martedì 3 giugno 2014

Urlo di dolore


Corrado Passera, 59 anni, sta parlando con Libero quando arriva il «conto» dei primi mesi del governo Renzi: la Commissione europea chiede altri «sforzi» che non sembrano escludere ulteriori manovre già per l’anno in corso. L’ex numero uno di Banca Intesa, ex ministro di Mario Monti oggi impegnato nel lancio del movimento «Italia unica », non mostra stupore: «Tutto sommato l’Europa ci ha trattato bene, visto che abbiamo mandato a Bruxelles un Def dove continuano ad aumentare le spese correnti dello Stato, dove gli investimenti continuano a diminuire e dove le riforme strutturali si annunciano soltanto. Gli otto richiami sono comunque un monito forte». Passo indietro. Il colloquio con Passera partiva dal dibattito lanciato da questo quotidiano sulla condizione del centrodestra italiano, bastonato dal voto delle Europee. Del futuro politico dell’ex ad di Poste (nominato dal governo Prodi con Ciampi al Tesoro) si ragiona da quando ruppe, alla fine dell’esecutivo Monti, col Professore. Si parte da lì per capire i passi che intende muovere.

Fine 2012, Monti è premier uscente e lei ministro allo Sviluppo. È trascorsa un’era politica, eppure è solo un anno e mezzo fa. Cosa accadde e perché decise di non salire in campo col Professore? E oggi, cosa vuole fare?
«Alla partenza di Scelta civica decisi senza dubbi di non farne parte: non vedevo la forte novità di cui c’era bisogno e che avevo messo come condizione per il mio impegno. Il mio fu un “no” alle vecchie facce e alle combinazioni esistenti. Montezemolo, Casini e Fini convinsero l’allora premier a entrare in un cartello elettorale di partiti e leader esistenti, e scelsi di non starci».

Lo 0,72% alle Europee di ciò che resta del simbolo montiano l’avrà fatta sorridere…
«Un insuccesso inevitabile: non c’erano né grandi leadership né grandi idee in quel progetto».

Lo stesso voto del 25 maggio ha fotografato una situazione molto critica nell’area del centrodestra. Libero ha avviato una discussione su idee e facce per la «rifondazione ». In questo contesto Silvio Berlusconi è ancora un nome proponibile?
«Bisogna rispettare la storia delle persone, ma avere il coraggio di dare un segnale di rinnovamento. Sono gli italiani a bocciare l’attuale offerta politica del centrodestra».

Assomiglia a un “no”. Perché ha stravinto Renzi allora?
«Per alcune ragioni solide: è impossibile non riconoscere la capacità del premier di dare una forte sensazione di energia e ottimismo dopo governi tristi e stanchi. Ma anche per condizioni irripetibili: la “sindrome Grillo” ha fatto sì che il Pd fosse percepito come unica alternativa al pericolo istituzionale che sembrava crearsi con un trionfo del Movimento 5 Stelle.
È stata una campagna elettorale di acquisto voti: gli 80 euro - che non sono 80 - hanno sicuramente convinto molti a votare Renzi. Ma la ragione principale del successo è stata un’altra: Renzi ha sostanzialmente giocato a porta vuota per mesi. E questo spiega perché metà degli italiani non ha votato, o ha votato scheda bianca o nulla. Non si ritrovano nelle offerte politiche disponibili. Il 40% del Pd va letto come il 20% degli elettori: in valore assoluto, un milione di voti in meno di quando Veltroni raggiunse il record del 33%».

Vede a rischio il bipolarismo? Le sta a cuore la ricostituzione di un’offerta politica di centrodestra in Italia? E su che basi? «Proprio perché è a rischio, serve un bipolarismo vero costruito sulle due grandi famiglie politiche: socialisti e liberali-popolari. Se i primi hanno dato mostra di sapersi riorganizzare, pur con vari limiti, dall’altra parte per ora si vede ben poco, e anche con scarsa capacità di autocritica. L’attuale frammentazione, la radicalizzazione delle posizioni e l’asservimento a Renzi non potrebbero che spingere altri indecisi verso il Pd».

Il riferimento a Lega e Ncd è piuttosto esplicito… Quali sono i pilastri su cui costruire un’offerta politica di questo tipo? Il 14 giugno lei terrà la convention di Italia unica: cosa dirà e farà?
«Il nostro viaggio è partito in febbraio dopo mesi di preparazione e vuole essere un grande richiamo allo sviluppo, una risposta all’urlo di dolore di 10 milioni di persone che non hanno lavoro o sono prive di un lavoro sufficiente, alle aziende forti che possono trainare la ripresa e alle tantissime in difficoltà. 400 miliardi da mobilitare tra investimenti, credito e soldi in tasca a imprese e famiglie. Cinquanta miliardi di tasse in meno per famiglie e imprese. Modello di sviluppo basato su istruzione, sviluppo, cultura e ambiente ».

Renzi sottoscriverebbe…
«Non direi. Il Def prevede ben 50 miliardi di aumento delle spese correnti dello Stato, e un taglio ulteriore degli investimenti, cioè l’esatto opposto di quel che sto dicendo. Così sarà impossibile tagliare le tasse. Vogliamo uno Stato davvero leggero: qui invece vedo tentativi di riforme di Senato e province dove non cambia nulla.
Portiamo il Parlamento a una sola Camera, e facciamo uscire i partiti da imprese, Rai, sanità. Dovunque io sia stato durante il viaggio, la sensazione è di soffocamento da burocrazia. C’è tanta energia da liberare. Abbiamo progetti per dare soluzioni economiche e istituzionali, e il 14 giugno queste proposte diventeranno un cantiere offerto alla politica e al governo ».

Considera questo governo un interlocutore? Renzi ha parlato di un partito della Nazione, capace di attrarre anche a destra.
«Faccia quel che crede ma non c’è democrazia moderna senza una reale offerta bipolarista. Mi pare che questa del partito della Nazione sia l’ennesima deriva populista. L’Italicum non va bene per questo: forza a combinazioni troppo eterogenee e non dà governabilità».

Farebbe il premier?
«Nasce un cantiere aperto, un primo gruppo. Non c’è limite a quel che può diventare. A partire dal programma noi ci siamo e io ci sono».

Se il centrodestra decidesse di darsi un leader con le primarie, sfiderebbe Berlusconi, Alfano, Salvini o chi per loro?
«Guardi, io voglio creare una cosa che oggi non c’è. Primarie per mettersi alla guida di contenitori vecchi non mi interessano. Ci vuole un progetto per ridare agli italiani che da 20 anni aspettano la rivoluzione liberale una ragione per un nuovo impegno. Allora si potrà anche parlare di primarie».

Quando si voterà?
«Tra l’anno prossimo e il 2018, comunque noi ci saremo. Italia Unica è un progetto di lungo respiro. Ora parlano di governo di legislatura, ma i tempi potrebbero essere più brevi se si andasse avanti con la politica degli ultimi tre mesi. Sarebbe la crisi economica e sociale a forzare il ritorno alle urne».

Alcune ricostruzioni attribuiscono a lei un progetto economico diffuso alla fine del governo Berlusconi in cui avanzava la proposta di una patrimoniale.
«L’estate 2011 vedeva l’Italia scivolare verso il commissariamento. In ogni sede avevo ipotizzato una patrimoniale alternativa alla property tax, poi realizzatasi con l’Imu, per finanziare il riavvio degli investimenti. Tre anni dopo, è inimmaginabile parlare di qualsiasi nuova tassa, e tantomeno di patrimoniale».

Nell’ultima campagna, Lega a parte, il problema del ruolo dell’Italia in Europa e quello della moneta unica non è stato posto. Eppure Draghi insiste su temi fin qui riservati agli «anti- euro»: il cambio forte, la deflazione. È così folle ragionare su una disarticolazione dell’euro?
«Considero una grave responsabilità non aver parlato di Europa e di euro, tanto più alla luce del semestre di presidenza. L’Europa è il nostro contesto per garantire pace, prosperità e un ruolo da grande potenza nei prossimi decenni. Sono stati fatti passi importanti ed errori, fin dall’introduzione dell’euro e poi allo scoppio della crisi.
Oggi però la Bce sta diventando una vera banca centrale e sono certo che riporterà il valore dell’euro più vicino al punto di partenza, e garantirà liquidità al mercato legandola all’effettiva erogazione del credito alle imprese. È ora di avviare un piano straordinario di 1.000 miliardi di euro da finanziare solidalmente (eurobond, Bei) per far fare un salto in avanti alla competitività del sistema Europa».

Lei da ministro si è speso per il saldo dei debiti della PA. Come si sta comportando Renzi? «Grandissima delusione: il suo impegno è finito nelle pastoie burocratiche. Il modo per pagare subito c’è, la Spagna lo ho mostrato».

Tanti progetti, ma non rischia di finire contro il muro del 3% che sta inguaiando Renzi? «Possiamo rimettere in moto l’economia italiana senza deroghe. Mi fanno un po’ ridere quelli che insistono coi “pugni sul tavolo”. Per difendere i nostri diritti in Ue dobbiamo essere credibili, presentare riforme profonde e dimostrare la volontà di realizzarle».

Due indagini relative al suo lavoro precedente sono state archiviate, un’altra è aperta. Teme condizionamenti dai pm? «No. Guidare aziende con 100 mila dipendenti comporta responsabilità rilevanti. Con la magistratura abbiamo sempre collaborato e sempre si è dimostrata la linearità dei miei comportamenti».

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