sabato 10 gennaio 2015

Il fuoco nella pancia

Daniela Ranieri per il “Fatto quotidiano”

Questa non è una storia d’amore. Lo sembra, infelice com’è, e tutta mista di megalomania insana, ferita narcisistica, smodatezza psicotica. Giuliano Ferrara vuole farci credere di essersi innamorato, e forse lo crede lui stesso. Come i fulminati d’amore, s’atteggia: “Non è nemmeno il mio tipo, come Odette de Crecy per il povero Swann”. L’amato è Matteo Renzi, il Royal baby, come da titolo del pamphlet-encomio (Rizzoli).

“Spregiudicato fin da bambino”, il nuovo Valentino è investito dell’invitto stupore che si deve alle apparizioni del destino: “Ha il fuoco nella pancia... brucia di megalomane ambizione... ridanciano e innamorato del suo ostentarsi piacente al populazzo”, per dirla con l’Ariosto.

Ma Ferrara, per luogo comune “intelligente”, non può contentarsi dell’amore preteso sano della gente normale. Lui brucia di altra passione, in cui entrano le capziosità di Sade e gli arbitrii di Joseph de Maistre, la dialettica storica e lo Spirito del Mondo. Sopra sopra il libercolo gronda venerazione, ma è tutto cifrato, tutto a scatole cinesi psichiatriche e tutto stretto in colonna, corto quanto è lungo un articolo del Foglio sabatino, un rotolo del Mar morto di devozioni per il piccolo Buddha, questo Siddharta dell’inculata professionale e twitterina.
GIULIANO FERRARA - ROYAL BABY 

Che non è destinatario di lacrimosi madrigali, piuttosto di impudenze dannunziano-papiniane: “È innamorato delle possibilità… fiorentino e machiavellico, è Principe nuovo”. L’autore se ne dice stregato, ma per necessità storica e biografica: “E volete che un vecchio e intemerato berlusconiano pop, come me, non si innamori del boy scout della Provvidenza e non trovi mesta l’aura di spregio che circonda di nuovo il caro leader?”.

L’aura mesta è quella degli iettatori, antagonisti di una vita. E qui il primo dubbio sorge: non sarà che lui ama Lui solo perché Lui odia gli altri? “Manettari militanti”, “bel mondo intellettuale e dei salotti”, “antigarantisti”, tutta la schiera di antichi nemici silenziati dalla mano maschia dell’Infante Terribile. Terza reincarnazione del Dalai Lama, in Renzi si concentrano gli schiocchi di frusta di Craxi (“Disperdeva l’aria saccente della velleità totalitaria, aveva l’istinto dell’oggi”) e le succulente magagne del Cavaliere (“se il primo faceva perigliosamente ‘girare la patonza’, lui fa girare la Leopolda”), a cui è legato da cordone catodico.


Il librissimo trasuda sesso, come un concerto di Elvis; ma è il sesso cerebrale degli scontenti. Matteo, “punto di equilibrio perfetto di una gioventù ambiziosa ma alla fine noncurante”, dotato dell’agilità proterva del giovane Mussolini e della tracotanza di Faust, è satiro in un giardino di ineffabili delizie abitato da “muse” che ne rimandano la gaia protervia: “Capirete che le ragazze ministro, e qualche monna fiorentina o aretina di civile condizione… mi spingono all’intemperanza, mi briacano del loro passo e delle loro trecce”. Capiamo. Dell’uomo gli piace la bellezza convulsa, della donna quella serafica ed è tutto un fluir di mucose se dalle muse si passa alla consorte reale: “Agnese sua moglie è bellissima… ha il dono del Settecento nei tratti pertinenti. Il suo naso è una testimonianza dell’intelligenza costruttiva di Dio”.


Davanti al naso coniugale tacciamo, ma lui: “Quando vedo Renzi che si agita, che ambisce, pretende, promette, chiacchiera nel bene e nel male, non penso mai all’onestà personale”. Se è per questo nemmeno noi, ma per Ferrara è afrodisiaco.


E quando la biografia volge in autobiografia, e il lettore s’aspetta solo un saluto “con la faccia sotto i Suoi piedi”, l’amore retrocede e si chiarisce la natura freudiana di questo amore: parlando di sé in terza persona come sotto Pentothal, Ferrara rivela: “È risentito verso il Pci e la sua linea politica. Si vuole vendicare… una vendetta politico-intellettuale che dura ormai da vent’anni e più”.

Ecco allora la “babyarchia”, regime scombiccherato “senza tessere di partito, con le sue passioni superficiali, con le sue pizze al taglio consumate in fretta, con la sua incuranza dei salon e dei dibattiti”; ecco Matteo e le sue ministrine, a vendicare i padri sconfitti di Giuliano, a loro volta uccisori del Padre, e lui, figlio traditore di padre e di madre organici alla Sinistra, ne gode tanto più quanto il vendicatore gli si presenta all'apparir del vero come mediocre, inattendibile, squalificato.

Lo dice lui, e quasi papale: “Certe volte mi sputo in faccia”. Siccome hanno fallito i suoi vendicatori, e siccome lui è infelice, non gli resta che sperare che sia arata tutta la sua generazione, e infelici siamo tutti. Questo amore è volontà di nulla, è sacrificio, è seppuku in cui la spada, invece di essere impugnata o di ergersi da terra, viene affidata al peggiore, il più dorato, il più cattivo, il meno dotato di anima.


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