martedì 6 dicembre 2016

Un Parroco non torna mai nella ex parrocchia

"Un parroco non torna mai nella ex parrocchia, nemmeno per confessare". Con una battuta durante un convegno della Cisl, Romano Prodi si tira fuori dalla rosa di nomi sul possibile prossimo capo del governo dopo le dimissioni di Matteo Renzi. L'ex premier rispondeva alle parole dell'ex segretario del sindacato Pierre Carniti il quale poco prima aveva suggerito al presidente della Repubblica Mattarella presente in platea che Prodi "potrebbe tornare utile" anche in questi giorni di crisi istituzionale.


Fonte: La Repubblica



lunedì 5 dicembre 2016

L'onda del No


Il partito del Presidente

(Tommaso Ciriaco per la Repubblica, 30 novembre 2016) – Sarà pure arbitro, ma può contare su una squadra. «La persuasione non vuole proclami – ripete Sergio Mattarella – perché così funziona meglio». Ecco la filosofia che ispira il Capo dello Stato. Ed ecco il faro che orienta il team parlamentare di “mattarelliani”, ormai un “partito di fatto” che si prepara ad affrontare il rebus del 5 dicembre in autonomia, però con regole d’ ingaggio ricavate dal verbo del Presidente.
Capitanati da Dario Franceschini, consigliati da Francesco Garofani e Antonello Soro, sostenuti da Enrico Letta e Graziano Delrio. «In una parola: diccì», per dirla con Pierluigi Castagnetti. In tutto, un centinaio tra deputati e senatori. Pronti a spendersi per la continuità di questo governo, fedeli al motto di “Renzi dopo Renzi”. A patto che il premier – indipendentemente dall’ esito del referendum – eviti fughe elettorali e rinunci alla tentazione di fare tabula rasa nel Pd. Lealtà all’ unica leadership su piazza, insomma, ma solo a condizione di sostituire una “trumpizzazione” buona solo per la campagna elettorale con l’ immagine di una coalizione responsabile.
Sono cementati da una militanza comune e dalla stella polare della stabilità. «Se vincesse il Sì – ha chiarito ieri Franceschini non ci sarebbe ragione per andare a elezioni anticipate». Insieme al ministro, il vero ufficiale di collegamento tra i “quirinalizi” del Pd e il Colle più alto è un altro deputato dem: Francesco Garofani. Ombra del Presidente, al suo fianco alla direzione del Popolo, si presenta agli amici come «mattarelliano di ferro, mattarelliano sopra ogni cosa».
Stessa scuola del sottosegretario agli Affari regionali Gianclaudio Bressa e del Garante per la privacy Antonello Soro: per anni, dopo ogni seduta, hanno cenato assieme al futuro Presidente. E ancora, tifano Quirinale anche il sottosegretario Antonello Giacomelli, la vicepresidente della Camera Marina Sereni e il deputato Piero Martino. Sono i centurioni della corrente di Franceschini, in tutto un’ ottantina tra deputati e senatori.
A loro sulla carta vanno sommati i parlamentari che fanno capo a Rosy Bindi ed Enrico Letta. Una ventina in tutto, con lo stesso dna del Presidente. «Hanno scelto un mio fratello maggiore», confidò commossa la presidente dell’ Antimafia nel giorno dell’ elezione. Come lei, il deputato della sinistra dem siciliana Giovanni Burtone: poche parole e assoluta fedeltà alla linea presidenziale. Amico del Quirinale è anche Enrico Letta, assieme a una pattuglia di lettiani capitanati da Francesco Sanna.
Anche dalle parti del governo si intravede la sagoma di questo “partito della continuità”. La ministra della Difesa Roberta Pinotti, per dire, si confronta spesso con il Capo dello Stato, che negli anni Novanta guidò lo stesso dicastero. L’ altro membro dell’ esecutivo in grado di contattare rapidamente il Colle è Graziano Delrio. A far da ponte tra i due è stato il solito Castagnetti. Non esattamente mattarelliano è il vicesegretario dem Lorenzo Guerini. Fu proprio lui, però, l’ ambasciatore che annunciò al telefono il sostegno renziano alla candidatura: «Puntiamo su di lei». Da allora è scattata la scintilla.
Nessuno pensa che un gruppo tanto eterogeneo possa orientare da solo il destino di un’ eventuale crisi, naturalmente. Ma i numeri di quest’ area crescono con l’ avvicinarsi del voto referendario. E il campo si allarga anche a settori “insospettabili”. Uno come Pierluigi Bersani, certo non organico a questo mondo, fatica ad ignorare i ragionamenti del Colle. Con Mattarella al governo durante la premiership di Massimo D’ Alema, poi grande sponsor dell’ attuale Presidente nel 2013 e nel 2015: fu quella l’ unica trattativa con Renzi condotta in porto con successo. Addirittura fuori dal campo del Pd si segnala l’ afflato quirinalizio di Pier Ferdinando Casini.
A lui Renzi preferì proprio l’ attuale Capo dello Stato. Senza rancore, il leader centrista mantiene in ogni caso un filo diretto con il Colle. «Io però non penso che nella moral suasion pesi più di tanto il “partito di Mattarella” – ragiona – Quando sarà giunto il momento della verità, saranno solo il Presidente e Renzi a parlarsi». E che dire di due ex montiani come Benedetto Della Vedova e Mario Giro, entrambi alla Farnesina? Uno ex radicale, l’ altro regista della comunità di Sant’ Egidio, entrambi a pieno titolo tesserati nel partito del Colle.
Una menzione di sfuggita meritano anche altri parlamentari siciliani di centrodestra che nel febbraio del 2015 votarono per Mattarella: non vanta una frequentazione, ma soltanto la comune provenienza isolana la pattuglia di Ncd capitanata da Giuseppe Castiglione e quella organizzata dal verdiniano Saverio Romano. L’ unico berlusconiano che si confronta davvero con Mattarella resta insomma Gianni Letta. Mesi a tessere una tela, fino al “disgelo” culminato nel recente faccia a faccia tra il Presidente e il Cavaliere.
Un centinaio di parlamentari, si diceva, questa è la stima per difetto del “partito della continuità”. Tutti fan della linea del Colle. E soprattutto convinti che solo senza strappi Renzi potrà continuare la navigazione. Da tutt’ altra postazione, infine, si schiera con il Quirinale anche un altro “arbitro”: Piero Grasso. Il Presidente del Senato, pm a Palermo durante l’ omicidio di Piersanti Mattarella, ha consolidato lungo decenni un legame solido con il Capo dello Stato. Impossibile non arruolare anche lui tra i “mattarelliani”.

Non dimenticate l’ospitalità


Hospitalitatem nolite obli visci; per hanc enim quidam nescientes hospitio receperunt angelos. 

Ad Hebraeos Epistula Sancti Pauli Apostoli



Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, senza saperlo, hanno accolto degli angeli.



Lettera agli Ebrei, Capitolo 13,2

sabato 5 novembre 2016

Perchè è saggio dire no

È stato presentato ieri (23 luglio 2016), nel giorno della sua uscita in libreria, il volume "Perché è saggio dire No - La vera storia di una riforma che ha 'cambiato verso'", di Valerio Onida e Gaetano Quagliariello.

A discuterne con gli autori Anna Finocchiaro, presidente della Commissione Affari Costituzionali del Senato, Stefano Parisi, imprenditore e politico, già candidato sindaco di Milano, e Antonio Polito, vicedirettore del Corriere della Sera. Il dibattito, organizzato dalla fondazione Magna Carta, è stato moderato da Bianca Berlinguer, direttore del Tg3.

Tra analisi critiche e inediti retroscena il volume, edito da Rubbettino, ripercorre senza filtri, attraverso un serrato dialogo tra due dei principali protagonisti, la storia delle riforme in questa tormentata legislatura.

Da Enrico Letta a Matteo Renzi, dalla diaspora del centrodestra al patto del Nazareno, il presidente emerito della Corte Costituzionale e l'ex ministro raccontano come e quando le riforme hanno "cambiato verso". E perché, da "saggi" del presidente Napolitano, muovendo da visioni politiche diverse si ritrovano oggi sul fronte del "No" al referendum. 

I terremotati ci perdonino

Il Vaticano ha condannato le affermazioni andate in onda su Radio Maria riguardo al terremoto come "castigo divino" dopo le unioni civili. 

«Sono affermazioni offensive per i credenti e scandalose per chi non crede», deplora l'arcivescovo Giovanni Angelo Becciusostituto per gli affari generali della Segreteria di Stato vaticana, interpellato dall'Ansa. Becciu ha spiegato che si tratta di affermazioni «datate al periodo precristiano e non rispondono alla teologia della Chiesa perché contrarie alla visione di Dio offertaci da Cristo». «I terremotati ci perdonino, a loro solidarietà del Papa".

«Chi evoca il castigo divino ai microfoni di Radio Maria - ha affermato l'arcivescovo Becciu - offende lo stesso nome della Madonna che dai credenti è vista come la Madre misericordiosa che si china sui figli piangenti e terge le loro lacrime soprattutto in momenti terribili come quelli del terremoto".
"Radio Maria - ha aggiunto Becciu - deve correggere i toni del suo linguaggio e conformarsi di più al Vangelo e al messaggio della misericordia e della solidarietà propugnato con passione da Papa Francesco specie nell'anno giubilare. Non possiamo non chiedere perdono ai nostri fratelli colpiti dalla tragedia del terremoto per essere stati additati come vittime dell'ira di Dio. Sappiano invece che hanno la simpatia, la solidarietà e il sostegno del Papa, della Chiesa, di chi ha un briciolo di cuore».

fonte: Avvenire

martedì 1 novembre 2016

Il sale della terra

"Il buon Dio non ha scritto che noi fossimo il miele della terra, ragazzo mio, ma il sale. Il sale sulla pelle a vivo, è una cosa che brucia. Ma le impedisce di marcire"

Georges Bernanos

domenica 30 ottobre 2016

Riforma Madia: le perplessità del Consiglio di Stato

Perplessità sull’assenza di copertura finanziaria ma anche sulla mancanza di nuovi sistemi di valutazione, che “rischia di compromettere la funzionalità dell’intero impianto, nonché dei principi per la fissazione degli obiettivi da parte dell’autorità politica“. 

Sono i dubbi del Consiglio di Stato sul travagliato decreto attuativo della riforma Madia sulla dirigenza pubblica, ora all’esame del Parlamento. 

“Occorrono rilevanti modifiche al decreto per un miglior risultato sul merito,efficienza e responsabilità dei dirigenti”, è la conclusione a cui arrivano i giudici di Palazzo Spada nel parere inviato al governo, in cui chiedono anche di “di valutare possibili correttivi alla norma primaria di delega”. 

Digitalizzazione: la parola a Diego Piacentini

Suo padre era arrivato a Milano dalla bassa bresciana per fare il muratore e con orgoglio aveva guardato a quel figlio che a 17 anni, grazie a una borsa di studio del programma Intercultura, aveva preso per la prima volta l'aereo per andare dall'altra parte del mondo, in una cittadina rurale a 50 chilometri da Seattle. Quel figlio che dopo essersi laureato alla Bocconi, primo della famiglia ad andare all'università, lo aveva reso orgoglioso lavorando alla Apple in Europa per poi tornare sulla Costa del Pacifico e salire fino ai vertici della prima azienda di commercio digitale del mondo. Ma l'ultima decisione del suo ragazzo, ormai cresciuto e con i capelli grigi, proprio non l'aveva capita: tornare in Italia, a Roma per giunta, per lavorare nella pubblica amministrazione. Diego Piacentini, 55 anni, di cui 13 in Apple e 16 ad Amazon, è stato nominato ieri dal governo Commissario straordinario per il digitale.

Quella di Piacentini è una scelta rivoluzionaria, un super cervello che torna, uno dei massimi esperti di architetture digitali che scommette su una missione di semplificazione massima: "Rendere i servizi pubblici per i cittadini accessibili nel modo più semplice possibile attraverso i dispositivi mobili". Ma anche una scelta che ha sollevato a sinistra perplessità e malumori, in chi vede in questo incarico un conflitto d'interessi e si interroga su cosa possa aver spinto uno dei manager più prestigiosi del mondo ad accettare un incarico governativo a Roma e a prendere due anni di aspettativa da Amazon.

Partiamo dalle contestazioni: i critici sostengono che lei, il secondo più grande azionista di Amazon dopo il fondatore Jeff Bezos, non possa occupare un posto pubblico.
"Prima di tutto smentiamo immediatamente che io sia il secondo azionista, visto che non lo sono: io sono il secondo dipendente con più azioni. Sono un manager di Amazon che nel tempo ha accumulato 84mila azioni. Che significa 0,000017 per cento".

Come ha accumulato queste azioni?
"La filosofia di Amazon è di dare uno stipendio base con un massimo di 170mila dollari annui, poi a seconda del ruolo e della performance vengono assegnate azioni periodicamente".

Due giorni prima di andare in aspettativa da Amazon ha esercitato un diritto maturato comprando e vendendo un pacchetto di azioni, continuerà a farlo durante il suo incarico italiano?
"Ogni trimestre abbiamo un piano di vendita predeterminato e regolamentato della Sec (la Consob americana), in cui si definisce in anticipo la data di vendita delle azioni e questo per evitare insider trading. In questi due anni sarò in congedo e così sono sospese anche le azioni che avrei dovuto ricevere. Allo stesso modo ho sospeso ogni piano di vendita".

Il suo incarico dice che lei lavorerà gratis.
"Sì, senza alcun tipo di stipendio, pro bono, zero. Ho rinunciato anche ai rimborsi spese, niente vitto e alloggio, pago tutto con la mia carta di credito personale".

Perché?
"Nei miei sedici anni negli Stati Uniti sono stato contagiato da un'idea forte, quella di restituire al proprio Paese, alla propria scuola, alla propria università. E' il concetto del "Give back". Appena arrivato a Seattle nel 2000 venni invitato ad una cena di beneficenza organizzata dalla scuola elementare pubblica in cui avevamo iscritto il figlio più grande. Mia moglie, che a Milano l'anno prima aveva raccolto 800mila lire per l'asilo, era molto curiosa. Restammo sconvolti quando sotto i nostri occhi vennero raccolti 170mila dollari per finanziare le attività scolastiche. Uno dei commensali ci disse: è quasi un obbligo morale: hai avuto successo e restituisci a chi ti ha formato".

Certo è difficile credere che uno lasci Amazon per venire qui e per giunta gratis.
"Capisco, perché quando l'ho detto ai miei genitori anche loro erano perplessi, mi aspettavo una reazione di entusiasmo e invece hanno cominciato a chiedermi: "Davvero? Ma in che cosa ti stai andando a cacciare? In un mare di guai, tanto non si riesce a cambiare niente...". Quando poi gli ho detto che non avrei guadagnato nulla allora la perplessità si è trasformata quasi in fastidio e scetticismo. Hanno scrollato la testa e bofonchiato: "Sicuramente ti daranno qualcos'altro".

Se fa fatica a capire sua madre, allora ne hanno diritto anche i parlamentari che hanno presentato un'interrogazione sulla sua nomina.
"Infatti non mi irrito più per la cultura del sospetto, perché l'ho visto fare ai miei genitori... Ho capito che l'idea di restituire non appartiene al nostro dna, ma forse il mio caso può aiutare l'Italia a cambiare mentalità".

Qualche altro sospetto: Bezos l'ha lasciata andare perché aiuterà gli affari di Amazon in Italia.
"Con tutto rispetto per il nostro Paese e per la bravura di chi ci lavora, Amazon in Italia esiste solo da 6 anni ed è una quota davvero molto piccola del fatturato mondiale, la mia presenza non ha proprio nessun impatto".

Ma i possibili conflitti d'interesse restano.
"Il mio ruolo non ha a che vedere con legislazioni e politiche e nemmeno con le centrali di acquisto, non devo fare contratti di forniture. Non vedo dove possano essere i conflitti d'interesse".

E quindi cosa è venuto qui a fare?
"Sono venuto con l'obiettivo di rendere la vita più semplice ai cittadini, semplificando il rapporto con le Istituzioni, e per far sì che la macchina dello Stato sia in grado di usare le tecnologie come accade in Gran Bretagna o negli Stati Uniti. Un rapporto semplice tra Stato e cittadino è condizione necessaria per sviluppo economico, perché stimola gli investimenti anziché frenarli".

Come è nata l'idea di venire a Roma?
"Da un incontro con Matteo Renzi nel settembre 2014. Era venuto a visitare la Silicon Valley e mi disse: "Vorrei aiutare il Paese a non perdere il treno dell'innovazione e del digitale, saresti disposto a tornare per un periodo in Italia?" Ringraziai e declinai e per me era finita lì. Dopo qualche mese mi telefonò e tornò alla carica, nel frattempo il dubbio si era insinuato in me. Così ho cominciato a parlarne con mia moglie e con Bezos, con il quale ho un rapporto non solo di lavoro ma di lealtà e amicizia. Allora mi sono fatto una sola domanda: "Cosa rimpiangerò di non aver fatto tra 10 anni?". Ho capito che mi sarei portato dietro il rimpianto di non averci provato".

Quanto tempo si è dato?
"Due anni. Non per terminare un progetto ma per creare un sistema che permetta il cambiamento e duri nel tempo e per provare a far nascere una nuova mentalità".

E se Renzi cadesse prima?
"Complicherebbe un po' la situazione, ma il sistema che si deve creare è indipendente da chi è il primo ministro: è per il Paese non per il premier anche se è Renzi che mi ha convinto a venire".

Primi passi?
"Da due o tre anni è avviato un cammino: c'è il codice dell'amministrazione digitale, l'agenda europea digitale ma soprattutto una nuova consapevolezza. Si è cominciato a creare l'identità digitale del cittadino, con la quale poter accedere alle centinaia di servizi dello Stato. È da migliorare, da distribuire, si devono costruire tutti i servizi dove usarla e la maggior parte della popolazione ancora non lo sa, ma è un passo fondamentale".

In cosa consiste?
"Ognuno di noi avrà un'identità sempre aggiornata. Non ho bisogno di dimostrare che esisto, sono nato, sono sposato o dove abito. Oggi devi certificare o autocertificare ancora troppe cose, ma se l'anagrafe è costruita con tecnologie che tutte le amministrazioni pubbliche condividono, allora non devi più certificare di esistere e tutto diventa accessibile e aperto".


Come ha trovato la pubblica amministrazione italiana?
"Le leggo cosa ho scritto nel bando per reclutare talenti informatici che vengano a lavorare con noi: "Bisogna sapere che ci troveremo di fronte a burocrazie, regole complicate, a tecnologie obsolete e a una mancanza di coordinamento, ma anche a isole di eccellenza in grado di ottenere molto con poche risorse".

Dove sono queste isole di eccellenza?
"Per me è stata una sorpresa positiva trovare gruppi di alto livello tecnologico nella pubblica amministrazione italiana, penso alla Sogei o al Poligrafico dello Stato, per fare due esempi. Ho incontrato ragazzi che troverebbero subito posto nella Silicon Valley e che avrebbero successo in un batter d'occhio".

Che squadra vuole costruire?

Quanto pagherete gli esperti digitali per convincerli a venire a Roma?
"Abbiamo un tetto massimo di 150.000 euro l'anno per le posizioni tecniche più esperte ma la maggior parte dei ruoli saranno remunerati tra i 40 e 120.000 euro".

Perché nel bando ha scritto che "occasionalmente si dovrà essere eleganti ma normalmente ci si può vestire anche in modo sportivo"?
"Perché uno sviluppatore nemmeno si avvicina se pensa di dover lavorare in giacca e cravatta, allora deve sapere che può venire con le scarpe da tennis, certo non in ciabatte come in California... Siamo pur sempre a Palazzo Chigi".

E questo Palazzo com'è?
"È il primo posto che ha bisogno di una trasformazione tecnologica. Come in molti uffici e luoghi pubblici italiani c'è un problema di wi-fi, mi sono reso conto in queste prime settimane quanto sia penalizzante per chi lavora in Italia non avere accesso alla banda larga in modo continuativo e quotidiano".

Lei ha lavorato con Steve Jobs, cosa ha imparato da lui?
"La capacità di individuare le cose importanti, focalizzarci sui punti fondamentali all'interno di un sistema complesso".

E dal fondatore di Amazon Jeff Bezos?
"Che non esiste nulla che non si può cambiare. Per riuscirci bisogna creare le condizioni: assumere le persone più preparate, fare gli investimenti giusti, guardare sempre avanti, diffondere una cultura nuova anche nei gesti quotidiani e non perdere tempo a fare convegni".

C'è qualcosa che accomunava Jobs e Bezos?
"Sì, ho imparato da entrambi l'importanza di essere diretti con le persone, di dire davvero quello che si pensa, senza finzioni. Anche se Bezos è più gentile. Steve a volte era davvero duro e, diciamo, poco educato. Ma era un autentico genio".

Ha detto che questa squadra digitale che sta nascendo è come una startup, che percentuali di successo vede?
"Le percentuali di successo di una startup sono tra l'uno e il cinque per cento, mi auguro di avere qualche possibilità in più, perché se ci riusciamo allora il cambiamento per l'Italia sarà davvero notevole".

Momenti di pentimento in queste prime settimane romane?
Piacentini si toglie gli occhiali e strizza gli occhi da miope, ci pensa un po' e sospira: "A Seattle mi sarei sicuramente divertito a inventare cose nuove, ma un giorno mi
sarei guardato allo specchio e avrei detto: "Ma perché non ci ho provato?". Meglio correre il rischio di non farcela che rimpiangere di non aver avuto il coraggio".

Suo padre ora non c'è più, ma probabilmente sarebbe stato di nuovo d'accordo.

fonte: La Repubblica

Io non ho rabbia per te, ho pietà




Matteo Renzi, classe 1975, Ciriaco De Mita classe 1928, uno di fronte all’altro, arbitro Enrico Mentana su La 7, a discutere di referendum, di si è del no, mettendo a confronto non solo le ragioni di oggi ma anche quelle di due epoche storiche. De Mita difende il “prima”, se stesso la prima Repubblica, pezzi di storia, perché «il rischio per i rivoluzionari è quello di pensare solo al presente».

Renzi “il rivoluzionario”, ascolta e quando parla ha la verve del rottamatore: «Ci avete rubato il presente, adesso speriamo che non succeda lo stesso con il presente». La sua scure si abbatte sempre dove il dente duole, ossia sul debito accumulato negli anni ’80. “In quel decennio li avete fatto la Cicala costringendo noi a fare la formica”.

Il Referendum diventa quasi un pretesto per un duello in parallelo tra prima Repubblica e il renzismo. Il leone democristiano si fa innervosire e non cela irritazione quando Renzi lo incalza a macchinetta. «Mica sono del Pd dove parla solo lui», si lamenta . Nel merito della discussione il vecchio leone democristiano è lapidario: «Riforma frettolosa poco motivata, scritta male. Se io fossi giurista avrei grossa difficoltà a leggerla così come è, con periodo lunghissimi. E le norme costituzionali devono essere brevi. Fare un periodo lungo tre colonne ê una cosa che non si è mai vista». «Io avrei tolto il Senato o lo avrei fatto con i notabili, persone che rappresentano la società cresciuta, insomma il patrimonio culturale che si esprime in una comunità e dà consigli».

«Dissento nel modo più radicale», si difende Renzi. «E’ una riforma attesa nel dibattito politico da decenni». Spiega che la camera delle autonomie era voluta dal Pci e che nessuna classe politica fini ad oggi era riuscita a imporla.
De Mita ricorda che «da parlamentare ho avuto grande curiosità per le istituzioni, da prima che tu nascessi. Non sono d’accordo quando tu dici che c’è stato un ritardo infinito e adesso c’è la luce». E ricorda «una norma di Moro molto bella: “la riforma costituzionale e la casa di tutti”».

Renzi contesta “la lettura di De Mita” e gli ricorda come sia finita la collaborazione con Forza Italia nella scrittura della riforma costituzionale, causa elezione di Sergio Mattarella al Quirinale. E quando Renzi ricorda che «voi non siete riusciti a fare la riforma delle istituzioni»., De Mita lo avverte: «Chi te lo ha detto che ce la farai? Cautela». 



La posta in gioco è alta e il giovane leader non concede niente all’anziano leader. Gli dice: «Non credo che tu la abbia letta tutta questa riforma». De Mita non crede alle sue orecchie. Si sfiora la rissa. Una partita che prosegue su due campi. Passato e presente. «È una cosa antiestetica mettere tra i punti della riforma. la riduzione dei costi della politica queste cose si fanno, non si enunciano», dice De Mita.


«Sarà anche antiestetico, ma è etico», ribatte Renzi. «Va fatto non va scritto in una norma costituzionale, la mia sensazione è che tu abbia sostituito il vigore del pensiero con la quantificazione delle notizie», ribatte De Mita che risponde anche agli attacchi che Renzi fa alla sua resistenza sul campo politico: «Quando la politica è mestiere deve essere breve, quando la politica è pensiero può durare fino alla morte». E arriva la frattura insanabile.

Renzi: «L’idea che sia pensiero la politica tua che cambi partito quando ti levano un seggio nel 2008». De Mita: «Questa è una volgarità che non mi aspettavo e soprattutto detta da chi in politica le ha inventate tutte. Hai fatto un partito dove parli da solo e le tue relazioni in direzione andrebbero pubblicate per capire a cosa si è ridotta la politica. È un mestiere che vuoi gestire in maniera autoritaria». E ancora: «Io non ho rabbia per te, ho pietà, non sarò mai di quelli che cambiano partito. Sono nato e muoio democristiano tu non so».


Mentana cerca di sedare gli animi. Alla fine però Renzi insiste: «Mi dispiace che non hai letto la riforma». De Mita: «Forse sei stanco alla tua età». In questo match si sono scontrate le ragioni dei rottamati e de rottamatori, sul filo della storia. Il referendum può aspettare.

fonte: La Stampa, 29 ottobre 2016

lunedì 3 ottobre 2016

Il cerino in mano

Marianna Madia rimane con il cerino in mano. Sulla riforma della dirigenza pubblica, che creerà uno spoil system tale da paralizzare l’Amministrazione dello Stato, la ministra è stata abbandonata. Chi aveva maggiormente contribuito ad elaborare un provvedimento con aspetti così anticostituzionali, tanto da relegare i mandarini in  serie C a raffronto di magistrati, ambasciatori, prefetti e professori, si è eclissato.



I capi degli uffici legislativi di Palazzo Chigi e della Funzione Pubblica, 'la vigilessa' Antonella Manzione e il blasonato Bernardo Mattarella, infatti, hanno già trovato rifugio al Consiglio di Stato e all’Università. Come se non bastasse, perfino l'onnipresente Raffaele Cantone ha affermato che non se la sente di presiedere la Commissione di notabili (tra gli altri il Ragioniere generale dello Stato e il Segretario generale degli Esteri) predisposta a valutare i curricula per ogni interpello: richiede troppo tempo e troppe responsabilità per chi, come lui, ha già molti impegni.


Anche perché questi esperti nominati dal Presidente del Consiglio pro tempore si troverebbero a dover dare la benedizione finale a scelte che poi potrebbero rivelarsi sbagliate. Per come è stata pensata, quella Commissione difficilmente funzionerà. 'Dulcis in fundo', perfino Franco Bassanini, che di leggi scritte male in materia se ne intende, avendone fatta una delle peggiori, ha inviato una nota riservata in cui contesta alcuni punti fondamentali del decreto legislativo.


In un primo momento, il premier Renzi ha pensato di non curarsi delle reazioni. E come lui anche alcuni ministri, che hanno continuato a piazzare i propri fedelissimi nei posti chiave. Ma questo ha scatenato la reazione della Corte dei Conti che sta vagliando, per esempio, se esistono i requisiti per la ratifica della fresca nomina del nuovo Segretario generale del Ministero dello Sviluppo economico. Carlo Calenda, che studia ormai da Premier, ha imposto infatti il suo devotissimo collaboratore Andrea Napoletano. Con la nuova legge, casi come questo si moltiplicheranno, scatenando ricorsi che intaseranno i TAR e la Corte Costituzionale.


Ora tocca a quel furetto di Luca Lotti e, quando tornerà dal suo tour sudamericano, anche a Maria Elena Boschi correre ai ripari ed evitare una diffida per comportamento antisindacale del governo, che ha promulgato un atto d'imperio senza concerto tra le parti, violando il principio della competenza e della autonomia della contrattazione collettiva.

Per evitare che ciò accada, Renzi sembra intenzionato a cambiare atteggiamento ed accogliere alcune delle osservazioni che verranno dal Parlamento, tra cui il diritto all'incarico, se non per demerito, ed una effettiva ripartizione tra i ruoli statali, regionali e degli enti locali, nonché una tutela almeno per i diritti acquisiti. Altrimenti sarà il caos prima del referendum. E il capo del governo sa bene che intorno alla Pubblica amministrazione ruotano circa 4 milioni di elettori. Pronti a dirgli No.




Luigi  Bisignani per Il Tempo 2 ottobre 2016



I quattro stadi del Card. Martini

«Un proverbio indiano narra di quattro stadi della vita dell’uomo. Il primo è lo stadio in cui si impara; il secondo è quello in cui si insegna o si servono gli altri; nel terzo si va nel bosco, il bosco profondo del silenzio, della riflessione, del ripensamento e credo che, allorché si aprirà per me il terzo stadio, potrò riordinare con gratitudine tutto ciò che ho ricevuto, ricordare le persone che ho incontrato, gli stimoli che mi sono stati dati e che in questi ventidue anni non sono riuscito a elaborare (nel bosco, passeggiando tra gli alberi, si rimettono in ordine le memorie).
«Nel quarto stadio, particolarmente significativo per la mistica e l’ascetica indù, si impara a mendicare; l’andare a mendicare è il sommo della vita ascetica, e mi dicono che anche oggi persone ricche, che hanno fatto una grande fortuna nella vita, a un certo punto vanno a mendicare, in quanto il mendicante rappresenta lo stadio più alto dell’esistenza umana.
«Mendicare significa dipendere dagli altri ‘ ciò che non vorremmo avvenisse mai –, e dobbiamo prepararci. Il tempo del bosco ci prepara, prepara il momento che può avvenire oggi, domani o dopodomani, secondo la volontà del Signore.
«Naturalmente, l’ho detto altre volte, se mi sarà possibile vivrò questi stadi almeno in parte a Gerusalemme, – lo stadio del bosco e della mendicità – e sarà come un’ulteriore grazia di Dio, che si aggiunge e corona tutte le altre. «Vi invito a pregare per Gerusalemme, a ricordarvi di Gerusalemme, a non dimenticarvi di quella città che è il simbolo di tutto l’umano e nella quale, se ci sarà pace, si farà pace ovunque».
Carlo Maria Martini

sabato 3 settembre 2016

Vi ho dato da bere latte, non cibo solido

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi 3,1-9
Io, fratelli, sinora non ho potuto parlare a voi come a esseri spirituali, ma carnali, come a neonati in Cristo. Vi ho dato da bere latte, non cibo solido, perché non ne eravate ancora capaci. E neanche ora lo siete, perché siete ancora carnali. Dal momento che vi sono tra voi invidia e discordia, non siete forse carnali e non vi comportate in maniera umana?


Quando uno dice: «Io sono di Paolo», e un altro: «Io sono di Apollo», non vi dimostrate semplicemente uomini? Ma che cosa è mai Apollo? Che cosa è Paolo? Servitori, attraverso i quali siete venuti alla fede, e ciascuno come il Signore gli ha concesso. 


Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma era Dio che faceva crescere. Sicché, né chi pianta né chi irriga vale qualcosa, ma solo Dio, che fa crescere. Chi pianta e chi irriga sono una medesima cosa: ciascuno riceverà la propria ricompensa secondo il proprio lavoro. Siamo infatti collaboratori di Dio, e voi siete campo di Dio, edificio di Dio.

giovedì 1 settembre 2016

Art. 90 e non art. 110


Trasparenza. È uno dei valori che ci contraddistingue e che perseguiamo. Per questo motivo abbiamo deciso di chiedere un parere all'ANAC, l'Autorità Nazionale Anticorruzione, su tutte le nomine fatte finora dalla Giunta. Una richiesta per garantire il massimo della trasparenza: il "palazzo" deve essere di vetro, tutti i cittadini devono poter vedere cosa accade dentro. Questo è il M5S.
Sulla base di due pareri contrastanti, ci siamo rivolti all'ANAC che, esaminate le carte, ha dichiarato che la nomina della Dott.ssa Carla Romana Raineri a Capo di Gabinetto va rivista in quanto "la corretta fonte normativa a cui fare riferimento è l'articolo 90 TUEL" e "l'applicazione, al caso di specie, dell'articolo 110 TUEL è da ritenersi impropria". Ne prendiamo atto.
Conseguentemente, sarà predisposta l'ordinanza di revoca.

Virginia Raggi, Sindaco di Roma

venerdì 12 agosto 2016

Forza Italia 2.0: i sette punti del programma di Parisi

1. IL POSIZIONAMENTO POLITICO

Forza Italia deve tornare a essere una piattaforma di governo liberal-popolare. La forza trainante di una coalizione ampia e trasversale, in cui coesistano posizioni più o meno radicali di cui Forza Italia sia il punto di equilibrio. ‘Popolare’, nel saper interpretare in modo nuovo il rapporto coi cittadini, andando oltre il centrodestra e contendendo elettori al Movimento 5 Stelle. ‘Liberale’ nei contenuti da cui bisogna ripartire. Qualche esempio:

- Un nuovo modo di pensare all’Europa, opponendo alla burocrazia accentratrice di Bruxelles una critica costruttiva, seria e credibile.

- Una politica estera apertamente atlantista, che non lasci spazio a indecisioni sul ruolo degli USA o di Israele nel garantire libertà e democrazia nel mondo.

- Una difesa inflessibile delle libertà economiche, che si opponga con decisione a statalismi vecchi e nuovi.

- Una pubblica amministrazione più semplice e digitale, sempre meno ‘gestrice’ e sempre più ‘regolatrice’, che faccia del pubblico-privato il modello organizzativo per eccellenza dei servizi pubblici.

- Una riforma dello Stato che semplifichi il processo legislativo, garantendo governabilità e stabilità delle maggioranze.

- Una giustizia più rapida, equa e responsabile, che smetta di occuparsi di politica e torni ad avere anch’essa pesi e contrappesi dai restanti poteri dello Stato.

- Un welfare efficiente, trasparente e orientato davvero alla tutela dei più deboli, e non al mantenimento di rendite di posizione e privilegi.

- Un rapporto con le banche che tuteli i cittadini, imponendo responsabilità chiare ai banchieri.

- Un sistema educativo che tuteli e valorizzi la libertà di scelta come criterio fondamentale.

- Un approccio pragmatico al tema dell’immigrazione, che offra soluzioni alle paure delle persone, senza demonizzarle.

- Un cambio di paradigma nella gestione della cultura, che deleghi la sua gestione e valorizzazione ai privati senza pregiudizi.

2. LA POLITICA ANTI-POLITICA
Forza Italia deve rappresentare, in questo momento, una politica che sa rigenerarsi, per riportare la gente a fare politica e a credere nella politica. Una politica che sappia coinvolgere le persone in modo consapevole e serio, non con emergenzialismi o propaganda di pancia. Una politica che torni a dialogare con i corpi intermedi e che sappia valorizzare una nuova classe dirigente di persone che mettono a disposizione la loro professionalità e le loro competenze per la cosa pubblica: una classe dirigente che torni a conquistare persone e voti con affidabilità, equilibrio e determinazione. Una politica ‘anti-politica’, che sia nuova e attrattiva quanto lo è il Movimento 5 Stelle, ma opponga al dilettantismo di quest’ultimo la capacità di selezionare persone, competenze e idee credibili.

3. DUE DILIGENCE
Forza Italia sarà analizzata dal punto di vista gestionale, economico, organizzativo e delle risorse umane, per individuarne i principali punti di forza e punti deboli in maniera imparziale.

4. IL NUOVO PARTITO
La Forza Italia che verrà dovrà cambiare nome, statuto e regole interne, ma soprattutto dovrà assumere un nuovo modello organizzativo, basato sul modello del ’94: un modello ‘forza vendita’, che scoraggi lotte di potere intestine e correnti, ma che invece premi e selezioni la leadership sulla base di chi porta voti e crea consenso intorno al partito. Un partito che, in questo modo, sia costantemente in campagna elettorale, perché i meccanismi di selezione della classe dirigente si basano proprio sull’attrazione di nuovi voti e consensi.

5. PRESENZA SUL WEB
Il web sarà il cuore pulsante e il collettore del partito, sul modello del Movimento 5 Stelle, ma con le opportune differenze. Dovrà essere creata una struttura reticolare, che abbia il suo perno in un blog e molti ripetitori e amplificatori sui social network e su siti collaterali, e che diventi anche uno strumento di fund-raising.

Il web sarà anche lo strumento di attrazione dei giovani, non sulla base di un giovanilismo di bandiera, ma invece incentivando la partecipazione sulla base della capacità di elaborare idee vincenti, cioè in modo meritocratico.

6. STRATEGIA DI COMUNICAZIONE
Oltre al nuovo nome e al nuovo modello organizzativo, la Forza Italia che verrà dovrà selezionare in modo nuovo ed efficace le persone che ne esprimano la voce sui media, valorizzando facce nuove e credibili.

7. PROGRAMMA DI LAVORO
Dopo avere cambiato il nome e lo statuto di Forza Italia, daremo prova di ripartire dai contenuti organizzando una conferenza programmatica, alla quale seguirà un tour dei capoluoghi di provincia di tutta Italia per raccontare la proposta politica e raccogliere consenso.

domenica 7 agosto 2016

Relativismo


Sine glossa

Forse papa Bergoglio non si è reso conto, ma ieri alla Porziuncola di Assisi, cuore del francescanesimo, egli ha reso omaggio al più grande dei “fondamentalisti cattolici”, al simbolo di quel fondamentalismo cattolico che è stato il bersaglio polemico di Bergoglio anche nella nota conferenza stampa in aereo di domenica.

In quell’occasione il papa, interrogato sul sacerdote sgozzato sull’altare a Rouen, non ha dedicato nemmeno una parola a padre Jacques, ma si è fatto in quattro per negare che quel terrorismo abbia a che fare con l’Islam.

Poi – sempre in difesa dell’Islam – Bergoglio ha aggiunto un attacco ai cattolici: credo che in quasi tutte le religioni ci sia sempre un piccolo gruppetto fondamentalista. Noi ne abbiamo”.

Ma cos’è il “fondamentalismo”?
Significa: applicazione letterale dei testi sacri. Nella storia cattolica è proprio san Francesco colui che ha predicato l’applicazione del Vangelo alla lettera, “sine glossa”.

Bergoglio però non lo ha detto. E non ha detto che mentre i fondamentalisti islamici – applicando alla lettera il Corano e l’esempio di Maometto – proclamano la jihad, impongono la sharia, opprimono nei loro regimi le altre religioni e i diritti umani e usano la violenza, i “fondamentalisti cattolici” come san Francesco d’Assisi e Madre Teresa di Calcutta, applicando alla lettera il Vangelo, fanno l’esatto opposto. Semplicemente perché Corano e Vangelo insegnano cose opposte.

Che vuol dire per san Francesco “il Vangelo sine glossa”? Si legge che Gesù nel Vangelo dice al giovane ricco: “vai, vendi quello che hai e dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi” (Mc 10, 21).

Francesco ascoltò e seguì “alla lettera” le parole di Gesù. Lui prendeva sempre “alla lettera” quello che ascoltava dal Signore (perfino quando il crocifisso di san Damiano gli disse: “Francesco, vai e ripara la mia chiesa”).

Un altro giorno, alla Porziuncola, il santo ascoltò questa pagina del Vangelo:
“Andate e predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, mondate i lebbrosi, scacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date. Non procuratevi oro né argento né denaro nelle vostre cinture, né sacca da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone, perché chi lavora ha diritto al suo nutrimento…» (Mt 10, 7-11).
Era il mandato missionario di Gesù:
Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato” (Mt 28, 19-20).
Francesco fece così “alla lettera”.

CROCIATA
E, dopo che il papa bandì la crociata (nel 1213) per liberare i luoghi santi occupati dai musulmani, che rendevano pericolosi i pellegrinaggi a Gerusalemme, anche Francesco partì.

Scriveva anni fa Franco Cardini: “nella vita di Francesco l’episodio crociato costituisce uno scandalo nello scandalo”, ma “il Francesco ‘crociato’ non è un argomento eludibile”.

Era “crociato” come lo erano tutti i pellegrini per la Terra Santa. Cardini spiega che, diversamente da ciò che pensano oggi gli ignoranti e gli anticlericali, “la crociata non è mai stata una ‘guerra di religione’, la crociata non è una ‘guerra santa’ ” per imporre la fede cattolica. No, “è un pellegrinaggio armato” il cui scopo era la liberazione e la difesa dei Luoghi Santi che erano stati occupati dai musulmani.

Così Francesco, che non portava armi, andò in pellegrinaggio: era molto pericoloso, ma lui voleva venerare fra quelle pietre la presenza di Gesù, essere tutt’uno con Lui, anche a costo della vita.

“Francesco vedeva nella crociata anzitutto l’occasione del martirio e nel martirio la forma più alta e più pura della testimonianza cristiana” (Cardini).

Ovviamente non un martirio ricercato, che sarebbe un peccato di superbia. Egli in tutta umiltà vuole semplicemente annunciare il Vangelo ai saraceni “perché essi credano in Dio onnipotente, Padre e Figlio e Spirito Santo, Creatore di tutte le cose, e nel Figlio Redentore e Salvatore, e siano battezzati, e si facciano cristiani, perché chiunque non sarà rinato per acqua e Spirito Santo non potrà entrare nel regno dei Cieli”.

Già qui siamo agli antipodi dell’ecumenismo modernista in cui crede Bergoglio, che infatti equipara le religioni, rifiuta l’idea di predicare la conversione a musulmani e miscredenti e ha liquidato con disprezzo il “proselitismo”.

La cronaca di Giacomo da Vitry ci dice che, là in Terra Santa, “non soltanto i cristiani, ma perfino i saraceni e gli altri uomini avvolti ancora nelle tenebre dell’incredulità, quando essi (Francesco e i suoi frati) compaiono per annunziare intrepidamente il Vangelo, si sentono pieni di ammirazione per la loro umiltà e perfezione”.

Francesco “volle recarsi intrepido e munito dello scudo della sola fede all’accampamento del sultano d’Egitto”.

Viene fatto prigioniero e si fa portare da lui che era noto per la sua durezza. Ma il Sultano a vedere Francesco restò ammansito e fu turbato dalle sue parole. Poi “temendo che qualcuno dei suoi si lasciasse convertire al Signore” lasciò andare libero il santo.

SINE GLOSSA

Per Francesco la cosa essenziale era l’annuncio del Vangelo perché questo era il commando di Cristo. La vita del santo di Assisi è tutta basata sull’applicazione del Vangelo “sine glossa” e le stigmate che ricevette rappresentano proprio il “sigillo” del Cielo a questa sua totale conformità al Figlio di Dio.

Il Vangelo “alla lettera”, senza accomodamenti alla mentalità dominante, senza compromessi col mondo, è la forma suprema di “fondamentalismo cattolico”.

Esattamente l’opposto di Bergoglio che combatte proprio i “dottori della lettera” (come li chiama lui), quelli cioè che, come san Francesco, gli ricordano le precise parole del Vangelo e dissentono dalla sua religione mondanizzata e accomodante (per esempio sui temi del matrimonio).

Anche su tutto il resto il santo di Assisi e il papa della teologia della liberazione sono agli antipodi.

SALVEZZA DELL’ANIMA

San Francesco non faceva che ammonire sul pericolo di finire eternamente all’inferno e sulla necessità di convertirsi e fare penitenza per andare in Paradiso (si veda la “Lettera ai governanti”).

Bergoglio invece parla solo di questioni terrene, sociali e politiche, non parla mai dell’inferno e del Purgatorio, tanto che nella sua Bolla di indizione dell’Anno Santo ha tolto ogni riferimento al Purgatorio stesso e pure alle “indulgenze” che servono a evitarlo (ieri era imbarazzato alla Porziuncola dal momento che il “Perdono di Assisi” ottenuto da san Francesco è tutto centrato proprio sull’indulgenza relativa al Purgatorio, cioè la remissione delle pene temporali).

San Francesco poi ricorda ai governanti il loro dovere di difendere la fede cristiana del popolo “e se non farete questo, sappiate che dovrete renderne ragione (cf. Mt. 12,36) a Dio davanti al Signore vostro Gesù Cristo nel giorno del giudizio”.

Bergoglio invece sostiene i governanti più laicisti, dice “chi sono io per giudicare?” sui “principi non negoziabili” e cancella la presenza pubblica dei cattolici e la dottrina sociale della Chiesa.

San Francesco scrive ai sacerdoti che devono tributare il massimo onore “al Santissimo Corpo e Sangue del Signore nostro Gesù Cristo”, è per lui fondamentale, mentre Bergoglio è noto per la sua scelta di neanche inginocchiarsi davanti all’Eucaristia.

Resta l’ecologia pilastro del bergoglismo. Purtroppo però non è mai esistito un san Francesco ecologista.

Il Cantico delle creature infatti (che ricalca un salmo) non esalta la natura, la quale a quel tempo prevaleva sull’uomo e non aveva bisogno di essere “protetta” (casomai il contrario).

Il Cantico, che non rammenta gli animali (ma parla di peccato mortale e inferno), è invece un invito alla preghiera di lode a Dio, un inno alla bontà del Creatore, assai significativo in un’epoca in cui la gnosi dei Catari predicava la malignità del Demiurgo e della natura creata.

Tutt’altra cosa.
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Antonio Socci
Da “Libero”, 5 agosto 2016

La peggior forma di governo

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