venerdì 15 novembre 2013

Nella terra di mezzo

Nel 1999 due ragazzi americani di buona reputazione e grande avvenire dovevano decidere dove ubicare il quartier generale europeo della loro attività. Arrivarono a Roma, e chiesero di incontrare i rappresentanti del governo italiano. Durante l’incontro, gli venne spiegato che il governo aveva già abbastanza grane con l’Olivetti, non riteneva che l’informatica fosse il futuro e doveva occuparsi delle quote-latte. Larry Page e Sergey Brin, fondatori di Google, andarono a cercare altrove.
Consideratela, per adesso, una leggenda metropolitana: la fonte è ottima,  ma il racconto è di ieri e non ho potuto verificarlo. Anzi, prendetela come la parabola di qualcosa, che molti anni dopo, continua a succedere: i treni digitali passano, e l’Italia li lascia passare. Per incompetenza, spocchia, miopia, pigrizia, fiscalità, burocrazia: ma li lascia passare.
Solo il 17% delle aziende italiane possiede un sito internet, contro il 34% della Spagna (fonte Google Inc.): in Nordeuropa le percentuali sono superiori. Quando l’ho saputo, sono rimasto stupito? Per nulla. Martedì pomeriggio, nei dintorni del “Corriere”, ho incontrato una lobbista (settore energetico), un responsabile della comunicazione (un museo), un consulente (per un centro di formazione): tutt’e tre mi hanno spiegato che i siti delle rispettive organizzazioni non c’erano o non erano aggiornati. Account Twitter o pagine Facebook? Aspetta e spera.
L’economia digitale in Italia vale il 2% del prodotto interno lordo, contro il 4% della media UE. L’economia digitale del Regno Unito, che come finanze pubbliche e private non è messo meglio di  noi, nel 2015 arriverà al 10% del Pil.  Secondo Boston Consulting Group, per ogni posto di lavoro che cancella, il digitale ne crea quasi due (1,8). Del tema si occupa anche Enrico Moretti, giovane professore di economia alla University of California Berkeley, nel libro “The New Geography of Jobs”. Moretti spiega che la scelta della città dove vivere, negli USA, è fondamentale: ci sono San Francisco, Seattle, Austin e ci sono Detroit, Flint, Cleveland. Le prime innovano, la altre arrancano. Le prime creano posti di lavoro, le altre faticano a tenere quelli che hanno. In mezzo, spiega, “sta il resto dell’America, ancora incerto sulla strada da prendere”.
L’Italia è in quella terra di mezzo. Stiamo decidendo; ma il tempo passa, e i concorrenti corrono. Se perdessimo il passo di questa terza rivoluzione industriale sarebbe un disastro e un peccato. Perché pochi Paesi sono adatti al mondo digitale come l’Italia. Abbiamo l’elasticità e la creatività. Abbiamo bellezza artistica da mostrare e bontà enogastronomiche da rivelare. Abbiamo luoghi speciali e formidabili nicchie industriali che aspettano di essere trovate. Internet è lì per questo. Ma noi siamo lì per Internet?

Beppe Severgnini, Corriere della Sera, 14 novembre 2013

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