mercoledì 28 settembre 2011

Ciò che il Signore richiede da te

Uomo, ti è stato insegnato ciò che è buono
e ciò che richiede il Signore da te:
praticare la giustizia,
amare la bontà,
camminare umilmente con il tuo Dio.

(Michea, 6,8) 

 
L'epoca in cui vive Michea è evocata in 2 Re 17, 20, ed è drammatica.
Michea era nativo della piccola città di Moreshet, un villaggio della Giudea, vicino a Gerusalemme. Egli svolse il suo ministero tra il 750 ed il 689 A.C. al tempo di Iotam, di Acaz e di Ezechia. Fu contemporaneo del profeta Isaia, a cui assomiglia per lo stile.
Fu testimone di grandi avvenimenti: l'invasione dell'esercito assiro, la caduta di Damasco, la guerra tra Israele e Giuda, la conquista della Galilea, la distruzione di Samaria e del regno di Israele, la sconfitta dell'Egitto per mano di Sargon II, re di Assiria (722).

Era un periodo violento e tumultuoso. Il regno d'Israele scomparve con l'invasione degli Assiri, che portarono in esilio le popolazioni delle 10 tribù, che formavano il regno; mentre il regno di Giuda doveva subire l'invasione degli eserciti di Babilonia, che dopo la terza invasione, nel 586 A.C, distrussero Gerusalemme e deportarono la popolazione.
Il libro di Michea, antico e attuale nel messaggio, è una raccolta di ammonimenti e di profezie, disposte per argomento anziché in ordine cronologico. Lo stile è vario, a seconda del periodo e delle circostanze. A volte Michea è aspro e vigoroso, altre volte tenero e compassionevole. Il linguaggio che usa è sempre diretto e forte.
L'attività di Michea è dedicata in particolare alla difesa degli oppressi. Viveva in una società in cui i ricchi proprietari terrieri sfruttavano i poveri, opprimendoli senza pietà. I contadini, gli agricoltori e i piccoli proprietari erano sfruttati da coloro che avevano conoscenze nelle alte sfere.
Tale abuso di potere fu attaccato con forza da Michea, che reagisce all'eccesso di pratiche legalistiche e cultuali al quale Israele si abbandona nella sua angoscia. Sottolinea che Dio richiede da noi un comportamento retto, giusto, non formale soltanto (come purtroppo anche oggi avviene nella vita pubblica).
Anche se proveniva da una zona rurale, egli era perfettamente al corrente della corruzione della vita di città e denunciò Gerusalemme in particolare. Vedeva nella città il simbolo della corruzione nazionale: corruzione nell'amministrazione della giustizia, nei funzionari di governo, nei capi religiosi.

Isaia e Michea sono particolarmente vicini nella polemica contro l'economia latifondiaria del ceto superiore di Gerusalemme, che spogliava i contadini delle loro proprietà ereditarie, concentrandoli nelle proprie mani (Is. 5, 18; Mich. 2, 1-5). Michea però si distingue da Isaia in quanto prevede la cancellazione totale di Gerusalemme dalla storia (Mich. 1, 5; 3, 12).
Michea biasima ferocemente sacerdoti e profeti; critica la loro disonestà; condanna la falsa mistica.
Il profeta esorta il popolo al pentimento, e minaccia l'ira di Dio sui conduttori religiosi che pensavano a spremere denaro dal popolo. Egli diceva (3, 3): "Costoro divorano la carne del mio popolo, gli strappano di dosso la pelle, gli fiaccano le ossa; lo fanno a pezzi come ciò che si mette in pentola, come carne da metter nella caldaia".
Falsi sacerdoti, falsi profeti, autorità civile corrotta: pertanto, era vicina la minaccia delle invasioni di cui i profeti di mestiere non sapevano nulla, e non avevano visioni; vi era tanto buio intorno a loro; però non mancavano di parlare di pace, che era il tema ricorrente nei loro sermoni!
Ed ecco Michea che in nome del Signore nel (3, 5-6) afferma: "Così parla l'Eterno, riguardo ai profeti che traviano il mio popolo, che gridano "Pace", quando i loro denti hanno di che mordere, e bandiscono la guerra contro chi non mette loro nulla in bocca. Perciò vi sarà notte, e non avrete più visioni, vi si farà buio, e non avrete più divinazioni; il sole tramonterà su questi profeti, e il giorno s'oscurerà su loro".
Circa 90 anni dopo, il profeta Geremia rimproverava nello stesso modo i conduttori religiosi del suo tempo, perché chiudevano gli occhi d'avanti ad una realtà incombente. Nel versetto 14 del 6 capitolo, dice: "Essi curano alla leggera la piaga del mio popolo; dicono: 'Pace, pace, mentre pace non v'è" (Ger. 6, 14).
Michea presenta un messaggio di giudizio: se la nazione non cambia il suo comportamento, Dio la giudicherà e la distruggerà (3, 12). Il Profeta accusa l'oppressione dei suoi giorni e dice: "Guai a coloro che meditano l'iniquità...sono avidi di campi e li usurpano, di case, e se le prendono...essi che costruiscono Sion con il sangue, Gerusalemme col crimine"(2, 1-3; 3, 9-11). Annuncia un duro giudizio per le capitali Samaria e Gerusalemme, giudizio motivato dall'idolatria e soprattutto dall'ingiustizia sociale (1, 2-7; 2, 1-11).

Per mezzo del profeta Michea, Dio ha voluto rimproverare quei falsi profeti, sacerdoti e guide della casa d'Israele che, mentre dovevano "conoscere ciò che è giusto" (3, 1), pervertivano "tutto ciò che è retto" (3, 9), "insegnavano e profetizzavano per ottenere regali, profitto e gloria", e poi dicevano: "II Signore non è forse in mezzo a noi?"(3, 11).
Michea riprende questi falsi profeti, adulatori di folle (tanti anche oggi) che, per amore del loro profitto e della loro gloria, falsificano la verità, pervertono la giustizia e causano grande rovina.
Michea, come Elia, mosso da un grande zelo, decise di essere ripieno e governato dallo Spirito del Signore per praticare la giustizia, la verità, l'onestà e la rettitudine.
Molto tempo dopo l'apostolo Paolo in (I Tim. 6, 5 e Fil. 3, 19) scrive, con dolore, di "persone corrotte di mente ... le quali considerano la pietà come una fonte di guadagno ... il cui dio è il ventre". Tali persone, che usano la fede a loro vantaggio, sono presenti in ogni generazione: sono i convertiti senza la "nuova nascita" senza il minimo cambiamento di stile di vita. In altre parole, sono pieni di religione ma non dello Spirito del Signore. Eppure diranno come in quel tempo: "II Signore non è forse in mezzo a noi?" (3, 11). Senza lo Spirito di Dio l'Uomo sarebbe come Sansone che svegliandosi pensava di sfidare i suoi nemici come prima, ma ebbe la triste sorpresa di vedersi incapace: "Non sapeva che il Signore si era ritirato da lui" (Giudici 16, 20). E nel (Salmo 51, 11) Davide pregò Dio dicendo: "Non togliermi il tuo santo Spirito".
I profeti dell'VIII secolo appaiono come individui solitari, se non isolati, ed in loro sta un convincimento tutto nuovo, quasi rivoluzionario rispetto a tutte le credenze tradizionali. Essi porgono ascolto e obbedienza ad una sola parola e a un incarico che Iahvé rivolge a loro e soltanto a loro; questi uomini diventano individui ben distinti. Essi potevano dire "io", in un modo che sino allora era inaudito in Israele. Nel "(3, 8), il profeta sostiene: "quanto a me, io sono pieno di forza, dello spirito del Signore, di giustizia e di coraggio, per annunziare a Giacobbe le sue colpe, a Israele il suo peccato".
Il profeta del Signore fa qui una grande e potente di­chiarazione! Una chiara affermazione di una soprannaturale esperienza! A differenza dei funzionari della casa d'Israele che "detestavano ciò che è giusto", Michea poteva dire: "Io invece sono pieno di forza" e sono persuaso che questa forza e che questa potenza mi vengano dallo Spirito del Signore.
In uno dei versetti più conosciuti dell'Antico Testamento Michea sintetizza ciò che il Signore richiede dall'uomo: "Praticare la giustizia, amare la pietà, camminare umilmente con il tuo Dio" (Mich. 6, 8).
Questa è dunque la quintessenza dei comandamenti secondo l'interpretazione dei profeti. Di fronte  alle pratiche violente e distruttive, qui ci si richiama a qualcosa di affatto semplice: si indica una strada che può essere percorsa davanti a Dio. Lo stesso vale per Osea, ossia che per Jahvé non conta l'esecuzione del sacrificio, bensì "la conoscenza di Dio e l'amore" (Os. 6, 6).
La voce della Giustizia non cessa di parlare, di farsi comprendere e non si esaurisce mai.
Fin dal momento della creazione, Dio "cammina" nel giardino dell'Eden e Adamo ed Eva sentono il suo passo (Gen. 3, 8): quella di Dio è una "voce in cammino", e questa voce si fa trovare, raggiunge ogni angolo del giardino, così che Adamo e sua moglie, per quanto cerchino di sfuggirla, illusi dal serpente, non possono assolutamente evitarla.
Il serpente rappresenta l'illusione, il sogno strisciante di uno che sta fermo, che vuole tutto subito, che non assume il rischio di un percorso, che non accetta la fatica di mettersi in cammino. Il serpente, l'animale "più astuto", ma "senza gambe", è il solo che l'uomo non si senta di considerare suo compagno, perché non può camminare insieme a lui. Invece la voce di Dio che si rivela gradualmente, poco per volta, insegna all'uomo a camminare sulle sue gambe, a non strisciare più nell'illusione. Si tratta dunque, per l'uomo, di "camminare umilmente con Dio".
In effetti non esiste alcun impedimento, considerata la libera disponibilità di Dio, ma soltanto una precisa condizione da parte dell'uomo, evidenziata proprio dalle parole del profeta Michea nel (6, 8): "sono necessarie la giustizia, l'umiltà e l'amore".

Dunque, il fondamento del messaggio di Michea era la giustizia di Dio e l'amore, analogamente al messaggio del profeta Amos, che stava predicando le stesse cose nel regno di Israele.

In Michea rimane forte la fede nella realizzazione delle promesse fatte a Davide: la certezza che in quella stirpe gloriosa nascerà un re che saprà unificare il regno e governarlo alla maniera stessa di Dio (Mich. 5, 1-4). L'annuncio messianico di Michea quando si rivolge agli Efratiti (Mich. 5, 1), non può essere che questo: Jahvé ricomincerà ex novo la sua opera messianica e la ricomincerà proprio là dove essa aveva avuto inizio la prima volta, ossia a Betlemme. Sicuramente si riferisce a un personaggio a venire e non di quel momento. Mentre Isaia attende un rinnovamento di Gerusalemme, per Michea, invece, questo nuovo inizio si accompagna alla cancellazione dalla storia dell'antica città regale, Gerusalemme (Mich. 3, 12). Un secolo più tardi Geremia ricorda quelle parole e le applica alla propria profezia (Ger. 26, 18-19).
Michea offre una delle più dettagliate descrizioni dell'avvento del Messia che si trovino nell'Antico Testamento (Mich. 5, 1-14). Il redentore verrà da Betlemme e sarà un essere umano (non un angelo).
Dovrà avere le sue origini dall'antichità, "dai giorni più remoti". Radunerà attorno a sé un gruppo di giusti, inaugurerà sulla terra un regno di giustizia e si prenderà cura dei bisognosi.
Nel senso biblico, giustizia è una parola ed un concetto essenzialmente religioso; è equivalente a "volontà di Dio", "compimento dei suoi disegni" ed "obbedienza ai suoi principi" ed ai suoi comandamenti. Per tanto nella Bibbia è impossibile comprendere ed interpretare il termine "giustizia" su di un piano esclusivamente giuridico (la "giustizia distributiva"), sebbene nelle sue comprensioni rientrassero tutte le relazioni tra gli esseri umani e quindi si recuperava anche tutto l'aspetto sociale. Non ci sono dubbi, il concetto di giustizia biblica va diretto alla radice: comprende tutta la vita della persona credente, guidata dalla volontà divina: è sicuramente una di quelle dimensioni costitutive della vita profondamente umana, che non si possono negoziare.   
L'espressione biblica "avere fame e sete" significa avere un desiderio ardente ed incontenibile di qualcosa. Con questa chiave di lettura vanno proclamati, pregati ed interpretati i salmi 42/43 e 63, così come del resto anche il profeta Amos (8, 11-12).
Le profezie di Michea possiamo vederle pienamente adempiute nel discorso evangelico di Matteo (Mt. 5, 1-10), che nel versetto 5 proclama: "Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati", dove la beatitudine tratta del desiderio profondo e veemente di giustizia, segnato da Gesù.
La giustizia cui si riferisce la beatitudine è la "nuova giustizia" del Regno di Dio, come affermerà lo stesso Matteo poco dopo: "Cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia" (Mt. 6, 33), decisamente superiore a quella meramente legalista degli scribi e farisei (Mt. 5, 20).
Michea proclama un regno universale di pace che abbraccerà tutti i popoli. Le spade saranno trasformate in aratri e le lance in falci; sarà un periodo di pace, di prosperità e di benessere (4, 1-5).

La beatitudine conclude con una certezza, dicendo che saranno "saziati" gli assetati ed affamati di giustizia. Si potranno beneficiare dell'autentico ristoro, nel percorrere il sentiero tracciato da Gesù di Nazareth, nel rispondere con la propria esistenza alla proposta così affascinante di "cercare prima il Regno e la sua giustizia", nel poter incontrare il Dio-Abbá attraverso la costruzione di un mondo molto più umano, un mondo in cui, come afferma solennemente il salmo 85: "Misericordia e verità s'incontreranno, giustizia e pace si baceranno" .
                                                        
 

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