domenica 25 gennaio 2015

Cosa pensano i tedeschi di Matteo Renzi

Tobias Bayer per "Die Welt" – del 23 gennaio 2015


È la carta con cui ha più familiarità, e la gioca. Il primo ministro italiano Matteo Renzi (40 anni) ha invitato la cancelliera Angela Merkel a Firenze. È la città di Renzi, è qui che ha iniziato la sua stupefacente carriera prima come presidente della Provincia e poi come Sindaco.

Matteo Renzi tiene il ricevimento alla Galleria dell’Accademia. Ha fatto posizionare il podio davanti alla statua del David di Michelangelo. Il primo ministro italiano si è infilato un abito blu, Merkel invece porta un blazer turchese. Renzi si gira di lato e indica il Davide, che sovrasta come un gigante i due politici.

Per Renzi, David è un “simbolo”, l’Europa sta per “bellezza”. Dopotutto – sostiene Renzi - non si può parlare solo di economia: “dobbiamo rieducare l’Europa”. Il luogo è stato scelto astutamente. Rinascimento nel 21esimo secolo, bellezza anziché economia – solo in una città sensuale come Firenze i tedeschi possono lasciarsi trasportare così. Davanti a una scenografia come il David di Michelangelo, gli Uffizi, Palazzo Vecchio e Ponte Vecchio, addirittura la fredda cancelliera per un attimo si dimentica della turpe attualità.

L’Eurozona rischia di sprofondare. La Germania è sempre più sola nel suo insistere sulla disciplina di bilancio. Sono altri nel frattempo a dettare il tono. L’esempio più recente: la banca centrale europea (BCE) avvia nonostante l’opposizione tedesca il Quantitative Easing. La banca centrale comprerà 60 miliardi di euro di debito pubblico al mese. Per molti cittadini tedeschi, che tengono ai propri risparmi, è una cosa parecchio difficile da sopportare.

I timori dei tedeschi per la perdita di valore della valuta sono forti, e interessano da vicino l’Italia. La terza economia dell’eurozona ansima sotto una montagna di debiti da oltre 2.000 miliardi di euro. La crescita è necessaria e urgente, in modo da ridurre i debiti. Ma il Paese semplicemente non riesce a decollare. Mentre ad esempio la Spagna sta lentamente risalendo la china, l’Italia è scivolata nella terza recessione dal 2008.

I tedeschi dall’Italia vogliono vedere riforme, riforme, riforme. Eppure ecco che si risvegliano i ricordi dell’estate 2011. Fu in quel periodo che l’Italia entrò nel mirino dei mercati finanziari. L’allora primo ministro Silvio Berlusconi prometteva solennemente riforme. A quel punto venne in soccorso la BCE comprando debito pubblico italiano – e Berlusconi accantonò le riforme.

Renzi è seduto a Palazzo Chigi da febbraio. Poco dopo l’inizio del suo mandato, promette una riforma al mese. A una conferenza stampa d’eserdio fa vorticare slides manco fosse un consulente di McKinsey. Poco dopo, a marzo, vola a Berlino – e la Merkel è molto colpita dal giovane prodigio toscano. “Sono senz’altro impressionata”, cinguetta Merkel, “si tratta di un cambio strutturale. Gli auguro di avere successo e un piglio vigoroso”.

Quasi un anno dopo, Renzi promette che, nonostante un sostegno da 40 miliardi dalla BCE, non intende venir meno al suo programma di riforme. Tutto l’opposto: “Questo ci impegna a proseguire ancora più decisamente di prima”, dice Renzi. “Dobbiamo mettere il turbo”. La Merkel annuisce convinta, il modo di lavorare di Roma l’ha a suo dire “tranquillizzata”.


Renzi dopotutto ha sempre con sé un’agendina su cui annota i progressi delle singole riforme. Grazie a lui – spiega Merkel – la cancelliera è diventata un’esperta del processo legislativo italiano. Merkel loda Renzi: “Questo modo di lavorare infonde fiducia. Nessuna banca centrale al mondo può sostituire la politica”.

In ogni caso, non si può accusare Renzi di immobilismo. Negli undici mesi da primo ministro ha aggredito molti dossier. Il mercato del lavoro, la pubblica amministrazione, la giustizia e la legge elettorale. Anche lui ne è entusiasta, il suo bilancio è a suo dire “straordinario”. Ma c’è una cosa che non dice: non ha concluso granché.

L’Italia sotto Renzi è l’equivalente di un cantiere piuttosto caotico. La riforma del lavoro, che Renzi ha battezzato “Jobs Act” per accostarsi al presidente USA Obama, è stata licenziata dal Parlamento, ma ancora mancano i decreti attuativi. Il dibattito parlamentare volge alle battute finali, e non è per nulla chiaro che sembianze assumerà. Le riforme della giustizia e della PA si fanno attendere.


Tutto quello che ha a che fare con Renzi è controverso e ricco di polemiche. In parte questo è dovuto all’Italia, che è un Paese complesso e intricato. Ma è dovuto anche alla leadership di Renzi. Renzi non discute a lungo, ma impone la linea. Già da sindaco era così, ed è rimasto fedele a questa impostazione come capo del governo. Tutto ciò che è prioritario è accentrato a Palazzo Chigi, la diversità di vedute non è tollerata.

Alla fine del 2014, il governo Renzi ha licenziato 185 leggi, di cui 53 sotto forma di decreti emergenziali. Spesso Renzi chiede la fiducia per accorciare la discussione in Parlamento. “Renzi è l’equivalente del fast food, non si può che imputargli superficialità”, dice Francesco Galietti, fondatore del laboratorio di analisi Policy Sonar. Il suo maggior risultato economico fin qui? 80 euro in più al mese per dieci milioni di redditi bassi. E quasi a ogni conferenza stampa o talk show Renzi non manca di lodare la beneficienza da 80 euro come rivoluzionario pacchetto congiunturale.

I temi più spinosi, Renzi preferisce invece accantonarli. Come la “spending review”. Carlo Cottarelli era stato chiamato dal Fondo Monetario Internazionale (FMI) per tagliare la spesa pubblica. L’Italia spende ben 800 miliardi all’anno, di cui una grossa parte se ne vanno in pensioni e sanità. Come commissario alla spesa pubblica, Cottarelli sforna un piano dopo l’altro, mette a punto una minuziosa lista di spese da sforbiciare, aggiorna febbrilmente il suo blog – ma proprio con Renzi non riesce a fare breccia.

Il primo ministro si circonda di una armata di consulenti economici con idee ben diverse da quelle dell’uomo del FMI. In breve tempo, Cottarelli non c’è più e le sue carte finiscono a prendere polvere nei cassetti.

Ma il capitolo più complicato è soprattutto la gestione delle nomine di Renzi […] i giornali hanno coniato per gli amici e consulenti più stretti di Renzi l’espressione “giglio magico”. Da sindaco, Renzi era solito mettere i suoi fedeli nelle posizioni critiche. È così che sistema l’avvocato Maria Elena Boschi nel consiglio di amministrazione dell’acquedotto municipale, mentre Filippo Bonaccorsi è nominato assessore alle infrastrutture.

Quando diventa primo ministro, Renzi porta i suoi fidi a Roma. La Boschi diventa ministro per le riforme costituzionali, Bonaccorsi viene imbarcato al ministero dell’istruzione. Luca Lotti, braccio destro di Renzi a Firenze, segue a sua volta il suo capo nella capitale. Come sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, è responsabile dell’editoria.

È lecito dubitare dell’adeguatezza degli amici di Renzi per i nuovi incarichi. Eclatante, in particolare, il caso di Antonella Manzione: in precedenza era il capo della polizia municipale di Firenze, mentre oggi è responsabile del dipartimento legislativo di Palazzo Chigi. Ma che c’entra la vigilessa con il legislativo?

Ma davanti al David queste domande impallidiscono. Renzi non parla della Manzione, ma di Michelangelo. Quando gli viene chiesto della sua ansia riformatrice, risponde con un aneddoto sull’artista. “Come chiunque in toscana, quello era un po’ pazzo”, dice Renzi. “Quando qualcuno gli chiedeva come facesse a realizzare capolavori come il David, rispondeva: ‘è molto semplice, devo solo togliere il marmo in eccesso’”.


E come fa Michelangelo con il marmo, così fa Renzi con l’Italia. Renzi e Merkel si accomiatano con un bacetto prima sulla guancia destra, poi su quella sinistra. Angela si fida del suo Matteoangelo.

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