giovedì 5 febbraio 2015

Danilo Dolci

Enrico Fierro per il “Fatto quotidiano

“La verità è che la penna per scrivere la storia, la impugnano sempre i vincitori”. Inizia con l’amarezza il colloquio con Giuseppe Casarrubea, storico siciliano, di quel particolare periodo della vita nazionale che fu il dopoguerra nell’Isola, il ruolo degli americani, e soprattutto quel passaggio di campo della mafia dal fronte monarchico, eversivo e separatista, alla nascente Democrazia cristiana.


Temi tornati di attualità in questi giorni con l’elezione di Sergio Mattarella alla Presidenza della Repubblica. Mattarella, una dinastia politica che è parte importante della storia della Sicilia, cognome caro all’antimafia per la morte tragica di Piersanti, cognome che arrovella la mente di quanti, storici e giornalisti, hanno ancora voglia di scavare nel passato dei rapporti tra mafia e politica. Casarrubea nel suo blog lancia un appello al nuovo capo dello Stato: “Un gesto di magnanimità verso un grande uomo, Danilo Dolci, che siciliano non era, veniva da Trieste, e che dedicò tutta la vita a lottare per il riscatto della Sicilia”.

In un dossier denunciò, e fu tra i primi, i rapporti tra Bernardo Mattarella e una parte della mafia, per questo venne querelato e condannato.

Lo so bene, ma so anche che il lavoro di Danilo fu scrupoloso, dettagliato, cinque anni di fatica, ai giudici e alla commissione Antimafia consegnò nomi e cognomi, finanche testimonianze firmate. Mise tutto nero su bianco. In alcuni paesi certe relazioni, certe mani strette per avere voti, erano sotto gli occhi di tutti. E fu anche un lavoro rischioso, un giorno gli spararono e Danilo si salvò grazie al fatto che Franco Alasia lo spinse via portandolo fuori dalla traiettoria del proiettile.

Però i giudici, fino alla Cassazione, condannarono Dolci.
Questo riguarda la coscienza dei giudici di allora. Sì, allora, anni Sessanta del secolo passato, quando la parola mafia nei tribunali non aveva accesso. Non tutto quello che è nelle sentenze dei tribunali è espressione di verità. Spesso è il contrario, perché i tribunali sono espressione dei momenti della vita di un popolo, ma sono al di sotto del giudizio storico.

E allora veniamo alla storia, professore.
Dolci voleva capire come funzionava il sistema delle clientele politico-mafiose e quali erano le ragioni dello strapotere della Dc. Era un sociologo, non un carabiniere o un poliziotto. In quegli anni non c’era molta divaricazione tra le norme sociali e le norme criminali, coincidevano quasi.

Da studioso che ha approfondito il dopoguerra in Sicilia e la nascita dell’autonomismo, anche avendo accesso a documenti riservati americani, ci dica chi era Bernardo Mattarella e che ruolo svolse nel passaggio di alcuni settori legati al separatismo e alla stessa mafia dentro l’alveo della nascente Dc.
Rispondo in modo sereno: era un grande personaggio della Democrazia cristiana, nel 1944, mentre la Sicilia era allo sbando, con uomini come Restivo, Scelba, don Luigi Sturzo, esiliato negli Stati Uniti, pensò di rimettere su il Partito popolare e di dare vita a una Italia democratica fondata sul sistema dei partiti. Fu un repubblicano di ferro e lottò contro i monarchici e contro i separatisti.

Detti i meriti parliamo dei limiti e anche dei demeriti, sempre alla luce di una lettura storica.

Mettiamola così, il demerito fu quello di essere cresciuto in un contesto nel quale la distinzione tra sistema criminale mafioso e sistema sociale non era netta. Era la mafia che dettava legge sui comportamenti sociali. Che poi Bernardo Mattarella si sia imbattuto in certi personaggi, è cosa che definirei del tutto naturale, l’ambiente induceva ad avere relazioni anche di tipo familistico con persone equivoche, ma questo non significa che Mattarella fosse compromesso.

Nessuna prova indica che sia stato compromesso. Pisciotta lo accusò di essere uno dei mandanti della strage di Portella assieme a Cusumano Geloso, Leone Marchesano, il principe Alliata, ma questi erano dei monarchici che facevano parte di una scuola politica molto diversa da quella di Mattarella. Erano in due campi diversi.


La storia della famiglia Mattarella è parte della storia tragica della Sicilia.
Certo, e la morte di Piersanti segna lo spartiacque tra una Sicilia ancora feudale nella gestione dei rapporti di potere e la Sicilia più moderna degli anni successivi. Penso a Falcone, Borsellino, al risveglio della magistratura e della società.

Sarà accolto il suo appello?
Il presidente Mattarella faccia un gesto di magnanimità, sarebbe un atto di lungimiranza politica. Se ciò non avverrà rimarranno queste due posizioni storicamente ancora da spiegare. E la storia non si scrive nelle aule di tribunale.

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