Tobias Bayer per "Die Welt" – del 23 gennaio 2015
È
la carta con cui ha più familiarità, e la gioca. Il primo ministro
italiano Matteo Renzi (40 anni) ha invitato la cancelliera Angela Merkel
a Firenze. È la città di Renzi, è qui che ha iniziato la sua
stupefacente carriera prima come presidente della Provincia e poi come
Sindaco.
Matteo
Renzi tiene il ricevimento alla Galleria dell’Accademia. Ha fatto
posizionare il podio davanti alla statua del David di Michelangelo. Il
primo ministro italiano si è infilato un abito blu, Merkel invece porta
un blazer turchese. Renzi si gira di lato e indica il Davide, che
sovrasta come un gigante i due politici.
Per Renzi, David è un “simbolo”, l’Europa sta per “bellezza”. Dopotutto – sostiene Renzi - non si può parlare solo di economia: “dobbiamo rieducare l’Europa”.
Il luogo è stato scelto astutamente. Rinascimento nel 21esimo secolo,
bellezza anziché economia – solo in una città sensuale come Firenze i
tedeschi possono lasciarsi trasportare così. Davanti a una scenografia
come il David di Michelangelo, gli Uffizi, Palazzo Vecchio e Ponte
Vecchio, addirittura la fredda cancelliera per un attimo si dimentica
della turpe attualità.
L’Eurozona
rischia di sprofondare. La Germania è sempre più sola nel suo insistere
sulla disciplina di bilancio. Sono altri nel frattempo a dettare il
tono. L’esempio più recente: la banca centrale europea (BCE) avvia
nonostante l’opposizione tedesca il Quantitative Easing. La
banca centrale comprerà 60 miliardi di euro di debito pubblico al mese.
Per molti cittadini tedeschi, che tengono ai propri risparmi, è una cosa
parecchio difficile da sopportare.
I
timori dei tedeschi per la perdita di valore della valuta sono forti, e
interessano da vicino l’Italia. La terza economia dell’eurozona ansima
sotto una montagna di debiti da oltre 2.000 miliardi di euro. La
crescita è necessaria e urgente, in modo da ridurre i debiti. Ma il
Paese semplicemente non riesce a decollare. Mentre ad esempio la Spagna
sta lentamente risalendo la china, l’Italia è scivolata nella terza
recessione dal 2008.
I
tedeschi dall’Italia vogliono vedere riforme, riforme, riforme. Eppure
ecco che si risvegliano i ricordi dell’estate 2011. Fu in quel periodo
che l’Italia entrò nel mirino dei mercati finanziari. L’allora primo
ministro Silvio Berlusconi prometteva solennemente riforme. A quel punto
venne in soccorso la BCE comprando debito pubblico italiano – e
Berlusconi accantonò le riforme.
Renzi
è seduto a Palazzo Chigi da febbraio. Poco dopo l’inizio del suo
mandato, promette una riforma al mese. A una conferenza stampa d’eserdio
fa vorticare slides manco fosse un consulente di McKinsey. Poco dopo, a
marzo, vola a Berlino – e la Merkel è molto colpita dal giovane
prodigio toscano. “Sono senz’altro impressionata”, cinguetta Merkel, “si
tratta di un cambio strutturale. Gli auguro di avere successo e un
piglio vigoroso”.
Quasi
un anno dopo, Renzi promette che, nonostante un sostegno da 40 miliardi
dalla BCE, non intende venir meno al suo programma di riforme. Tutto
l’opposto: “Questo ci impegna a proseguire ancora più decisamente di prima”, dice Renzi. “Dobbiamo mettere il turbo”. La Merkel annuisce convinta, il modo di lavorare di Roma l’ha a suo dire “tranquillizzata”.
Renzi
dopotutto ha sempre con sé un’agendina su cui annota i progressi delle
singole riforme. Grazie a lui – spiega Merkel – la cancelliera è
diventata un’esperta del processo legislativo italiano. Merkel loda
Renzi: “Questo modo di lavorare infonde fiducia. Nessuna banca centrale al mondo può sostituire la politica”.
In
ogni caso, non si può accusare Renzi di immobilismo. Negli undici mesi
da primo ministro ha aggredito molti dossier. Il mercato del lavoro, la
pubblica amministrazione, la giustizia e la legge elettorale. Anche lui
ne è entusiasta, il suo bilancio è a suo dire “straordinario”. Ma c’è
una cosa che non dice: non ha concluso granché.
L’Italia
sotto Renzi è l’equivalente di un cantiere piuttosto caotico. La
riforma del lavoro, che Renzi ha battezzato “Jobs Act” per accostarsi al
presidente USA Obama, è stata licenziata dal Parlamento, ma ancora
mancano i decreti attuativi. Il dibattito parlamentare volge alle
battute finali, e non è per nulla chiaro che sembianze assumerà. Le
riforme della giustizia e della PA si fanno attendere.
Tutto
quello che ha a che fare con Renzi è controverso e ricco di polemiche.
In parte questo è dovuto all’Italia, che è un Paese complesso e
intricato. Ma è dovuto anche alla leadership di Renzi. Renzi non discute
a lungo, ma impone la linea. Già da sindaco era così, ed è rimasto
fedele a questa impostazione come capo del governo. Tutto ciò che è
prioritario è accentrato a Palazzo Chigi, la diversità di vedute non è
tollerata.
Alla
fine del 2014, il governo Renzi ha licenziato 185 leggi, di cui 53 sotto
forma di decreti emergenziali. Spesso Renzi chiede la fiducia per
accorciare la discussione in Parlamento. “Renzi è l’equivalente del fast food, non si può che imputargli superficialità”,
dice Francesco Galietti, fondatore del laboratorio di analisi Policy
Sonar. Il suo maggior risultato economico fin qui? 80 euro in più al
mese per dieci milioni di redditi bassi. E quasi a ogni conferenza
stampa o talk show Renzi non manca di lodare la beneficienza da 80 euro
come rivoluzionario pacchetto congiunturale.
I
temi più spinosi, Renzi preferisce invece accantonarli. Come la
“spending review”. Carlo Cottarelli era stato chiamato dal Fondo
Monetario Internazionale (FMI) per tagliare la spesa pubblica. L’Italia
spende ben 800 miliardi all’anno, di cui una grossa parte se ne vanno in
pensioni e sanità. Come commissario alla spesa pubblica, Cottarelli
sforna un piano dopo l’altro, mette a punto una minuziosa lista di spese
da sforbiciare, aggiorna febbrilmente il suo blog – ma proprio con
Renzi non riesce a fare breccia.
Il
primo ministro si circonda di una armata di consulenti economici con
idee ben diverse da quelle dell’uomo del FMI. In breve tempo,
Cottarelli non c’è più e le sue carte finiscono a prendere polvere nei
cassetti.
Ma
il capitolo più complicato è soprattutto la gestione delle nomine di
Renzi […] i giornali hanno coniato per gli amici e consulenti più
stretti di Renzi l’espressione “giglio magico”. Da sindaco, Renzi era
solito mettere i suoi fedeli nelle posizioni critiche. È così che
sistema l’avvocato Maria Elena Boschi nel consiglio di amministrazione
dell’acquedotto municipale, mentre Filippo Bonaccorsi è nominato
assessore alle infrastrutture.
Quando
diventa primo ministro, Renzi porta i suoi fidi a Roma. La Boschi
diventa ministro per le riforme costituzionali, Bonaccorsi viene
imbarcato al ministero dell’istruzione. Luca Lotti, braccio destro di
Renzi a Firenze, segue a sua volta il suo capo nella capitale. Come
sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, è responsabile
dell’editoria.
È
lecito dubitare dell’adeguatezza degli amici di Renzi per i nuovi
incarichi. Eclatante, in particolare, il caso di Antonella Manzione: in
precedenza era il capo della polizia municipale di Firenze, mentre oggi è
responsabile del dipartimento legislativo di Palazzo Chigi. Ma che
c’entra la vigilessa con il legislativo?
Ma
davanti al David queste domande impallidiscono. Renzi non parla della
Manzione, ma di Michelangelo. Quando gli viene chiesto della sua ansia
riformatrice, risponde con un aneddoto sull’artista. “Come chiunque in toscana, quello era un po’ pazzo”, dice Renzi.
“Quando qualcuno gli chiedeva come facesse a realizzare capolavori come
il David, rispondeva: ‘è molto semplice, devo solo togliere il marmo in
eccesso’”.
E
come fa Michelangelo con il marmo, così fa Renzi con l’Italia. Renzi e
Merkel si accomiatano con un bacetto prima sulla guancia destra, poi su
quella sinistra. Angela si fida del suo Matteoangelo.
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