venerdì 20 aprile 2012

Il francescano

ROMA - «Farò una vita da francescano».
Addirittura.
«Avevo già restituito quattro miliardi».
Vecchie lirette.
«Mica le prendevo per me».
No?
«No. Solo per il mio partito, il Pli».
Non come questi di adesso, chessò, i Lusi e i Belsito, magari con qualche famigliola politica da sfamare...
«Eh, ora c'è chi scambia il Parlamento per un benefit».
Pure prima esageravate.
«Lo ammetto, ma era diverso. Le spiegherò come».
Sospira Francesco De Lorenzo, un tempo Sua Sanità, ed è difficile dire se per nostalgia d'una stagione morta o per il sollievo d'esserle sopravvissuto. Settantatré anni portati alla grande, come uno che prima è passato sotto le forche caudine di Tangentopoli, poi attraverso Poggioreale e un tumore con chemioterapia devastante, ed è infine risorto, lavorando coi drogati di don Gelmini (grande foto del controverso sacerdote dietro la scrivania), e inventandosi infine l'Aimac, che raccoglie cinquecento associazioni di volontari nella lotta contro il cancro: «E tutto senza un euro delle case farmaceutiche, lo scriva, lo scriva». Marmi, assistenti, gran sede in via Barberini, c'è chi resta in piedi anche quando cade...
«Si chiudono dei cicli, io ho cambiato vita».
Già, però il tarlo è quello vecchio. Averci marciato, sui malati, quand'era ministro della Salute, governo Amato, primi anni Novanta.
«Non ho alterato i prezzi dei farmaci, i giudici me l'hanno riconosciuto infine! Non ho danneggiato l'erario, guardi qua».
(Tira fuori faldoni, sentenze, pandette, carte da bollo in perenne lotta tra loro: come molti a lungo strizzati dai magistrati, è ormai il migliore avvocato di se stesso). Comunque sia, deve pagare cinque milioni di euro per danno all'immagine del nostro povero Stato, sentenza definitiva.
Dove li trova?
«Metà li restituii a suo tempo, gliel'ho detto prima. Per il resto, venderò la casa, ho qualche bene al sole. Potrei vendere anche i pastori».
I famosi pastori del Settecento napoletano...
«Quelli: una settantina, raccolti in trent'anni. Valgono duecentomila euro, ma non facciamolo sapere ai ladri».
Ci mancherebbe. Parliamo di altri furti. Una sua foto sotto l'insegna del ristorante «Due Ladroni» è rimasta nella storia.
«Mai intascato un soldo, per me».
Dunque si dichiara innocente?
«No. Il finanziamento illecito è stata la mia colpa. Mandavo dagli imprenditori il mio segretario, Marone, perché non si pensasse che me li tenevo io. Adesso lo fanno per loro tasche. Ma allora tutti sapevano. Anche Zanone che poi ha fatto tanto il moralista».
Pochi sono stati tanto detestati dagli italiani quanto lei.
«Colpa di una lunga campagna di stampa».
Lei era uno dei viceré di Napoli, con Pomicino e Di Donato.
«Un viceré senza truppe, mi creda. Napoli è una città plebea, mia moglie non poteva nemmeno più andare a giocare a bridge. I miei amici liberali si misero con Bassolino. Io per la sanità ho dato il sangue, l'ho detto varie volte».
Sangue infetto, quello dello scandalo...
«Non ero nemmeno testimone, in quell'inchiesta, sia serio. Mi hanno spedito all'inferno e non so perché. Ero benestante, ero un tecnico, avevo il settanta per cento di consensi».
Meglio di Berlusconi...
«Non scherzi. La gente si è sentita tradita. Ma io ho avuto giudici etici, mi hanno condannato per associazione per delinquere da solo, tutti i miei coimputati erano assolti. Il mio processo è stato ingiusto, l'ha detto la Corte costituzionale quattro mesi dopo la mia condanna definitiva. E mi hanno fatto andare in udienza mentre facevo la chemio!».
Lei, nessuna colpa?
«Non insista. Gliel'ho detto: avrei dovuto rinunciare alla poltrona di ministro, è vero. Se la volevi, dovevi finanziare il partito. Funzionava così. Per assicurare il quoziente al partito servivano consiglieri comunali, sezioni, giornali, cose che costavano».
E nani, ballerine, terrazze...
«Cose che ho letto, non c'ero su quelle terrazze».
Mi dica dei finanziamenti.
«Il finanziamento illecito c'è sempre stato. Malagodi prendeva soldi da Confindustria, Moro si alzò per difendere Gui. Solo che quelli avevano... gli attributi. Noi ci lasciammo sbranare, portare via l'immunità parlamentare».
Molti imprenditori si sentirono sbranati, in verità.
«Se agli imprenditori chiedevi di darti i soldi in chiaro, rifiutavano: avrebbero dovuto dare cento a noi liberali, ottocento ai socialisti, mille alla Dc».
Ci furono ruberie grosse.
«Ci furono. Ma io non appartenevo a quella classe politica. Comunque gente come Citaristi o Balzamo non prendeva soldi per sé. E, lo sa?, nemmeno Craxi, dico io».
Dice lei. E di Tonino Di Pietro che mi dice?
«Nulla. E' stato mio pm, non sarebbe elegante».
Di Berlusconi?
«La magistratura ha abusato anche con lui. Poi lui avrebbe dovuto fare attenzione al suo ruolo, l'ultima variante non mi piace. Ma ha aiutato molto la nostra associazione contro il cancro, gli sono grato».
Vent'anni dopo. Si ruba in proprio rispetto a ieri?
«Oggi è tutto abnorme».
Ormai è saltato anche lo schermo del partito, no?
«Mi invitarono nel casertano all'ultima campagna elettorale. Non c'era un comizio, non c'era un manifesto. E allora dove stanno i costi della politica?».
Già. E dove vanno i soldi della politica?
«Questa legge elettorale è tremenda, tutti stanno appesi al leader».
Pure Belsito e Lusi?
«Cosa mi sta chiedendo?».
Un leader può avere un tesoriere simile e non saperlo?
«Ai miei tempi, no».
E adesso?
«E' diverso. Non si coprono spese reali periferiche, il finanziamento viene dato al centro, il tesoriere ha un ruolo fondamentale. Certo, se poi un partito non ha nessuna attività...».
Cosa fa, allude a un caso specifico? Manda messaggi?
«Prossima domanda».
Ultima. Cosa fa domani l'ex viceré di Napoli?
«Cerca di salvare San Giuseppe».
Chi?
«Il mio pastore preferito, un viso splendido. Quello non lo vendo. A costo di smettere di mangiare». 

fonte: Corriere della Sera, Goffredo Buccini 14 aprile 2012 

Nessun commento:

Posta un commento

La peggior forma di governo

  " La democrazia è la peggior forma di governo, fatta eccezione per tutte le altre fino ad ora sperimentate " Winston Churchill a...