giovedì 8 novembre 2012

Il meglio deve ancora venire


 
Grazie davvero.

Stasera, più di duecento anni dopo che un’ex colonia si era conquistata il diritto di determinare il proprio destino, il compito di perfezionare la nostra unione fa un passo avanti.

Fa un passo avanti grazie a voi. Fa un passo avanti perché avete riaffermato lo spirito che ha trionfato sulla guerra e sulla depressione, lo spirito che ha sollevato questo paese dalle profondità della disperazione fino alle grandi altezze della speranza, la convinzione che benché ciascuno di noi insegua i propri sogni individuali, noi siamo un’unica famiglia americana, e uniti cresciamo o cadiamo, come un’unica nazione e come un unico popolo.

Stasera, con queste elezioni, voi, il popolo americano, ci avete ricordato che benché la strada sia stata ardua, benché il viaggio sia stato lungo, ci siamo rimessi in piedi, abbiamo faticato per ritrovare la nostra strada, e nei nostri cuori sappiamo che per gli Stati Uniti d’America il meglio deve ancora arrivare.

Voglio ringraziare ogni americano che ha preso parte a queste elezioni, che abbia votato per la prima volta in assoluto, o che abbia pazientemente atteso a lungo in fila. A proposito, dovremo risolvere questo problema.

Che abbiate calcato la strada, o che abbiate sollevato la cornetta, che abbiate preso in mano un cartello di Obama, o uno di Romney, avete fatto sentire la vostra voce, e avete fatto la differenza.

Ho appena parlato col governatore Romney per congratularmi con lui e con Paul Ryan per una campagna ben combattuta. Ci siamo scontrati duramente, ma solo perché amiamo questo paese profondamente, e ci importa così tanto del suo futuro. Da George a Lenore a loro figlio Mitt, la famiglia Romney ha scelto di restituire quello che l’America ha dato loro svolgendo incarichi nella pubblica amministrazione, e quella è la testimonianza cui oggi rendiamo onore e plauso. Nelle settimane che verranno, non vedo l'ora di sedermi col governatore Romney per discutere di come potremo lavorare insieme per portare avanti il paese.

Voglio ringraziare il mio amico e partner di questi ultimi quattro anni, il guerriero felice d’America, il miglior vicepresidente che chiunque potrebbe sperare di avere, Joe Biden.

E non sarei l’uomo che sono oggi senza la donna che accettò di sposarmi vent’anni fa. Lasciate che lo dica pubblicamente: Michelle, non ti ho mai amato più di così. Non sono mai stato più orgoglioso di vedere il resto d’America innamorarsi altrettanto di te, come la first lady di questa nazione. Sasha e Malia, state crescendo davanti ai nostri occhi, per diventare due giovani donne intelligenti e bellissime, come vostra madre. E sono così orgoglioso di voi. Ma direi che per ora un cane probabilmente ci basta.

La migliore squadra elettorale e i migliori volontari nella storia della politica. I migliori. I migliori di sempre. Alcuni di voi erano nuovi, a questo giro, altri sono stati al mio fianco sin dall’inizio. Ma tutti voi siete una famiglia. Indipendentemente da cosa farete o dove andrete d’ora in poi, porterete con voi il ricordo della storia che abbiamo fatto insieme, e l’apprezzamento di un presidente che vi sarà grato per la vita. Grazie per averci creduto fino in fondo, con tutti gli alti e bassi. Mi avete sostenuto tutto il tempo, e vi sarò sempre grato per tutto quello che avete fatto e per l’incredibile impegno che ci avete messo.

So che le campagne elettorali possono sembrare meschine, a volte stupide. È una cosa che fornisce munizioni ai cinici che ci dicono che la politica non è altro che un confronto fra ego, o il dominio degli interessi speciali. Ma se vi capiterà mai l’occasione di parlare alla gente che ha partecipato ai nostri raduni, e che si è stretta nelle palestre di liceo, o che ha visto la gente che lavorava fino a tardi negli uffici della campagna elettorale nella più piccola contea lontano da casa, allora scoprirete che le cose sono diverse.

Sentirete la determinazione nella voce di un giovane organizzatore che lavora per mantenersi al college, e vuole che quelli più giovani di lui abbiano la medesima opportunità. Sentirete l’orgoglio nella voce di una volontaria che va porta a porta perché il fratello è stato finalmente assunto quando la fabbrica d’automobili ha aggiunto un altro turno di lavoro. Sentirete il profondo patriottismo nella voce della moglie di un militare che sta al telefono fino a tarda notte per accertarsi che nessuno di coloro che lottano per questo paese debba più combattere per avere un lavoro o un tetto sulla testa quando tornano a casa.

Ecco perché lo facciamo. Ecco cosa può rappresentare la politica. Ecco perché le elezioni contano. Non è una cosa da poco, è grande. È importante. La democrazia in una nazione di trecento milioni di abitanti può essere rumorosa, e caotica e complicata. Abbiamo tutti le nostre opinioni. Ciascuno di noi ha convinzioni profonde e sentite. E attraversare tempi difficili, quando come paese prendiamo decisioni importanti, necessariamente ciò desta passioni, desta polemiche.

Cosa che non cambierà dopo stasera, e del resto non dovrebbe. Questi dibattiti sono un segno della nostra libertà. Non potremo mai dimenticare che mentre parliamo c’è gente in paesi lontani che rischia la propria vita, anche in questo preciso istante, solo per dare ad altri un’occasione di dire la propria sui temi che contano, l’occasione di esprimere il proprio voto, come noi abbiamo fatto oggi.

Ma nonostante le nostre divergenze, gran parte di noi condivide alcune speranze per il futuro dell’America. Vogliamo che i nostri figli crescano in un paese dove si ha l’accesso alle scuole migliori e ai migliori insegnanti. Un paese che tiene fede al suo ruolo di leader globale nella tecnologia, nella scoperta e nell’innovazione, con tutti i buoni posti di lavoro e le nuove imprese che ne conseguono.

Vogliamo che i nostri figli vivano in un’America che non sia appesantita dal debito, che non sia indebolita dalla disuguaglianza, che non sia minacciata dal potere distruttivo di un pianeta che si surriscalda. Vogliamo lasciare a chi verrà dopo di noi un paese che sia sicuro e rispettato e ammirato in tutto il mondo, una nazione che sia difesa dall’esercito più forte della terra e dai migliori soldati che il mondo abbia mai conosciuto. Ma anche un paese che si muova con fiducia oltre questo tempo di guerra, per dar forma a una pace che sia costruita sulla promessa di libertà e dignità per ciascun essere umano.

Crediamo in un’America generosa, in un’America compassionevole, in un’America tollerante, aperta ai sogni della figlia di un immigrato che studia nelle nostre scuole e giura fedeltà alla nostra bandiera. Al ragazzo del sud di Chicago che vede davanti a sé una vita che va ben oltre l’angolo di strada più vicino. Al figlio dell’operaio del mobilificio della Carolina del Nord, che vuole diventare un medico o uno scienziato, un ingegnere o un imprenditore, un diplomatico o persino un presidente – quello è il futuro in cui speriamo. Quella è la visione che condividiamo. È in quella direzione, che abbiamo bisogno di muoverci – in avanti. È in quella direzione, che abbiamo bisogno di andare.

Ora, ci saranno discordie, a volte accese, su come arrivarci. Con più di due secoli alle spalle, il progresso tende ad andare avanti a singhiozzo. Non sempre secondo una linea retta. Non sempre secondo un percorso lineare.

Di per se stessa, la consapevolezza che abbiamo speranze e sogni comuni non supererà ogni stallo, né risolverà tutti i nostri problemi, né renderà obsoleto quel lavoro sfiancante della costruzione del consenso, e della formulazione di quei difficili compromessi necessari a far andare avanti questo paese. Ma quel legame condiviso: è proprio da lì che dobbiamo partire.

La nostra economia si sta riprendendo. Un decennio di guerra giunge al termine. Una lunga campagna elettorale è ormai conclusa. E che io abbia conquistato il vostro voto o no, vi ho ascoltato, ho imparato da voi, e mi avete reso un presidente migliore. Con le vostre storie e le vostre lotte, torno alla Casa Bianca più determinato e più ispirato che mai su quale sia il lavoro da fare, e quale sia il futuro davanti a noi.

Stasera avete votato per l’azione, non per la solita politica. Ci avete eletto per concentrarci sul vostro lavoro, non sul nostro. E nelle prossime settimane e nei prossimi mesi, non vedo l’ora di tendere una mano e lavorare coi leader di entrambi i partiti per affrontare le sfide che solo insieme possiamo superare. Riformare il sistema dell’immigrazione. Liberarci dal petrolio straniero. Abbiamo altro lavoro da fare.

Ma questo non significa che il vostro lavoro sia finito. Il ruolo del cittadino nella nostra democrazia non si conclude col vostro voto. L’America non è mai stata fondata su ciò che può esser fatto per noi. È ciò che può esser fatto da noi, tutti insieme col duro e frustrante ma necessario lavoro di auto-governo. Quello è il principio sul quale siamo stati fondati.

Questo paese ha più ricchezza di qualsiasi altra nazione, ma non è questo che ci rende ricchi. Possediamo l’esercito più potente della storia, ma non è questo che ci rende forti. Le nostre università, la nostra cultura sono fonte d’invidia per il mondo, ma non è ciò che spinge il mondo verso le nostre sponde.

A rendere l’America un’eccezione sono i legami che tengono unita la nazione più diversificata della Terra. La convinzione che il nostro destino sia condiviso; che questo paese funzioni solo quando accettiamo certi obblighi l’uno verso l’altro, e verso le generazioni future. La libertà per la quale così tanti americani hanno lottato e perso la vita porta responsabilità, oltre che diritti. E fra esse ci sono l’amore, la carità e il dovere e il patriottismo. Ecco che cosa rende grande l’America.

Stasera sono pieno di speranza perché ho visto al lavoro in America proprio quello spirito. L’ho visto nelle imprese familiari i cui titolari preferirebbero ridursi lo stipendio piuttosto che licenziare i loro vicini, e nei lavoratori che preferirebbero vedersi ridotte le ore di lavoro piuttosto che vedere un amico perdere il posto. L’ho vista nei soldati che si riarruolano dopo aver perso un arto, e nei Seal che vanno alla carica su per le scale verso l’oscurità e il pericolo, perché sanno che dietro c’è un compagno a guardargli le spalle. L’ho vista sulle coste del New Jersey e di New York, dove leader di ogni partito e di ogni livello del governo hanno messo via i loro disaccordi per aiutare una comunità a risollevarsi dalle rovine di una terribile tempesta. E l’ho vista solo l’altro giorno a Mentor, in Ohio, dove un padre ha raccontato la storia della sua bambina di otto anni, la cui lunga battaglia con la leucemia è quasi costata alla famiglia tutto ciò che aveva, se non fosse stato per la riforma della sanità approvata appena pochi mesi prima che l’assicurazione sanitaria smettesse di pagare per le sue cure.

Ho avuto l’opportunità non solo di parlare al padre, ma di incontrare la sua incredibile figlia. E quando ha parlato alla folla in ascolto, ogni genitore in quella stanza aveva le lacrime agli occhi, perché tutti avevano chiaro che quella bambina poteva essere la loro. E io so che ciascun americano desidera che il futuro di quella bambina sia luminoso. È questo ciò che siamo. Questo è il paese che sono così orgoglioso di guidare come vostro presidente.

E stasera, nonostante tutte le difficoltà che abbiamo affrontato, nonostante le frustrazioni di Washington, non sono mai stato altrettanto pieno di speranza per il nostro futuro. Non ho mai avuto altrettanta speranza per l’America. E vi chiedo di rinfocolare quella speranza. Non parlo di cieco ottimismo, cioè quel genere di speranza che si limita a ignorare l’enormità dell’impresa che si ha davanti o gli ostacoli che ci troviamo lungo il cammino. Non parlo di quell’idealismo velleitario che ci permette di indugiare nelle retrovie, o di tirarci indietro da uno scontro.

Ho sempre creduto che la speranza sia quella cosa tenace dentro di noi che insiste, nonostante tutto sembri dimostrare il contrario, che c’è qualcosa di meglio che ci attende, finché abbiamo il coraggio di raggiungerla, di continuare a lavorare, di continuare a combattere.

America, io credo che possiamo costruire sulle basi del progresso che abbiamo fatto, e continuare a lottare per nuovi posti di lavoro e nuove opportunità e una nuova sicurezza per la classe media. Io credo che possiamo mantenere la promessa dei nostri fondatori, l’idea che se sei disposto a lavorare duro, non importa chi tu sia o da dove tu provenga o quale sia il tuo aspetto o dove tu viva. Non importa che tu sia nero o bianco, ispanico o asiatico, o nativo americano, o giovane o vecchio, o ricco o povero, abile, disabile, gay o etero, potrai farcela in America se sei disposto a provarci.

Credo che possiamo afferrare questo futuro insieme, perché non siamo così divisi quanto la nostra politica sembra suggerire. Non siamo cinici quanto gli opinionisti pensano. Siamo più grandi della somma delle nostre ambizioni individuali, e restiamo più di una somma di stati rossi e stati blu. Siamo e per sempre saremo gli Stati Uniti d’America.

E insieme, col vostro aiuto e la grazia di Dio, proseguiremo il nostro viaggio in avanti, e ricorderemo al mondo perché noi viviamo nella più grande nazione della Terra.

Grazie, America. Dio ti benedica. Dio benedica questi Stati Uniti.

(traduzione di stefano pitrelli)
 
 

 
 

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