo, non c’è responsabilità culturale, sociale, politica, economica, ecclesiastica, non c’è nessuna situazione che esima da questo incessante riproporre l’avvenimento di Cristo agli uomini perché io stesso lo comprenda sempre di più. 
In questo deve essere ripresa quella intuizione di Giovanni Paolo II che definì la missione come l’autorealizzazione della Chiesa. Non una serie di iniziative che si pongono accanto a una Chiesa che ha già trovato la sua consistenza nella sua struttura organizzativa, nel suo pensiero. No, la missione è essenziale perché la Chiesa sia se stessa. La Chiesa non ha il problema di giudicare il mondo e di cambiare il mondo, ha il compito di giudicare il mondo perché i suoi figli e coloro che si convertono possano vivere loro la responsabilità di trasformare il mondo. Non è l’istituzione ecclesiale che trasforma il mondo, è il popolo cristiano che entrando nella società con una certa impostazione ultima dà il suo contributo al cambiamento in meglio della società.
Eccoci dunque alla seconda osservazione. Qual è la crisi attuale della cristianità (e per cristianità si deve intendere un’esperienza di popolo cristiano che gioca la sua identità in questo momento della storia)? Nel periodo che si estende ai due pontificati di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, la Chiesa era una realtà che giudicava, e agiva conseguentemente. E quindi dava un suo contributo, maggioritario o minoritario non interessa, dava il suo contributo a favorire una lettura della situazione e una linea di sviluppo adeguata, almeno quella che si poteva pensare come adeguata. Non era un giudizio astratto, ideologico, era il tentativo di investire la situazione di una certezza di giudizio che nasceva dalla certezza della fede.
Come ha detto George Weigel, a Giovanni Paolo II è stata data la ventura di cambiare il senso della storia. Giovanni Paolo II in forza solo della sua fede, e della sua straordinaria capacità di rivivere tutta la grande esperienza ecclesiale polacca e in essa la grande esperienza del cattolicesimo, ha dimostrato che il comunismo non era invincibile. Anche la cristianità si era mossa fino ai tempi di Giovanni Paolo II schiacciata da una ipotesi terribile: che comunque avrebbero vinto loro. Ed essendo già scritto che avrebbero vinto loro - per la potenza politica, economica, militare - si trattava di salvare il salvabile. Questa espressione tornò continuamente in certi ambiti della cristianità italiana e determinò alcune scelte di tipo ecclesiastico, come ad esempio cosiddetta Ostpolitik, condotta sul filo del “salvare il salvabile”. Il magistero di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno ridato alla cristianità il senso di una unità reale e di un giudizio, e di una doverosità del giudizio.
Su questo oggi c’è la crisi. Non è negabile, oggi la cristianità sembra non essere più in grado di dare dei giudizi pertinenti, ma direi di più. Certi settori della cristianità dicono che non è assolutamente necessario dare dei giudizi, anzi che la formulazione dei giudizi rappresenterebbe qualcosa di patologico perché metterebbe in crisi la radicalità e la purezza della fede sporcandola con quelle circostanze di carattere storico e quindi contingenti.
Ciò significa che l’ideale è una Chiesa senza capacità di giudizio, una Chiesa ridotta individualisticamente a certe pratiche spirituali, a certe emozioni individuali o a una certa pratica caritativo-sociale. Sono le cose da cui Benedetto XVI mette in guardia la Chiesa all’inizio della sua enciclica Deus caritas est, quando dice che il cristianesimo non è né una serie di pratiche spirituali né dei sentimenti né un progetto di carattere caritativo-sociale, ma è un incontro con una Persona, la sequela di Lui, il cambiamento della vita in Lui, la comunicazione di questa vita nuova agli uomini.
Ci sono degli aspetti gravissimi in questa resistenza al giudizio. La prima implicazione è l’avere alzato bandiera bianca sul problema della vita. Dopo aver combattuto per decenni perché la vita fosse al centro dell’esperienza della famiglia e della società, perché fosse considerata come è, indisponibile a tutti se non a Dio e quindi come un valore irriducibile a qualsiasi altra condizione, da riconoscere e da difendere in tutte le fasi dal concepimento fino alla fine della vita, noi abbiamo incominciato con il nostro silenzio a lasciare spazi larghi, spazi sempre più larghi a una manipolazione insieme intellettuale, morale e politica. Oggi è diventata maggioritaria l’idea che la vita sia una serie di procedure di carattere bio-fisiologico che possono essere conosciute scientificamente e manipolate tecnologicamente.
Questo silenzio sulla vita, viene poi ribadito da un silenzio pressoché assoluto su quella che è la follia del “gender”, cioè la soppressione della differenza sessuale da qualsiasi indicazione naturale, per una restituzione della sessualità alla pura istintualità, con anche la costruzione di progetti educativi in questo senso. Nelle scuole italiane circola un “progetto amore”, con i riconoscimenti da parte delle autorità scolastiche che devono garantire la buona scuola, progetti che sono demenziali: dove si definisce l’equivalenza maschio-femmina, la compresenza nella stessa realtà personale di due tendenze sessuali che devono essere favorite una dopo l’altra.

Aspetti di follia che però sono diventati diffusissimi. E nei confronti dei quali esiste una certa reattività delle famiglie. Le famiglie sono in posizione sanamente reattiva, ma quasi senza mezzi e senza strumenti. Senza strumenti di approfondimento, e senza una guida se non parziale, se non in alcuni posti. Ma siccome qui tutti dicono che sono amici del Papa e che portano avanti la posizione del Santo Padre, io vorrei ricordare che papa Francesco nell’incontro con i vescovi italiani il maggio scorso ha detto: “Siete stati investiti dallo tsunami del gender. E che cosa avete fatto? Nulla”. Francesco ha detto a 250 vescovi italiani “dovevate giudicare il gender e non l’avete fatto”, che significa anche che non si potrà continuare a rappresentare una Chiesa italiana che non affronti il tema del gender: perché è devastante, sta devastando la coscienza e il cuore del nostro popolo. Il silenzio su questo è espressione di una assoluta mancanza di fede.
Collegato a vita e gender è anche il tema dei cosiddetti “nuovi diritti”. Si tratta della riduzione dei diritti alla istintualità, ideologica o bio-fisiologica, per cui il diritto è quello che uno ritiene, che vuol provare a essere, con la perdita totale del senso della natura. La natura non è una serie di oggetti, la natura è una realtà vivente, subordinata all’uomo ma vivente. E nel dialogo fra l’uomo e la natura, l’uomo acquisisce valori, insegnamenti, che da solo non riuscirebbe a produrre con la sua sola intelligenza. Ecco perché la coscienza entra in rapporto con la natura, e soprattutto la coscienza umana è l’unico punto in cui questo dialogo con la natura acquisisce la fisionomia della legge legata alla natura. Per questo Benedetto XVI nell’ultimo periodo del suo pontificato ha richiamato continuamente la necessità di recuperare la verità della natura, del diritto naturale, perché i diritti non diventassero semplicemente una serie di opzioni di carattere individualistico nel senso deteriore.
Queste tre battaglie, che ho appena descritto, sono essenziali per la fede. Se si va avanti ancora un po’ di tempo senza una capacità di essere presenti a questo dibattito, senza dare un contributo significativo a questo dibattito, sarà il trionfo del pensiero unico dominante, che ha come caratteristica proprio la volontà di negare la presenza cristiana come una presenza autentica. 
È necessario passare dalla fede alle opere, di non sottrarre nulla all’impatto con la fede. I vecchi padri della Chiesa dicevano che «quello che non è stato assunto dal Verbo non è stato salvato». Se c’è una cosa nell’esperienza umana, sociale, su cui la fede cristiana non dà un giudizio vuol dire che c’è una realtà del mondo che stando senza l’incontro con Cristo si salva ugualmente e così il Signore non è più il Redentore. Diceva invece l’Instrumentum laboris del primo Sinodo sull’evangelizzazione, allora redatto da Paolo VI, che «la fede è la salvezza dell’uomo, di tutto l’uomo e di tutti gli uomini».
Allora c’è una osservazione conclusiva. Una certa cristianità che ha maturato un suo cammino di fede non deve accettare una rilettura parziale o falsificata della storia della cristianità italiana. Che non è la storia di gente che non voleva accettare di non avere più nessuna egemonia e che per avere questa egemonia ha fatto battaglie sul divorzio, sull’aborto e altre. Battaglie inutili – si dice - perché si sarebbero perse senz’altro. In realtà per più di una generazione furono battaglie fatte per la fede, per la maturità della fede. Sconfitta o vittoria sono state uguali, nel senso che hanno consentito a tutti la maturazione della fede. 
La crisi della Chiesa non è una crisi puntuale, è una crisi ampia. Ma non serve un’analisi che tenda a stabilire le responsabilità. La Chiesa è di Dio, la Chiesa non viene meno, la modalità con cui Dio guida la sua Chiesa eccede le nostre capacità. Però noi abbiamo il compito di fare un’esperienza reale di Chiesa, nel cammino che la Provvidenza ci ha fatto incontrare. Facciamo quello che Dio ci ha chiesto di fare poi Dio prenderà quello che stiamo facendo e gli darà il peso. I modi e i tempi li sceglie Lui, a noi spetta la nettezza della nostra posizione, che viene dalla lealtà con la nostra coscienza, e la nostra storia, e da quella capacità di compagnia che se ce la facciamo nella concretezza delle nostre condizioni, rende meno arduo il cammino. Ricordandoci di quello che diceva il Metastasio: «L’aver compagno al duol, scema l’affanno». 
Luigi Negri, Arcivescovo di Ferrara-Comacchio

La nave alla deriva

Forse gli storici di domani ricorderanno che nel 2014 in piazza san Pietro si ballava il tango, mentre i cristiani venivano massacrati in Oriente e la Chiesa era sull’orlo di uno scisma. Questa atmosfera di leggerezza e di incoscienza non è nuova nella storia. A Cartagine, ricorda Salviano di Marsiglia, si ballava e si banchettava alla vigilia dell’invasione dei Vandali e a San Pietroburgo, secondo la testimonianza del giornalista americano John Reed, mentre i bolscevichi conquistavano il potere i teatri e i ristoranti continuavano ad essere affollati. Il Signore, come dice la Scrittura, acceca chi vuole perdere (Gv 12, 37-41).
Il dramma principale del nostro tempo non è tuttavia l’aggressione che viene dall’esterno, ma quel misterioso processo di autodemolizione della Chiesa che sta giungendo alle ultime conseguenze, dopo essere stato per la prima volta denunciato da Paolo VI nel famoso discorso al Seminario Lombardo del 7 dicembre 1968. L’autodemolizione non è un processo fisiologico. E’ un male che ha dei responsabili. E i responsabili sono in questo caso quegli uomini di Chiesa che sognano di sostituire il Corpo Mistico di Cristo con un nuovo organismo, soggetto a una perpetua evoluzione senza verità e senza dogmi.
Un quadro impressionante della situazione è stato offerto alla fine del 2014 da due dossier sulla Chiesa rispettivamente pubblicati dal quotidiano francese “Le Figaro” e dal quotidiano italiano “La Repubblica”.
“Le Figaro”, un giornale di centrodestra, noto per la sua moderazione, ha dedicato il suo supplemento di dicembre, “Figaro Magazine”, a Guerre secrète au Vatican. Comment le pape François bouleverse l’Eglise: 11 pagine, a cura di Jean-Marie Guénois, considerato uno dei vaticanisti più seri e competenti.
“Qualcosa sembra ribaltarsi nella Chiesa dopo il Sinodo sulla famiglia dell’autunno 2014 – scrive Guénois – e l’accumulazione degli indizi autorizza a interrogarsi: la Chiesa non rischia diaffrontare una tempesta alla fine del 2015, dopo la seconda sessione del Sinodo sulla famiglia?” Guénois rivela l’esistenza di una “guerra segreta” tra cardinali che non ha come fine la conquista del potere. Quella in corso è una battaglia di idee, che ha come principale oggetto la dottrina della Chiesa sulla famiglia e sul matrimonio. Papa Francesco è accusato all’interno della Curia di una gestione autocratica del potere che il giornalista francese riassume nella formula: “Quand il tranche, le Pape ne met pas de gants” (Quando il Papa decide, non usa i guanti), ma il vero problema è la sua visione ecclesiale, ispirata e consigliata dalle correnti più progressiste del Vaticano. Secondo Guénois, tre teologi definiscono i nuovi obiettivi: il cardinale tedesco Walter Kasper, il vescovo italiano Bruno Forte e l’arcivescovo argentino Victor Manuel Fernandez. “E’ questo trio che ha dato fuoco alle polveri in occasione del Sinodo sulla famiglia!” Kasper, detto per inciso, è la testa di ariete per l’ammissione dei divorziati risposati ai sacramenti, Forte è fautore della legalizzazione dell’omosessualità e Fernandez esponente di spicco della teologia peronista del popolo.
Guénois ha intervistato quindi sul Sinodo il cardinale Burke, che, come è suo costume, si è espresso con cristallina chiarezza: “Il Sinodo è stata un’esperienza difficile. C’è stata una linea, quella del cardinale Kasper, potremmo dire, con la quale si sono allineati coloro che avevano in mano la direzione del Sinodo. Di fatto il documento intermedio sembrava essere stato già scritto prima degli interventi dei Padri sinodali! E secondo una linea unica, a favore della posizione del cardinale Kasper… Inoltre è stata introdotta la questione omosessuale – che non ha niente a che vedere con la questione del matrimonio – cercando in essa elementi positivi. (…) È stato quindi molto sconcertante. Come pure il fatto che nella relazione finale sono stati mantenuti i paragrafi sull’omosessualità e sui divorziati risposati che però non erano stati adottati secondo la maggioranza dei vescovi richiesta. (…) Sono molto preoccupato – ha aggiunto il card. Burke – e chiamo tutti i cattolici, laici, sacerdoti e vescovi, ad impegnarsi, da oggi fino alla prossima Assemblea sinodale, al fine di mettere in luce la verità sul matrimonio”.
Che le preoccupazioni del cardinale Burke siano giustificate lo dimostra il supplemento settimanale “Il Venerdì di Repubblica” del 27 dicembre 2014 interamente dedicato a una Inchiesta sulla Chiesa: 98 pagine con 20 articoli, in cui si descrive “la nuova era di Francesco, tra avversari, santi, perseguitati e peccatori”.
Il campione de “La Repubblica” è il cardinale Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco e Frisinga, che conferma la sua apertura ai divorziati risposati e alle coppie omosessuali, nega la decadenza morale dell’Occidente, e afferma che “la cosiddetta secolarizzazione è uno sviluppo necessario della libertà. E una società libera è un progresso, secondo il vero punto di vista del Vangelo”. Francesco, spiega “vuole condurre la Chiesa alla forza originaria della sua testimonianza. Ha una chiara visione di quel che vuole, ma non segue un piano fisso, personale o prestabilito, né un programma di governo. Lancia segnali e dà esempi, come ha fatto nel Sinodo dedicato al matrimonio e alla famiglia”.
All’interno dello stesso dossier, Marco Ansaldo, in un’intervista dal titolo Franzoni, la rivincita dell’ex abate rosso, dà ampio spazio a Giovanni Franzoni, ex abate della Basilica di San Paolo fuori le Mura, sottolineando come le posizioni per cui fu condannato si avvicinano ora a quelle del Vaticano. Franzoni fu dimesso dallo stato clericale, per il suo sì alla legge sul divorzio e sull’aborto, e per le sue dichiarazioni di voto a favore del partito comunista. Sposato con una giornalista atea giapponese, oggi non rinnega le sue idee e afferma di avere “scoperto la sessualità come arricchimento totale e non come deprivazione di energie che potrebbero essere dedicate al Signore”.
Secondo alcune indiscrezioni Papa Francesco avrebbe intenzione di ammettere al sacerdozio alcuni laici sposati (i cosiddetti viri probati) e di reintegrare nell’amministrazione dei sacramenti preti già sposati, ridotti allo stato laicale, come lo stesso Franzoni o l’ex francescano e teologo no-global Leonardo Boff, che vive attualmente in Brasile con una compagna. Il 17 dicembre Boff, che è passato dalla teologia della liberazione alle eco-teologia, ha confermato all’Ansa di avere mandato al Papa, su sua richiesta, materiale per la prossima enciclica, e il 28 dicembre, in polemica con Vittorio Messori, ha espresso su Noi siamo chiesa il suo Appoggio al Papa Francesco contro uno scrittore nostalgico, con queste parole: “E’ sommamente importante una Chiesa aperta come la vuole Francesco di Roma. Bisogna che sia aperta alle irruzioni dello Spirito chiamato da alcuni teologi “la fantasia di Dio”, a motivo della sua creatività e novità, nelle società, nel mondo, nella storia dei popoli, negli individui, nelle Chiese e anche nella Chiesa Cattolica. Senza lo Spirito Santo la Chiesa diventa un’istituzione pesante, noiosa, senza creatività e, ad un certo punto, non ha niente da dire al mondo che non siano sempre dottrine sopra dottrine, senza suscitare speranza e gioia di vivere”.
Chi può negare l’esistenza di una confusione assoluta? Il tango ballato a San Pietro il 17 dicembre 2014 per il compleanno di papa Francesco, ricorda un’altra musica: quella che si suonava sul Titanic la notte della tragedia. Ma allora la punta dell’iceberg, apparve all’improvviso, e i danzatori erano inconsapevoli del disastro imminente. Oggi l’iceberg è visibile e c’è chi brinda all’impossibile naufragio della Barca di Pietro. Tante persone però sono in allarme e hanno la forte sensazione, come ha detto il cardinale Burke, che la Chiesa sia una nave alla deriva. Noi siamo tra questi e per questa ragione non abbiamo salutato il 2015 con balli e fuochi di artificio, ma con la ferma decisione di raccogliere l’appello dello stesso cardinale Burke a combattere, da oggi fino al prossimo Sinodo, e oltre, per difendere la verità del Vangelo sul matrimonio.  
Roberto de Mattei su Il Foglio del 03/01/2015

La peggior forma di governo

  " La democrazia è la peggior forma di governo, fatta eccezione per tutte le altre fino ad ora sperimentate " Winston Churchill a...