Per farsi un'idea del carattere dell'uomo basta ripescare una citazione di Ciriaco De Mita secondo il quale Sergio Mattarella sarebbe tanto freddo e sobrio che “in confronto a lui, Arnaldo Forlani era un movimentista”. Con le dimissioni di Giorgio Napolitano,
la caccia a chi sarà il prossimo inquilino del Colle è entrata nella
sua fase più concitata. E mentre nei Palazzi, nelle e tra le segreterie
dei partiti, si prendono e disfano accordi, sui giornali fioccano ogni
giorno le liste dei papabili. Anche se la rosa reale è probabilmente
molto più ristretta di quanto si potrebbe pensare mettendo insieme tutti
i nomi che vengono fatti.
Il
29 gennaio alle 15 partono le votazioni. Sulla carta qualcuno ha già
più chance di altri, ma la sorpresa resta dietro l'angolo. Chi però non
può certamente essere considerato tra gli outsider, è proprio il giudice
costituzionale autore della famosa legge che rivoluzionò in senso
maggioritario il nostro sistema elettorale.
Padre del “Mattarellum”
74
anni, palermitano, ex democristiano, soprattutto negli ultimi anni gli
italiani hanno sentito parlare più che di lui, del suo Mattarellum. La
legge elettorale che vide la luce dopo il referendum del 1993 e che
segnò la svolta in senso maggioritario porta infatti il suo nome. Molto
criticata all'epoca, fu poi largamente rimpianta quando al suo posto fu
varato il famigerato Porcellum.
Le origini
Figlio
di Bernardo, membro della Costituente, più volte ministro e pezzo da
novanta della Democrazia cristiana, la carriera politica di Sergio
inizia davvero solo con la tragica morte del fratello Piersanti, il
presidente della Regione Sicilia assassinato dalla mafia il 6 gennaio
del 1980 per aver avviato un rinnovamento delle istituzioni locali per
niente gradito ai boss. Cresciuto nella corrente Dc che faceva
riferimento ad Aldo Moro, entra infatti in Parlamento nel 1983, in
“quota” Zaccagnini.
La carriera politica
Nel
1987 diventa ministro dei rapporti con il Parlamento nei governi De
Mita e Goria. Poi ministro dell'Istruzione con Giulio Andreotti, carica
dalla quale si dimette nel 1990 in segno di protesta contro
l'approvazione della legge Mammì compiendo così il primo atto pubblico
di ostilità verso Silvio Berlusconi essendo Fininvest tra i principali
beneficiari di quella legge che normava il mercato radiotelevisivo in
sostanza legittimando la situazione esistente in quel momento.
Sopravvissuto alla fine della prima Repubblica, nella seconda riceve da
Massimo D'Alema gli incarichi prima di vicepresidente del consiglio poi
di titolare della Difesa e sarà ministro anche del governo Amato. Nel
2001 viene rieletto alla Camera con la Margherita. Riconfermato nel 2006
per la lista dell'Ulivo. Nel 2008, alla caduta del governo Prodi, cessa
il suo mandato in Parlamento e dal 2011 è giudice della Corte
costituzionale.
L'opposizione a Silvio Berlusconi
Ex esponente della sinistra democristiana, Mattarella è sempre stato un moderato di centrosinistra e un pioniere di quello che divenne l'Ulivo di Romano Prodi.
Fondatore con altri del Partito Popolare, quando Rocco Buttiglione si
allea con il leader di Forza Italia in vista delle elezioni del '96, lui
si getta nelle braccia di Romano Prodi con cui darà vita all'Ulivo.
Oltre che nella vicenda della legge Mammì e che nella scelta di Prodi,
l'antipatia di Mattarella per Berlusconi si manifestò anche quando Forza
Italia venne ammessa nel Partito Popolare Europeo, per lui la
realizzazione di "un incubo irrazionale”.
Punti di forza e di debolezza
A
suo favore ci sono sicuramente almeno tre fattori: primo, è un
cattolico e dagli ambienti moderati è arrivata questa richiesta
esplicita; secondo, è stato un ex ministro nei governi D'Alema ma ha
anche fondato l'Ulivo con Prodi e questo potrebbe mettere d’accordo
quasi tutto il Pd; terzo, ha un curriculum di tutto rispetto, grande
esperienza politica ed è un giudice costituzionale. A frenare la sua
corsa restano invece i cattivi rapporti con Berlusconi che anche nei
giorni scorsi ha ribadito la necessità di un nome largamente condiviso e
che sia garante di tutte le forze politiche. C'è poi anche il fatto di
avere un profilo sicuramente molto lontano dall'idea renziana di
“rinnovamento”. Senza sottovalutare la statistica che non gioca proprio a suo favore.
Su 12 elezioni svoltesi dall'inizio dell'era repubblicana, in 9 casi la
vittoria è stata appannaggio di un ex presidente della Camera (8 volte)
o del Senato (in un solo caso). Mattarella non ha mai ricoperto nessuna
delle due cariche. E tra quelli che, pur essendo giunti ai vertici
delle istituzioni non hanno guidato né l'uno né l'altro ramo del
Parlamento, potrebbe esserci già qualcuno con più chance di lui.
fonte: Panorama
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