Non è solo uno spietato atto di guerra, è un
paragrafo sanguinoso dello scontro di civiltà. La parola terrorismo non
dice tutta la verità, il che è banale, ovvio ma irrefutabile. Ci sono di
mezzo il profeta islamico come icona sacra, il libro coranico a lui
dettato dal cielo, l’antropologia di una comunità universalista che fa
figli contro quella di un’altra comunità universalista che non ne fa
più, la storia geopolitica di uno scontro che ha sempre lambito le
grandi capitali europee e s’incuneò nel nuovo mondo con le immagini
tremende dell’11 settembre 2001.
L’onore
di Allah violato dalle profanazioni satiriche di uno storico e glorioso
settimanale di piccola circolazione ma di tempra immensa, obiettivo
così diverso dalle Twin Towers, da molti anni nel mirino dell’islamismo
politico con i suoi Wolinsky, Cabu, Tignous, tutti fucilati, è stato
difeso a colpi di Ak-47 rivolti contro la libertà di dire, pensare,
pubblicare da parte di un pugno di giornalisti e artisti di estrema
sinistra, anarchici, assassinati durante la riunione di redazione.
Decimare un gruppo di disegnatori e vignettisti al grido Allahu akbar, e
far fuori un paio di poliziotti posti a loro protezione in una via
centrale di Parigi, è un atto di intimidazione e di sottomissione che
vira verso il cuore dell’occidente giudaico cristiano e delle sue
libertà impertinenti.
D’altra
parte con questa crociata all’assalto della croce, all’insegna della
mezzaluna, conviviamo tragicamente e vilmente, salvo resistenti e
martiri, da decenni ormai. Charb, il direttore-pseudonimo del
settimanale, ucciso insieme ai maggiori vignettisti, era un clandestino
d’occidente, come ce ne sono stati altri, basti pensare al mondano e
sulfureo ma blindato Rushdie, al fuggitivo e ideologicamente
perseguitato Redecker. L’agnello Theo Van Gogh fu abbattuto nel centro
di Amsterdam mentre andava tranquillo in bicicletta, e dovette subire
gli sputazzamenti della gente perbene d’occidente, toccati poi anche a
Ayaan Hirsi Ali, espatriata negli Stati Uniti e non ricevuta nelle
Università filoislamiche dell’establishment.
Clandestino
nella sua casa, il direttore freddato di Charlie Hebdo, intendendo per
casa il luogo di origine e abitazione, di cultura e di lingua, e non
un’esclusività contro altrui, aveva dovuto subire anche la vergogna di
una campagna contro il presunto razzismo del suo giornale, una delle
tante campagne politicamente corrette che non risparmiano nemmeno i
militanti dell’estrema sinistra anarchica, quando questi rivolgono il
pennino o la matita verso l’intoccabile diritto all’integralità di sé
che rivendica, abbiamo visto come, l’islam politico. Islamofobia,
un’accusa greve e terminale che certi ideologi intendono equiparare,
sofisticata bestemmia, all’antisemitismo genocida.
Qui
avevamo condotto per tempo una stupefatta campagna editoriale e civile,
centrata sull’enigmatico Lachenverbot, il divieto di ridere, che
l’islam politico era riuscito a imporre alle ridanciane chattering
classes del nostro tempo, sempre pronte a satireggiare tutto e tutti ma
non i musulmani e i loro idoli. “Chi non ride di sé è pregato di
allontanarsi dalla casa comune” è assegnamento diverso da “Arbeit macht
frei”, non strumento di genocidio ma antidoto potenziale allo sterminio
delle parole, delle coscienze libere e delle persone che le incarnano.
La
decimazione di Parigi arriva mentre la Francia è nel pieno di uno dei
suoi tradizionali psicodrammi, con saggisti e letterati di grido
(Zemmour e Houellebecq) che denunciano con fare diretto o ironico il
suicidio dei principi non negoziabili dell’universalismo laico (ci sono
anche quelli, e sono compagni degli altri).
La
palma della più orrorifica actù, come dicono a Parigi, se la
aggiudicano dunque due scrittori: uno accusato di voler eliminare dal
panorama di un paese in piena sindrome autolesionista l’islam che si
mostra incompatibile; l’altro che dà il titolo a questa prima pagina,
con il suo nuovo romanzo accusato di fomentare ironicamente la paura di
un’irresistibile ascesa islamica, e in libreria giusto da ieri:
Soumission, sottomissione, cioè islam. Ne parliamo altrove nel giornale
di oggi, andando come sempre cerchiamo di fare alla radice delle cose,
nella consapevolezza che una sola è la risposta alla forza intimidatrice
dell’islam califfale e politico: una violenza politica, militare,
tecnologica e civile incomparabilmente superiore.
fonte:il foglio
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