Daniela Ranieri per il “Fatto quotidiano”
Questa
non è una storia d’amore. Lo sembra, infelice com’è, e tutta mista di
megalomania insana, ferita narcisistica, smodatezza psicotica. Giuliano
Ferrara vuole farci credere di essersi innamorato, e forse lo crede lui
stesso. Come i fulminati d’amore, s’atteggia: “Non è nemmeno il mio
tipo, come Odette de Crecy per il povero Swann”. L’amato è Matteo Renzi,
il Royal baby, come da titolo del pamphlet-encomio (Rizzoli).
“Spregiudicato
fin da bambino”, il nuovo Valentino è investito dell’invitto stupore
che si deve alle apparizioni del destino: “Ha il fuoco nella pancia...
brucia di megalomane ambizione... ridanciano e innamorato del suo
ostentarsi piacente al populazzo”, per dirla con l’Ariosto.
Ma
Ferrara, per luogo comune “intelligente”, non può contentarsi
dell’amore preteso sano della gente normale. Lui brucia di altra
passione, in cui entrano le capziosità di Sade e gli arbitrii di Joseph
de Maistre, la dialettica storica e lo Spirito del Mondo. Sopra sopra il
libercolo gronda venerazione, ma è tutto cifrato, tutto a scatole
cinesi psichiatriche e tutto stretto in colonna, corto quanto è lungo un
articolo del Foglio sabatino, un rotolo del Mar morto di devozioni per
il piccolo Buddha, questo Siddharta dell’inculata professionale e
twitterina.
Che
non è destinatario di lacrimosi madrigali, piuttosto di impudenze
dannunziano-papiniane: “È innamorato delle possibilità… fiorentino e
machiavellico, è Principe nuovo”. L’autore se ne dice stregato, ma per
necessità storica e biografica: “E volete che un vecchio e intemerato
berlusconiano pop, come me, non si innamori del boy scout della
Provvidenza e non trovi mesta l’aura di spregio che circonda di nuovo il
caro leader?”.
L’aura
mesta è quella degli iettatori, antagonisti di una vita. E qui il primo
dubbio sorge: non sarà che lui ama Lui solo perché Lui odia gli altri?
“Manettari militanti”, “bel mondo intellettuale e dei salotti”,
“antigarantisti”, tutta la schiera di antichi nemici silenziati dalla
mano maschia dell’Infante Terribile. Terza reincarnazione del Dalai
Lama, in Renzi si concentrano gli schiocchi di frusta di Craxi
(“Disperdeva l’aria saccente della velleità totalitaria, aveva l’istinto
dell’oggi”) e le succulente magagne del Cavaliere (“se il primo faceva
perigliosamente ‘girare la patonza’, lui fa girare la Leopolda”), a cui è
legato da cordone catodico.
Il
librissimo trasuda sesso, come un concerto di Elvis; ma è il sesso
cerebrale degli scontenti. Matteo, “punto di equilibrio perfetto di una
gioventù ambiziosa ma alla fine noncurante”, dotato dell’agilità
proterva del giovane Mussolini e della tracotanza di Faust, è satiro in
un giardino di ineffabili delizie abitato da “muse” che ne rimandano la
gaia protervia: “Capirete che le ragazze ministro, e qualche monna
fiorentina o aretina di civile condizione… mi spingono all’intemperanza,
mi briacano del loro passo e delle loro trecce”. Capiamo. Dell’uomo gli
piace la bellezza convulsa, della donna quella serafica ed è tutto un
fluir di mucose se dalle muse si passa alla consorte reale: “Agnese sua
moglie è bellissima… ha il dono del Settecento nei tratti pertinenti. Il
suo naso è una testimonianza dell’intelligenza costruttiva di Dio”.
Davanti
al naso coniugale tacciamo, ma lui: “Quando vedo Renzi che si agita,
che ambisce, pretende, promette, chiacchiera nel bene e nel male, non
penso mai all’onestà personale”. Se è per questo nemmeno noi, ma per
Ferrara è afrodisiaco.
E
quando la biografia volge in autobiografia, e il lettore s’aspetta solo
un saluto “con la faccia sotto i Suoi piedi”, l’amore retrocede e si
chiarisce la natura freudiana di questo amore: parlando di sé in terza
persona come sotto Pentothal, Ferrara rivela: “È risentito verso il Pci e
la sua linea politica. Si vuole vendicare… una vendetta
politico-intellettuale che dura ormai da vent’anni e più”.
Ecco
allora la “babyarchia”, regime scombiccherato “senza tessere di
partito, con le sue passioni superficiali, con le sue pizze al taglio
consumate in fretta, con la sua incuranza dei salon e dei dibattiti”;
ecco Matteo e le sue ministrine, a vendicare i padri sconfitti di
Giuliano, a loro volta uccisori del Padre, e lui, figlio traditore di
padre e di madre organici alla Sinistra, ne gode tanto più quanto il
vendicatore gli si presenta all'apparir del vero come mediocre,
inattendibile, squalificato.
Lo
dice lui, e quasi papale: “Certe volte mi sputo in faccia”. Siccome
hanno fallito i suoi vendicatori, e siccome lui è infelice, non gli
resta che sperare che sia arata tutta la sua generazione, e infelici
siamo tutti. Questo amore è volontà di nulla, è sacrificio, è seppuku in
cui la spada, invece di essere impugnata o di ergersi da terra, viene
affidata al peggiore, il più dorato, il più cattivo, il meno dotato di
anima.
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