Che nessuno s’azzardi a partecipare a “riunioni, conferenze o
pubbliche celebrazioni” in cui venga data per certa e acclarata la
credibilità delle apparizioni della Madonna a Medjugorje.
Firmato: Gerhard Ludwig Müller, prefetto della congregazione per la
Dottrina della fede. Destinatari sono i vescovi americani. E’ a loro che
– attraverso una lettera spedita il 21 ottobre scorso dal nunzio negli
Stati Uniti, monsignor Carlo Maria Viganò – il Vaticano dà istruzioni
precise sul come comportarsi relativamente all’affaire Medjugorje.
L’antefatto, prima di tutto. A fine ottobre era previsto un ciclo di
incontri negli stati del New England con Ivan Dragicevic, uno dei
veggenti bosniaci che dal 1981 assicurano di essere in contatto con la
Vergine che trasmetterebbe loro messaggi destinati all’umanità intera.
La mossa di Müller riporta all’attenzione uno dei capitoli più delicati
sul fronte delle apparizioni mariane. Da tre decenni la chiesa tenta di
rispondere al dilemma se quanto si verifica in Erzegovina sia qualcosa
di trascendente, di soprannaturale e divino. Una battaglia aperta che si
trascina di commissione in commissione, di ufficio in ufficio, nel
tentativo di chiarire una volta per tutte se quelle apparizioni possano
essere paragonate ufficialmente agli eventi di Lourdes e Fatima.
Roma chiede silenzio, sa che il dossier scotta, uno di quelli da maneggiare con estrema cura. Anche
tra gli eminentissimi del Sacro collegio non c’è uniformità di vedute:
se l’arcivescovo di Vienna, Christoph Schönborn, è il capofila di quanti
sono convinti che tutto ciò che raccontano i veggenti corrisponda a
verità indiscutibile – ospitò Dragicevic nella cattedrale di Santo
Stefano, ringraziandolo per “il servizio reso in tutti questi anni” –,
in Vaticano sono molti quelli che invitano alla prudenza. Lo stesso
cardinale Camillo Ruini, a capo della commissione internazionale
d’inchiesta istituita nel 2010 da Benedetto XVI, fin dal primo giorno in
cui si è riunito il gruppo d’indagine non ha nascosto le difficoltà, e
ha chiarito che ci sarebbe voluto molto tempo prima di giungere a una
decisione definitiva. I problemi sono molti, dalla difficoltà a
districarsi tra le centinaia di diverse traduzioni dei presunti messaggi
della Vergine (spesso non si riesce più a distinguere quelli ufficiali
dai tanti falsi che circolano), alla netta opposizione del clero locale,
a partire da mons. Ratko Peric, vescovo di Mostar e convinto che a
Medjugorje non ci sia nulla di divino o misterioso. Una posizione di
poco mitigata rispetto a quella espressa nel 1984 (solo tre anni dopo la
prima apparizione sulla collina Crnica) dal suo predecessore, monsignor
Pavao Zanic, che battendo il pugno sul tavolo sostenne che “è tutta una
grande truffa, un inganno. Non ci sono apparizioni della Madonna, lì
c’è il demonio!”.
La linea ufficiale è quella del 1991
Nella lettera spedita dal nunzio Viganò ai vescovi di tutte le diocesi degli Stati Uniti, di diavolo non si parla. Seguendo le istruzioni ricevute da mons. Müller, si spiega solo che finché Roma non dirà l’ultima parola in proposito, è preferibile non farsi vedere in compagnia di veggenti convinti di trasmettere al mondo messaggi della Vergine. Così, mentre la commissione procede con l’inchiesta, da oltretevere si ribadisce la linea ufficiale, che è quella della Conferenza episcopale dell’ex Yugoslavia: “Sulla base dell’indagine condotta, non è possibile stabilire se ci sono state apparizioni o rivelazioni soprannaturali”. La lettera spedita dalla nunziatura di Washington ai vescovi americani non avrebbe dovuto essere divulgata, ma era difficile che potesse rimanere riservata dopo l’improvvisa cancellazione di tutti gli incontri con Ivan Dragicevic programmati nel New England. Qualche network cattolico degli Stati Uniti, a cominciare dal Catholic World News, ipotizza che dietro la missiva inviata da Roma a Viganò ci sia molto di più che un semplice atteggiamento prudenziale. Quel divieto, infatti, non sarebbe altro che una sorta di anticipazione del giudizio definitivo che arriverà prima o poi dalla congregazione per la Dottrina della fede. Un verdetto che, scrive ancora il Catholic World News, potrebbe a questo punto essere negativo. Il problema è che a credere alle apparizioni, ormai, sono milioni di fedeli sparsi nel mondo. Ecco perché, prima di dire l’ultima parola sulla questione, dal Vaticano si procede con la massima cautela.
La linea ufficiale è quella del 1991
Nella lettera spedita dal nunzio Viganò ai vescovi di tutte le diocesi degli Stati Uniti, di diavolo non si parla. Seguendo le istruzioni ricevute da mons. Müller, si spiega solo che finché Roma non dirà l’ultima parola in proposito, è preferibile non farsi vedere in compagnia di veggenti convinti di trasmettere al mondo messaggi della Vergine. Così, mentre la commissione procede con l’inchiesta, da oltretevere si ribadisce la linea ufficiale, che è quella della Conferenza episcopale dell’ex Yugoslavia: “Sulla base dell’indagine condotta, non è possibile stabilire se ci sono state apparizioni o rivelazioni soprannaturali”. La lettera spedita dalla nunziatura di Washington ai vescovi americani non avrebbe dovuto essere divulgata, ma era difficile che potesse rimanere riservata dopo l’improvvisa cancellazione di tutti gli incontri con Ivan Dragicevic programmati nel New England. Qualche network cattolico degli Stati Uniti, a cominciare dal Catholic World News, ipotizza che dietro la missiva inviata da Roma a Viganò ci sia molto di più che un semplice atteggiamento prudenziale. Quel divieto, infatti, non sarebbe altro che una sorta di anticipazione del giudizio definitivo che arriverà prima o poi dalla congregazione per la Dottrina della fede. Un verdetto che, scrive ancora il Catholic World News, potrebbe a questo punto essere negativo. Il problema è che a credere alle apparizioni, ormai, sono milioni di fedeli sparsi nel mondo. Ecco perché, prima di dire l’ultima parola sulla questione, dal Vaticano si procede con la massima cautela.
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