In Italia quasi un occupato su dieci
lavora nelle attività legate al turismo ed il 10% del Prodotto Interno
Lordo viene generato dal turismo, ma l’attenzione che viene dedicata a
questo settore mobilita meno dell’uno per cento degli interessi della
nostra politica. Non vi è ancora un Ministero effettivamente
responsabile del settore, non vi è una strategia nazionale e il turismo è
sempre invocato ma mai utilizzato nelle decisioni sulle quali puntare
per lo sviluppo del Paese.
Eppure non solo esso ha dimensioni poderose ma continuerà a crescere
nei prossimi anni ad un ritmo superiore a quello di quasi tutti gli
altri settori produttivi. Mentre il numero dei turisti interni rimarrà
probabilmente stagnante, quello dei turisti internazionali è infatti previsto crescere del 5% all’anno.
Non c’è bisogno di ricorrere ad artifici retorici per sottolineare la
nostra eccellenza nelle attrazioni storico-culturali, nelle meraviglie
naturali, nelle unicità enogastronomiche e nel rilievo mondiale del
nostro artigianato.
Nonostante tutto questo sia largamente riconosciuto e l’Italia venga prima nelle preferenze mondiali continuiamo a perdere quote di mercato rispetto ai principali concorrenti europei.
Eravamo al primo posto in Europa ed ora ci troviamo al terzo, dopo la Francia e la Spagna.
Gli Operatori Turistici mondiali continuano a ripetere che nei
desideri della loro clientela non siamo secondi a nessuno ma che la meta
italiana risulta troppo faticosa, costosa ed imprevedibile. La nostra
offerta è frammentata e il sistema dei trasporti per raggiungere
l’Italia (vedi il caso Alitalia) non è all’altezza delle necessità, mentre le sorprese spiacevoli in termini di prezzi e trattamento sono sempre in agguato.
La nostra struttura di promozione all’estero è, per comune ammissione, del tutto inefficiente.
Non perché le risorse impiegate siano trascurabili ma perché
l’esclusiva competenza regionale in materia turistica rende impossibile
una nostra presenza attiva nei mercati mondiali. Le singole regioni
agiscono in modo del tutto autonomo e nessuna di esse ha le risorse per
essere concretamente e costantemente operativa nei mercati mondiali.
Alle fiere internazionali del turismo ci presentiamo con una
molteplicità di piccole presenze che non si traducono in un efficace
presenza sui mercati.
E’ chiaro che la prima decisione da prendere dovrebbe essere quella di riformare di nuovo il Titolo V° della Costituzione
e riportare le competenze in materia a livello nazionale. Un sano
federalismo dovrebbe infatti riconoscere gli errori compiuti. Capisco
che questo non è possibile nel breve periodo ma mi aspetto che, nel loro
interesse, le autorità regionali chiedano e promuovano un forte
coordinamento a livello nazionale. Una specie di competenza condivisa di
fatto.
L’attuale governo possiede già i potenziali contenuti di questo necessario coordinamento avendo ereditato dal ministro Gnudi un progetto di riforma del settore del quale la caduta del precedente esecutivo ha impedito l’approvazione ma che appare in perfetta linea con gli obiettivi del governo attualmente in carica.
Oltre alla riforma della governance del settore e al potenziamento dell’ENIT, il piano prevede
la creazione di alcuni grandi poli turistici integrati, specialmente
nel Mezzogiorno (E’ mai possibile che i turisti nella splendida Sicilia
siano meno di un decimo di quelli delle Baleari?)
Le altre scelte fondamentali riguardano la riqualificazione delle
strutture ricettive, favorendo ad esempio il cambio d’uso degli alberghi
obsoleti e l’ingresso nel settore di capitali italiani e stranieri,
partendo dal fatto che il nostro è l’unico grande paese turistico nel
quale non opera in modo diffuso alcuna grande catena di alberghi, per
cui il turista non riesce mai a prevedere quali trattamenti riceverà
nella sua prossima tappa.
L’ultimo punto importante riguarda l’investimento nelle risorse umane qualificate
necessarie per fare progredire il settore, incluso il necessario
processo di digitalizzazione e il legame con le nostre risorse
artistico-culturali. Si noti che il Decreto Sviluppo dell’agosto 2012 aveva all’uopo costituito una Fondazione che si è poi impantanata nelle paludi burocratiche.
Il raggiungimento di quest’ultimo obiettivo sarà certamente favorito
dal fatto che le competenze per il Turismo sono in via di passaggio al
Ministero per i Beni e le Attività Culturali, che ha perciò la felice
occasione di valorizzare il patrimonio ad esso affidato con mezzi e
strumenti che vanno oltre a quelli tradizionalmente utilizzati.
Per il ministro Bray e il governo Letta questa è certo l’occasione da
non perdere per moltiplicare l’efficacia della sua presenza in un campo
anch’esso tenuto troppo spesso ai margini degli obiettivi di sviluppo e
di occupazione dell’Italia. Dando concretezza alle azioni previste nel
Piano si dovrebbero infatti realisticamente creare 500.000 nuovi posti
di lavoro, con un aumento del PIL di 30 mila miliardi.
Mi sembra che sia tempo di portare il nostro turismo nella modernità, superando finalmente il giudizio che Goethe
dava del nostro Paese quando ben 200 anni fa scriveva che “si trovano
a” “Roma (ma intendeva in tutt’Italia) vestigia di una magnificenza e di
uno sfacelo tali che” “superano,l’una e l’altro, la nostra
immaginazione”.
Per ora non so se camminiamo verso lo sfacelo. Sono però sicuro che non ci dirigiamo ancora verso la magnificenza.
Romano Prodi, Il Messaggero, 11 novembre 2013
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