martedì 8 febbraio 2011

multiculturalismo e identità: il pensiero di Cameron Diaz

Oggi voglio fare alcune riflessioni sul terrorismo, ma prima permettetemi di chiarire un punto. Secondo alcuni, rimettendo in discussione i temi della sicurezza e della difesa strategica, la Gran Bretagna sta in qualche modo rinunciando a un ruolo attivo nel mondo. Questa affermazione è esattamente l'opposto della verità: sì, stiamo facendo i conti con un buco nel nostro bilancio, ma ci stiamo anche assicurando che le nostre difese siano forti.

La Gran Bretagna continuerà a rispettare il limite minimo per le spese della Difesa, fissato al 2 per cento dalla Nato. Continueremo ad avere il quarto bilancio militare al mondo per grandezza. Allo stesso tempo, stiamo facendo fruttare meglio i soldi spesi, concentrandoci sulla prevenzione dei conflitti e costruendo un esercito più flessibile. Non è una ritirata, è un atto di realismo. Ogni decisione che prendiamo deve rispettare tre obiettivi: continuare a sostenere la missione Nato in Afghanistan; rinforzare la nostra capacità militare effettiva; assicurarci che la Gran Bretagna sia protetta dalle minacce che dobbiamo fronteggiare, nuove e molteplici.

La minaccia più grave è rappresentata dagli attacchi terroristici, alcuni portati a termine da nostri cittadini. E' importante chiarire come il terrorismo non sia legato esclusivamente a una religione o a un gruppo etnico, ma dobbiamo riconoscere che in Europa questa minaccia viene principalmente da giovani che seguono un'interpretazione dell'islam distorta e perversa, che li rende pronti a farsi esplodere e a uccidere i loro concittadini. Oggi il mio messaggio sulla sicurezza è duro ed essenziale: non sconfiggeremo il terrorismo soltanto con quello che facciamo fuori dai nostri confini.

L'Europa ha bisogno di svegliarsi per quanto riguarda ciò che sta succedendo nei suoi paesi. Dobbiamo andare alla radice del problema, e dobbiamo essere chiari su quale sia l'origine di questi attacchi terroristici: l'esistenza di un'ideologia, l'islamismo radicale. Bisogna essere molto chiari anche su cosa significhi questa espressione, e distinguerla dall'islam, che è una religione professata in maniera pacifica da oltre un miliardo di persone.

L'islamismo radicale è un'ideologia politica portata avanti da una minoranza, ai cui estremi ci sono quelli che si servono del terrorismo per raggiungere il loro obiettivo definitivo: un regno islamico, governato secondo l'interpretazione della sharia. Se ci si muove lungo questo spettro, si trovano persone che in linea di massima sono contrarie alla violenza, ma che accettano buona parte del pensiero degli estremisti, inclusa l'ostilità verso le democrazie occidentali e i valori liberali. La distinzione tra ideologia politica e religione è fondamentale. La gente le mette sullo stesso piano, pensando che quanto più uno è osservante, tanto più sarà estremista. Ma si può benissimo essere un musulmano devoto e non essere un estremista.

Dobbiamo essere chiari: l'estremismo degli islamisti e l'islam non sono la stessa cosa. L'estrema destra, da una parte, ignora la distinzione tra islam e islamisti radicali, e si limita a dire che islam e occidente sono inconciliabili, che c'è uno scontro di civiltà. Da questo ne conclude che dovremmo tagliare i rapporti con questa religione, a costo di ricorrere ai rimpatri forzati o al divieto di costruzione di nuove moschee, come viene suggerito in molte parti d'Europa.

Questa gente diffonde l'islamofobia, e io rigetto completamente le loro ragioni. Se volessero un esempio di come i valori occidentali e l'islam siano compatibili, dovrebbero guardare a cosa sta accadendo nelle ultime settimane nelle strade di Tunisi o del Cairo: centinaia di migliaia di persone che chiedono il diritto universale a elezioni libere e alla democrazia. Il punto è questo: l'ideologia estremista è il problema, l'islam non lo è nella maniera più assoluta. Combattere con quest'ultimo non ci sarà di aiuto per combattere il primo.

Dall'altra parte, anche quelli della sinistra ignorano questa distinzione. Mettono tutti i musulmani insieme, compilando una lista di lagnanze e sostenendo che se solo i governi rispondessero alle loro rivendicazioni, gli attacchi terroristici si fermerebbero. Insistono sulle condizioni di povertà in cui molti musulmani vivono e dicono: "Fatela finita con questa ingiustizia e il terrorismo finirà".

Ma ignorano il fatto che molti di quelli che sono stati condannati per terrorismo in Gran Bretagna e nel resto del mondo sono laureati e spesso appartengono alla classe media. Accusano i leader mediorientali che governano senza essere stati eletti e dicono: "Se la smetterete di appoggiare queste persone non creerete più le condizioni su cui gli estremisti prosperano".

Ma se il problema è la mancanza di democrazia, perché molti di questi estremisti stanno in società libere e tolleranti? Ora, non sto dicendo che le questioni della povertà e del malcontento sulla politica estera non siano importanti. Certo, dobbiamo affrontarle entrambe. Quanto all'Egitto, la nostra posizione deve essere chiara: vogliamo vedere la transizione a un governo a base più ampia, che abbia in sé i presupposti essenziali di una società libera e democratica. Non posso accettare che si ponga una scelta obbligata tra due sole opzioni: o uno stato di sicurezza oppure uno stato islamista.

Ma non dobbiamo illuderci. Anche se riuscissimo a risolvere tutti i problemi che ho menzionato, il terrorismo continuerebbe a esistere. Io credo che la radice del problema stia nella presenza di questa ideologia estremista. E ritengo che uno dei principali motivi per cui così tanti giovani musulmani ne sono attratti sia in sostanza una questione di identità. Nel Regno Unito, alcuni giovani hanno difficoltà a riconoscersi nell'islam tradizionale seguito dai loro genitori nei paesi d'origine. Ma questi giovani hanno altrettante difficoltà a riconoscersi nella Gran Bretagna, perché noi stessi abbiamo permesso che si verificasse un indebolimento della nostra identità collettiva.

Con la dottrina del multiculturalismo abbiamo incoraggiato le diverse culture a vivere in modo separato, sia l'una rispetto all'altra sia rispetto a quella principale. Non siamo stati capaci di offrire una visione della società alla quale possano desiderare di appartenere. Così, quando una persona di razza bianca esprime opinioni inaccettabili, come ad esempio teorie razziste, noi, giustamente, la critichiamo e la condanniamo. Ma quando opinioni altrettanto inaccettabili sono espresse da una persona di razza diversa, siamo estremamente cauti, per non dire timorosi, nel condannarla.

Un esempio concreto? Non aver saputo affrontare in modo concreto la crudeltà del matrimonio coatto. Questa nostra indifferente tolleranza è servita soltanto a rafforzare l'impressione che non ci siano valori realmente condivisi. E questo lascia alcuni giovani musulmani con la sensazione di essere privi di radici. E la ricerca di qualcosa in cui riconoscersi e in cui credere può spingerli ad aderire a questa ideologia estremista. Ora, senza dubbio, non si trasformano automaticamente in terroristi; ma ci troviamo comunque di fronte a un processo di radicalizzazione, come si può facilmente vedere in parecchi paesi europei.

Ora, qualcuno potrebbe dire: "Finché non fanno male a nessuno, qual è il problema?". Ve lo spiego subito. Man mano che si scopre il retroterra culturale delle persone condannate per atti terroristici, appare chiaro che molti di essi sono stati inizialmente influenzati dai cosiddetti "estremisti non violenti" e solo successivamente hanno ulteriormente estremizzato le loro idee fino ad abbracciare la violenza. E io penso che questo sia come un'accusa all'atteggiamento che abbiamo mantenuto in passato su questi problemi.

Perciò, se vogliamo davvero sconfiggere la minaccia terrorista, credo che sia giunto il momento di voltare pagina e abbandonare le infruttuose politiche adottate finora. Per prima cosa, anziché ignorarla, i governi e le società devono affrontare con decisione l'ideologia estremista, in tutte le sue forme. In secondo luogo, invece di incoraggiare le diverse comunità a vivere separate l'una dall'altra, dobbiamo creare un senso di identità nazionale comune che sia aperto a tutti. Consideriamo questi due punti uno per uno.

Primo, affrontare e neutralizzare l'ideologia estremista. Indipendentemente dal fatto se ricorrano a mezzi violenti oppure no, dobbiamo impedire a tutti gli estremisti di realizzare le proprie ambizioni. I governi, naturalmente, hanno a propria disposizione alcuni strumenti per farlo: devono proibire ai predicatori dell'odio di entrare nei loro paesi. Devono bandire le organizzazioni che incitano al terrorismo in patria e all'estero. E devono assumere un atteggiamento più accorto nei confronti di coloro che, sebbene non-violenti, spesso rappresentano una parte essenziale del problema.

Alcune organizzazioni che cercano di presentarsi come un ponte di accesso alle comunità musulmane sono riempite di denaro pubblico anche se non fanno nulla di concreto per combattere l'estremismo. Dobbiamo valutare in modo adeguato queste organizzazioni: credono nel principio dei diritti umani universali (comprese le donne e le popolazioni di fede diversa)? Credono nell'uguaglianza di tutti di fronte alla legge? Credono nella democrazia e nel diritto dei popoli di eleggere il proprio governo? Promuovono l'integrazione o incoraggiano la separazione?
Sono queste le domande che dobbiamo porre. E se non otteniamo risposte positive non dobbiamo intrattenere alcun rapporto con tali organizzazioni. Dobbiamo anche impedire a queste organizzazioni di penetrare e fare adepti in istituzioni pubbliche come le università o persino, come nel caso britannico, le carceri. Ora, secondo alcuni, questo non sarebbe compatile con il principio della libertà di parola e di ricerca intellettuale. Ebbene, rispondo io a costoro: sareste della stessa opinione anche se fossero degli estremisti di destra a fare nuovi adepti nei campus? Predichereste il non-intervento anche se nelle nostre prigioni fossero i fondamentalisti cristiani a guidare gruppi di preghiera nei quali si proclami che i musulmani sono nostri nemici?
Dobbiamo dire chiaramente che il terrorismo è sbagliato in qualsiasi circostanza. E dobbiamo dire con altrettanta chiarezza che le profezie su una globale guerra di religione dei musulmani contro il resto del mondo sono una totale assurdità. Ma i governi non sono in grado di fare questo da soli. L'estremismo che dobbiamo affrontare è una distorsione dell'islam; perciò la battaglia deve essere combattuta e guidata da coloro che sono all'interno dell'islam. Insomma, dobbiamo dare voce ai musulmani presenti nei nostri paesi che detestano gli estremisti e la loro visione del mondo.
Dobbiamo coinvolgere le organizzazioni che condividono le nostre stesse aspirazioni. 

In secondo luogo, dobbiamo costruire nella nostra stessa patria una società più solida è un senso di identità più forte. Per dirlo in termini schietti, dobbiamo abbandonare la tolleranza passiva degli ultimi anni e assumere un atteggiamento di più attivo ed energico liberalismo. Una società passivamente tollerante ai propri cittadini dice: finché obbedite alla legge vi lasciamo fare ciò che volete. Mantiene una posizione neutrale di fronte a tutti i diversi valori. Io invece penso che una società realmente liberale deve fare molto di più: poiché crede in certi valori, si adopera attivamente per promuoverli.

La libertà di parola, la libertà di culto, la democrazia, lo stato di diritto, la parità dei diritti indipendentemente dalla razza, il sesso o l'orientamento sessuale. Una società di questo tipo ai propri cittadini dice: questi sono i valori che ci definiscono come società; per appartenervi bisogna credere in essi. Ognuno di noi, nel proprio paese, deve mantenere un atteggiamento chiaro e deciso su questa difesa della nostra libertà. Ci sono anche alcune cose pratiche che possiamo fare. Tra queste, impegnarci affinché tutti gli immigrati parlino la lingua della loro nuova patria e che siano istruiti secondo gli elementi di una cultura comune e nei termini di un medesimo percorso di studi.

In Gran Bretagna stiamo lanciando il National Citizen Service: un programma in cui giovani sedicenni provenienti da diversi retroterra culturali vivono e lavorano insieme per un periodo di due mesi. Credo che dobbiamo anche incoraggiare una partecipazione più attiva alla vita della società sottraendo parte dei poteri allo stato e riaffidandoli nelle mani della gente. Se, all'interno dei propri quartieri, la gente si riunisce e collabora si può creare un obiettivo comune. Servirà anche a rafforzare l'orgoglio per la propria identità locale, appunto perché ognuno si sentirà libero di dire: "Sì, sono un musulmano - oppure un indù o un cristiano - ma anche un londinese - o un berlinese".

E' questo senso di identità, il sentimento di appartenenza al proprio paese, la chiave per ottenere una autentica integrazione e coesione. Perciò, voglio terminare con le seguenti parole. Ci è piovuto addosso un terrorismo indiscriminato. Non può essere ignorato o contenuto. Dobbiamo affrontarlo con fiducia e decisione. Combattere l'ideologia che lo guida e che deforma le menti di così tanti giovani; e risolvere il deficit di identità che la sostiene offrendo una più ampia e generosa visione di cosa significhi essere un cittadino dei nostri paesi.

Abbiamo bisogno di forza, pazienza e capacità di sopportazione, e non ci riusciremo mai se agiremo da soli. In gioco non è soltanto la nostra vita, ma il nostro stesso modo di vivere. Proprio per questo si tratta di una minaccia che non possiamo ignorare o evitare. Dobbiamo invece combatterla e sconfiggerla. Grazie.

Discorso del premier britannico David Cameron alla conferenza di Monaco sulla sicurezza (sabato 5 febbraio 2011)


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