Un piccolo teatro, ma strapieno. Di gente appassionata. Un teatro
tricolore, l'inno nazionale all'inizio, il pensiero alla Sardegna
disastrata dal ciclone, che diventa metafora dell'Italia. È proprio un
partecipante sardo che, dopo il racconto del dolore e della devastazione
della sua terra, lancia la parola d'ordine: «L'importante è
ricominciare», l'importante è ripartire.
L'immagine
è quella della nave che salpa, sperando di navigare in acque rese
abbondanti dallo scongelamento dell'iceberg dell'astensionismo,
dall'arrivo dei delusi degli schieramenti principali. Al Teatro Quirino
va in scena l'Assemblea popolare per l'Italia, con i centristi di Pier
Ferdinando Casini e i popolari di Mario Mauro, e «un progetto inclusivo e
non contro qualcuno, un progetto corale» ci tengono a sottolineare
personalità come Mario Marazziti (che viene da Scelta civica) o Lorenzo
Dellai che (alla Camera) insieme a Lucio Romano (al Senato), saranno i
capigruppo della nuova formazione.
Tocca proprio a loro due leggere il Manifesto fondativo, l'appello
per «un nuovo cantiere e una democrazia comunitaria». È frutto di un
lavoro collettivo. Parte un po' banale: «Abbiamo lanciato il cuore oltre
l'ostacolo». Ma il secondo slogan è efficace: «Abbiamo un cuore
solidale e la mente liberale: in una parola, siamo popolari».
Una grande assemblea politica, quasi duemila persone (con qualche
patema d'animo per la sicurezza da parte del proprietario del Teatro),
convocate in pochi giorni, col maltempo, più di trenta parlamentari,
ministri, persone famose della politica italiana e nessun politico sul
palco, in posti d'onore, tutti ad ascoltare.
Ad ascoltare la gente. La politica rovesciata.
E infatti i big si limitano alle interviste all'ingresso o a margine dell'evento, perché il proscenio è tutto per le persone normali, gente che vuole vivere l'esperienza di provare a cambiare l'Italia: ci sono studenti, medici, avvocati, imprenditori, ricercatori, volontari, amministratori locali. Prima di entrare, un'urna con le schede e le matite per scrivere il nome del partito che nascerà.
E infatti i big si limitano alle interviste all'ingresso o a margine dell'evento, perché il proscenio è tutto per le persone normali, gente che vuole vivere l'esperienza di provare a cambiare l'Italia: ci sono studenti, medici, avvocati, imprenditori, ricercatori, volontari, amministratori locali. Prima di entrare, un'urna con le schede e le matite per scrivere il nome del partito che nascerà.
Di questo sono sicuri tutti: Casini, Lorenzo Cesa, Gregorio Gitti
certificano che presto, già la prossima settimana, nasceranno i gruppi
parlamentari comuni. Un passaggio che non filerà del tutto liscio,
perché c'è da perfezionare la separazione non proprio consensuale con
Scelta civica. «I problemi sono più a livello di Sc come partito che a
livello parlamentare», dice un senatore, spiegando che la questione dei
rimborsi elettorali pesa come un macigno.
A livello parlamentare, la situazione è che al Senato i montiani
hanno già chiesto a Pietro Grasso una deroga per poter formare un gruppo
con gli otto senatori rimasti mentre i 12 popolari, che attualmente
esprimono il capogruppo Romano, probabilmente assumeranno una nuova
denominazione. Alla Camera, le due anime hanno i numeri per formare
ciascuna un gruppo a sé stante di almeno 20 deputati.
Sono incognite che si risolveranno nei prossimi giorni, mentre a
livello europeo c'è l'adesione al progetto da parte di Giuseppe Gargani,
Carlo Casini, Gino Trematerra, Potito Salatto, e, fra gli altri,
Ciriaco De Mita.
«È finita la stagione degli uomini della Provvidenza - dice Pier
Ferdinando Casini - e vogliamo creare una forza europeista, sì, ma che
contrasti la politica europea fondata su questo rigore che porta a fondo
tutti no». Mauro mette in evidenza che il centrodestra berlusconiano
non esiste più e che con il Ncd (il Nuovo centrodestra) di Alfano, pur
essendoci differenze, «gli elettori sono gli stessi» mentre «al governo
c'è collaborazione».
Ecco, Alfano è il competitor. Il bacino elettorale, infatti, è lo
stesso. «Ma da loro», dice Mauro(che pure lui è ministro del governo
Letta), alludendo alla manifestazione del Ncd, «c'era una sfilza di
ministri: più il potere che il popolo. Ma è solo il popolo che può far
ripartire, perché ha fiducia e coraggio».
fonte: Corriere della Sera
Il percorso politico nato dall’iniziativa “Verso la Terza Repubblica”, alla fine del 2012, e concretizzatosi con la costituzione di Scelta Civica, ha rappresentato una novità significativa e un passo avanti nella storia politica italiana. Persone e culture politiche differenti si sono ritrovate nell’obiettivo comune di ricostruzione sociale, economica e istituzionale del Paese.
La drammaticità di una crisi finanziaria ed economica senza precedenti ha reso inaccettabili le responsabilità di una classe politica autoreferenziale e inefficiente, che nei due decenni passati non ha saputo far crescere e modernizzare l’Italia. Il risultato è quello di un Paese impoverito, più diviso, meno solidale e fiducioso nel futuro, che non riesce a stare al passo con le altre democrazie europee. L’elenco di cosa non funziona è noto, come nota è la reazione dei cittadini: astensione elettorale e preoccupanti manifestazioni di antipolitica.
Il processo di rinnovamento del Paese, in grado di realizzare le riforme necessarie, ma anche di aggregare intorno ad esse il consenso popolare, richiede tempo, fatica, coraggio e pazienza. Ogni scorciatoia, lo abbiamo purtroppo visto in questi mesi, è destinata ad allontanarci dalla meta.
In questa prospettiva, le dimissioni del presidente Monti dalla guida di Scelta Civica – cui tutti riconosciamo coraggio e dedizione al Paese – e l’accelerazione del confronto interno, non sono che gli evidenti segni dell’esigenza di far crescere un progetto politico in modo democratico, oltre gli schemi cooptativi ereditati dal tempo della competizione elettorale.
Siamo un soggetto politico in formazione, con la precisa volontà di concorrere, con molti altri che ancora non hanno avuto il coraggio di scegliere il cambiamento, a costruire una forza maggioritaria nel Paese e nel Parlamento. Per questo è nostro compito proporre un progetto politico stabile e maturo, a larga partecipazione popolare, non elitario, per non tradire le aspettative e le speranze che abbiamo suscitato.
Il primo passo deve essere la chiarezza nel definire la nostra identità, i valori di appartenenza e la nostra proposta politica. Non siamo né un cartello elettorale né un partito personale, ma un soggetto che va costruito in stretta saldatura tra i parlamentari, i simpatizzanti e la gente del nostro Paese che guarda alla politica con preoccupazione e interesse. Ogni incertezza, ogni elitarismo prigioniero di sole logiche parlamentari, come abbiamo visto nei mesi passati, ci condanna all’irrilevanza.
Non è più il tempo delle ideologie, ma delle idee. Per questo la cultura politica non è un orpello da lasciare al Ventesimo secolo. Proprio in un periodo in cui mancano idee sul futuro, la politica non può rinunciare ad avere una visione generale. Cresce tra i cittadini una domanda di “senso” e di orientamento. Al gonfiarsi dell’individualismo va contrapposta una concezione autenticamente comunitaria della democrazia.
La politica non è tecnicismo, non è mera amministrazione, ma scelta delle priorità alla luce della visione del bene comune degli italiani. Cambiare la politica non significa negarne il valore, ma al contrario “ridarle un’anima”, un ancoraggio umano e culturale.
In questa logica proponiamo di costruire un’area politica autenticamente e innovativamente popolare, che riprenda – con nuovi linguaggi, nuove sensibilità e nuova classe dirigente- allo stesso tempo la storia del popolarismo e del pensiero liberale .
Intendiamo con questo l’impegno a radicarci nelle realtà locali, la scelta di far crescere la politica nella partecipazione democratica, in un rapporto tra eletti e aderenti fatto di mutuo scambio. L’Italia, per evitare gli effimeri populismi (che nascono anche come risposta alla chiusura nel palazzo), ha bisogno di una politica popolare.
Nulla a che vedere con inaccettabili strumentalizzazioni delle convinzioni religiose né con operazioni nostalgiche.
Noi vogliamo guardare avanti:
al riconoscimento dei diritti umani per tutti e per ciascuno
all’uguaglianza e all’equità per ridistribuire ricchezza e dare opportunità a tutti;
alla valorizzazione della famiglia riconosciuta dalla Costituzione;
alla tutela della vita in tutte le sue stagioni;
al diritto al lavoro per permettere a tutti di vivere con dignità;
al sostegno all’attività imprenditoriale responsabile e innovativa;
all’ammodernamento istituzionale e allo snellimento della macchina pubblica;
alla costruzione di una società accogliente e plurale.
Solo in questo modo, lo spirito riformatore riesce a non sfociare in indifferenza verso la giustizia e la coesione sociale. Solo così si rinnegano le spinte populiste che si fanno strada oggi in Europa.
Il “chi siamo” passa anche da una nuova forma di partito: né liquido né pesante, non verticistico, bensì una struttura federale, solidale e plurale di aderenti, associazioni e movimenti territoriali. Non una macchina elettorale a servizio di un leader ma uno strumento democratico, aperto e trasparente, di partecipazione per i cittadini, nonché di formazione di una classe dirigente onesta, capace e preparata.
Ciò che vogliamo e possiamo ora costruire è un popolarismo di nuova concezione, radicato nella cultura di un cristianesimo rinvigorito dai valori di Papa Francesco universalmente riconosciuti, anche innervato dalla coscienza laica. Plurale per sua natura, esso non è confessionale ma risponde al superamento di steccati antichi e nuovi. Comunitario, vuole ricostruire un ethos condiviso e suscitare passione per un destino comune. Nemico di ogni populismo, esso è esigente sul piano della moralità nella vita pubblica e rigoroso nella gestione della finanza.
Da questa visione derivano chiare scelte riformiste:
- Verità nella comunicazione ai cittadini sulla reale situazione italiana, mantenendo con scrupolo il rispetto dei vincoli economici, per non scaricare su figli e nipoti il peso delle mancate scelte di oggi.
- Centralità del lavoro e dell’impresa per ridare prospettiva di crescita, economica ed umana, al Paese. Disoccupazione, sottoccupazione, assistenzialismo si contrastano concentrando tutte le risorse disponibili in un piano organico di rilancio delle attività produttive, in un quadro di economia sociale di mercato altamente competitiva e perciò idonea a garantire a tutti di poter progredire nella scala sociale.
- Semplificazione amministrativa per snellire la macchina pubblica, che non può essere un ostacolo all’iniziativa imprenditoriale: anziché pensare all’ennesima grande riforma, che resterebbe lettera morta, sosteniamo un’opera di “smaltimento normativo” per rendere la macchina burocratica più semplice e per applicare le tante buone leggi che già ci sono.
- Riformismo sociale per cambiare in profondità il nostro Paese e l’Europa senza lasciare nessuno indietro. Le riforme debbono essere spiegate ai cittadini affinché ne comprendano le ragioni ed i benefici e debbono tener conto delle conseguenze che producono, in particolare sulle fasce della popolazione più vulnerabili e molto provate dalla crisi in corso. C’è una domanda di inclusione di cui si deve tener conto con grande attenzione. La società italiana è percorsa da troppe fratture, che drammaticamente la mettono alla prova e sono espressione della grande fragilità nazionale.
- Autonomismo responsabile capace di dare attuazione al principio di sussidiarietà ed insieme di aumentare democrazia e buongoverno. Dobbiamo rimettere mano alla riforma dello Stato per liberare energie esistenti nella società ed insieme combattere gli enormi sprechi di burocrazie e clientele sviluppatesi negli anni.
- Vocazione europea e mondiale dell’Italia, chiamata ad assumere nuovamente un ruolo chiave nella ridefinizione del quadro globale. C’è bisogno di un nostro protagonismo per costruire gli Stati Uniti d’Europa, capaci di programmare un progetto non solo di tenuta ma anche di crescita comune, fuori dai tecnicismi delle burocrazie, affinché l’UE divenga vera potenza globale, capace di assicurare stabilità interna e pace in molte aree del mondo, a partire dalla crisi in Medio Oriente.
Tale progetto comporta scelte politiche contingenti e di medio e lungo respiro.
Innanzitutto – secondo gli auspici del Capo dello Stato – offriamo un convinto sostegno con vigile lealtà al Governo Letta affinché possa operare per tutta questa legislatura. Ciò é nell’interesse del Paese, che ha bisogno di stabilità per profonde riforme, anche costituzionali, prima di tornare alle urne.
Una stagione si sta chiudendo. La nuova non può essere costruita sull’ambizione di ereditare semplicemente una parte del vecchio sistema. Perciò non avrebbe senso partecipare in nessun modo alla trasformazione del PDL o offrire sponda a chi la teorizza anche evocando un presunto “padre nobile”.
Il futuro e’ un partito popolare, democratico, riformista, europeista, in netta discontinuità con la stagione berlusconiana e che in prospettiva si pensa e si organizza in concorrenza con la sinistra, ma degasperianamente alternativo alla destra.
Questo progetto si colloca naturalmente – pur se in modo originale – nell’alveo del Partito Popolare europeo.
Molti cittadini, tra cui tanti elettori e simpatizzanti, potranno essere coinvolti in tale progetto per far evolvere un disegno finora rimasto in fase embrionale. Infatti, il vero cambiamento avviene con la partecipazione dei cittadini e non solo degli eletti delle istituzioni. Tale nostro progetto è possibile solo con tante persone nuove, soprattutto credibili, che devono essere coinvolte attivamente.
Per questo sarà fondamentale un confronto quanto più aperto possibile nei gruppi parlamentari, a cominciare dall’assemblea convocata per oggi e domani, in cui si mettano in discussione le diverse posizioni politiche e non personali. Dobbiamo chiarire senza equivoci il nostro intento di costruire un partito autonomo, oggi e nel futuro, da chiunque rappresenti il modello bipolare a carattere leaderistico che ci ha condotto all’attuale crisi politica. Dalla rigorosa verifica degli obiettivi discendono le scelte organizzative, ivi comprese eventuali divisioni che non possono essere determinate da anacronistiche e illogiche “cacciate” o espulsioni. E insieme dovrà avviarsi una nuova fase della nostra storia comune, caratterizzata da un appello ai tanti che, nella politica come nella società civile, sono alla ricerca di una seria strada da percorrere insieme. Vogliamo chiudere questa stagione delle polemiche interne (tutte accentrate in un gruppo autoreferenziale) per aprirci finalmente ad un autentico confronto con i tanti cittadini che hanno creduto in noi, nel progetto incarnato nelle liste di “Scelta Civica” e di “Con Monti per l’Italia”, e con i tanti che continuano a guardare, sempre più delusi, a ciò che la politica propone per il futuro dell’Italia.
Gli italiani si sentono sempre meno rappresentati dalla politica e, allo stesso tempo, hanno voglia di fare qualcosa per orientare il loro futuro. Il nostro sarà quello di ridare loro rappresentanza sui problemi concreti della loro vita, non con fumosi, astratti o elitari discorsi. Questa rappresentanza si ricostruisce con proposte concrete e serie, ma anche attraverso l’ascolto e il coinvolgimento dei cittadini in un grande progetto. La politica deve tornare a incarnare la voglia che il Paese cresca e la speranza di un futuro migliore per tutti gli italiani.
Roma 15 novembre 2013
Il percorso politico nato dall’iniziativa “Verso la Terza Repubblica”, alla fine del 2012, e concretizzatosi con la costituzione di Scelta Civica, ha rappresentato una novità significativa e un passo avanti nella storia politica italiana. Persone e culture politiche differenti si sono ritrovate nell’obiettivo comune di ricostruzione sociale, economica e istituzionale del Paese.
La drammaticità di una crisi finanziaria ed economica senza precedenti ha reso inaccettabili le responsabilità di una classe politica autoreferenziale e inefficiente, che nei due decenni passati non ha saputo far crescere e modernizzare l’Italia. Il risultato è quello di un Paese impoverito, più diviso, meno solidale e fiducioso nel futuro, che non riesce a stare al passo con le altre democrazie europee. L’elenco di cosa non funziona è noto, come nota è la reazione dei cittadini: astensione elettorale e preoccupanti manifestazioni di antipolitica.
Il processo di rinnovamento del Paese, in grado di realizzare le riforme necessarie, ma anche di aggregare intorno ad esse il consenso popolare, richiede tempo, fatica, coraggio e pazienza. Ogni scorciatoia, lo abbiamo purtroppo visto in questi mesi, è destinata ad allontanarci dalla meta.
In questa prospettiva, le dimissioni del presidente Monti dalla guida di Scelta Civica – cui tutti riconosciamo coraggio e dedizione al Paese – e l’accelerazione del confronto interno, non sono che gli evidenti segni dell’esigenza di far crescere un progetto politico in modo democratico, oltre gli schemi cooptativi ereditati dal tempo della competizione elettorale.
Siamo un soggetto politico in formazione, con la precisa volontà di concorrere, con molti altri che ancora non hanno avuto il coraggio di scegliere il cambiamento, a costruire una forza maggioritaria nel Paese e nel Parlamento. Per questo è nostro compito proporre un progetto politico stabile e maturo, a larga partecipazione popolare, non elitario, per non tradire le aspettative e le speranze che abbiamo suscitato.
Il primo passo deve essere la chiarezza nel definire la nostra identità, i valori di appartenenza e la nostra proposta politica. Non siamo né un cartello elettorale né un partito personale, ma un soggetto che va costruito in stretta saldatura tra i parlamentari, i simpatizzanti e la gente del nostro Paese che guarda alla politica con preoccupazione e interesse. Ogni incertezza, ogni elitarismo prigioniero di sole logiche parlamentari, come abbiamo visto nei mesi passati, ci condanna all’irrilevanza.
Non è più il tempo delle ideologie, ma delle idee. Per questo la cultura politica non è un orpello da lasciare al Ventesimo secolo. Proprio in un periodo in cui mancano idee sul futuro, la politica non può rinunciare ad avere una visione generale. Cresce tra i cittadini una domanda di “senso” e di orientamento. Al gonfiarsi dell’individualismo va contrapposta una concezione autenticamente comunitaria della democrazia.
La politica non è tecnicismo, non è mera amministrazione, ma scelta delle priorità alla luce della visione del bene comune degli italiani. Cambiare la politica non significa negarne il valore, ma al contrario “ridarle un’anima”, un ancoraggio umano e culturale.
In questa logica proponiamo di costruire un’area politica autenticamente e innovativamente popolare, che riprenda – con nuovi linguaggi, nuove sensibilità e nuova classe dirigente- allo stesso tempo la storia del popolarismo e del pensiero liberale .
Intendiamo con questo l’impegno a radicarci nelle realtà locali, la scelta di far crescere la politica nella partecipazione democratica, in un rapporto tra eletti e aderenti fatto di mutuo scambio. L’Italia, per evitare gli effimeri populismi (che nascono anche come risposta alla chiusura nel palazzo), ha bisogno di una politica popolare.
Nulla a che vedere con inaccettabili strumentalizzazioni delle convinzioni religiose né con operazioni nostalgiche.
Noi vogliamo guardare avanti:
al riconoscimento dei diritti umani per tutti e per ciascuno
all’uguaglianza e all’equità per ridistribuire ricchezza e dare opportunità a tutti;
alla valorizzazione della famiglia riconosciuta dalla Costituzione;
alla tutela della vita in tutte le sue stagioni;
al diritto al lavoro per permettere a tutti di vivere con dignità;
al sostegno all’attività imprenditoriale responsabile e innovativa;
all’ammodernamento istituzionale e allo snellimento della macchina pubblica;
alla costruzione di una società accogliente e plurale.
Solo in questo modo, lo spirito riformatore riesce a non sfociare in indifferenza verso la giustizia e la coesione sociale. Solo così si rinnegano le spinte populiste che si fanno strada oggi in Europa.
Il “chi siamo” passa anche da una nuova forma di partito: né liquido né pesante, non verticistico, bensì una struttura federale, solidale e plurale di aderenti, associazioni e movimenti territoriali. Non una macchina elettorale a servizio di un leader ma uno strumento democratico, aperto e trasparente, di partecipazione per i cittadini, nonché di formazione di una classe dirigente onesta, capace e preparata.
Ciò che vogliamo e possiamo ora costruire è un popolarismo di nuova concezione, radicato nella cultura di un cristianesimo rinvigorito dai valori di Papa Francesco universalmente riconosciuti, anche innervato dalla coscienza laica. Plurale per sua natura, esso non è confessionale ma risponde al superamento di steccati antichi e nuovi. Comunitario, vuole ricostruire un ethos condiviso e suscitare passione per un destino comune. Nemico di ogni populismo, esso è esigente sul piano della moralità nella vita pubblica e rigoroso nella gestione della finanza.
Da questa visione derivano chiare scelte riformiste:
- Verità nella comunicazione ai cittadini sulla reale situazione italiana, mantenendo con scrupolo il rispetto dei vincoli economici, per non scaricare su figli e nipoti il peso delle mancate scelte di oggi.
- Centralità del lavoro e dell’impresa per ridare prospettiva di crescita, economica ed umana, al Paese. Disoccupazione, sottoccupazione, assistenzialismo si contrastano concentrando tutte le risorse disponibili in un piano organico di rilancio delle attività produttive, in un quadro di economia sociale di mercato altamente competitiva e perciò idonea a garantire a tutti di poter progredire nella scala sociale.
- Semplificazione amministrativa per snellire la macchina pubblica, che non può essere un ostacolo all’iniziativa imprenditoriale: anziché pensare all’ennesima grande riforma, che resterebbe lettera morta, sosteniamo un’opera di “smaltimento normativo” per rendere la macchina burocratica più semplice e per applicare le tante buone leggi che già ci sono.
- Riformismo sociale per cambiare in profondità il nostro Paese e l’Europa senza lasciare nessuno indietro. Le riforme debbono essere spiegate ai cittadini affinché ne comprendano le ragioni ed i benefici e debbono tener conto delle conseguenze che producono, in particolare sulle fasce della popolazione più vulnerabili e molto provate dalla crisi in corso. C’è una domanda di inclusione di cui si deve tener conto con grande attenzione. La società italiana è percorsa da troppe fratture, che drammaticamente la mettono alla prova e sono espressione della grande fragilità nazionale.
- Autonomismo responsabile capace di dare attuazione al principio di sussidiarietà ed insieme di aumentare democrazia e buongoverno. Dobbiamo rimettere mano alla riforma dello Stato per liberare energie esistenti nella società ed insieme combattere gli enormi sprechi di burocrazie e clientele sviluppatesi negli anni.
- Vocazione europea e mondiale dell’Italia, chiamata ad assumere nuovamente un ruolo chiave nella ridefinizione del quadro globale. C’è bisogno di un nostro protagonismo per costruire gli Stati Uniti d’Europa, capaci di programmare un progetto non solo di tenuta ma anche di crescita comune, fuori dai tecnicismi delle burocrazie, affinché l’UE divenga vera potenza globale, capace di assicurare stabilità interna e pace in molte aree del mondo, a partire dalla crisi in Medio Oriente.
Tale progetto comporta scelte politiche contingenti e di medio e lungo respiro.
Innanzitutto – secondo gli auspici del Capo dello Stato – offriamo un convinto sostegno con vigile lealtà al Governo Letta affinché possa operare per tutta questa legislatura. Ciò é nell’interesse del Paese, che ha bisogno di stabilità per profonde riforme, anche costituzionali, prima di tornare alle urne.
Una stagione si sta chiudendo. La nuova non può essere costruita sull’ambizione di ereditare semplicemente una parte del vecchio sistema. Perciò non avrebbe senso partecipare in nessun modo alla trasformazione del PDL o offrire sponda a chi la teorizza anche evocando un presunto “padre nobile”.
Il futuro e’ un partito popolare, democratico, riformista, europeista, in netta discontinuità con la stagione berlusconiana e che in prospettiva si pensa e si organizza in concorrenza con la sinistra, ma degasperianamente alternativo alla destra.
Questo progetto si colloca naturalmente – pur se in modo originale – nell’alveo del Partito Popolare europeo.
Molti cittadini, tra cui tanti elettori e simpatizzanti, potranno essere coinvolti in tale progetto per far evolvere un disegno finora rimasto in fase embrionale. Infatti, il vero cambiamento avviene con la partecipazione dei cittadini e non solo degli eletti delle istituzioni. Tale nostro progetto è possibile solo con tante persone nuove, soprattutto credibili, che devono essere coinvolte attivamente.
Per questo sarà fondamentale un confronto quanto più aperto possibile nei gruppi parlamentari, a cominciare dall’assemblea convocata per oggi e domani, in cui si mettano in discussione le diverse posizioni politiche e non personali. Dobbiamo chiarire senza equivoci il nostro intento di costruire un partito autonomo, oggi e nel futuro, da chiunque rappresenti il modello bipolare a carattere leaderistico che ci ha condotto all’attuale crisi politica. Dalla rigorosa verifica degli obiettivi discendono le scelte organizzative, ivi comprese eventuali divisioni che non possono essere determinate da anacronistiche e illogiche “cacciate” o espulsioni. E insieme dovrà avviarsi una nuova fase della nostra storia comune, caratterizzata da un appello ai tanti che, nella politica come nella società civile, sono alla ricerca di una seria strada da percorrere insieme. Vogliamo chiudere questa stagione delle polemiche interne (tutte accentrate in un gruppo autoreferenziale) per aprirci finalmente ad un autentico confronto con i tanti cittadini che hanno creduto in noi, nel progetto incarnato nelle liste di “Scelta Civica” e di “Con Monti per l’Italia”, e con i tanti che continuano a guardare, sempre più delusi, a ciò che la politica propone per il futuro dell’Italia.
Gli italiani si sentono sempre meno rappresentati dalla politica e, allo stesso tempo, hanno voglia di fare qualcosa per orientare il loro futuro. Il nostro sarà quello di ridare loro rappresentanza sui problemi concreti della loro vita, non con fumosi, astratti o elitari discorsi. Questa rappresentanza si ricostruisce con proposte concrete e serie, ma anche attraverso l’ascolto e il coinvolgimento dei cittadini in un grande progetto. La politica deve tornare a incarnare la voglia che il Paese cresca e la speranza di un futuro migliore per tutti gli italiani.
Roma 15 novembre 2013
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